Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9964 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9964 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 16/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a REGALBUTO il 29/08/1956 avverso l’ordinanza del 03/10/2024 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli articoli 610 comma 5 e 611 comma 1-bis e seguenti del codice di procedura penale.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Caltanissetta, con provvedimento del 03/10/2024, ha parzialmente riformato l’ordinanza pronunciata dal G.i.p. presso il Tribunale di Caltanissetta del 24/08/2024, sostituendo la misura della custodia in carcere imposta a COGNOME NOME con quella degli arresti domiciliari in relazione alla imputazione provvisoria allo stesso elevata (estorsione continuata in concorso con NOME COGNOME NOME in danno di COGNOME NOME, aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso).
Avverso il provvedimento predetto ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, COGNOME NOMECOGNOME articolando motivi di ricorso che
qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge (con riferimento al parametro della violazione di norme processuali ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen.) in relazione all’art. 273 cod. proc. pen. in punto di riconoscimento dei gravi indizi di colpevolezza; nella prospettazione della difesa, il Tribunale si sarebbe appiattito sulle considerazioni del G.i.p. e non avrebbe reso una valutazione autonoma e specifica sul tema dei gravi indizi di colpevolezza, rendendo nella sostanza una motivazione apodittica e apparente; il Tribunale avrebbe reiterato l’errore del G.i.p., interpretando erroneamente le conversazioni captate a causa della ricorrenza di svariati omissis e dell’utilizzo del dialetto; il Tribunale nel valutare tali elementi avrebbe dovuto privilegiare una interpretazione a favore del ricorrente.
2.2. Violazione di legge in relazione agli artt. 81, 110, 629, secondo comma, in relazione all’art. 628, terzo comma, n. 3, cod. pen.; manca qualsiasi effettivo indizio a carico del ricorrente sia dal punto di vista dell’elemento oggettivo, che soggettivo del delitto imputato; richiamate le caratteristiche della minaccia in tema di estorsione, la difesa ha contestato l’interpretazione fornita dal Tribunale in ordine ai dialoghi captati, evidenziando il ruolo di mero mediatore dell’Arcodia nei rapporti intercorrenti tra il ricorrente e il COGNOME per questioni civilistiche mancherebbe quindi l’animus di estorcere; ricorre una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi.
2.3. Vizio della motivazione perché contraddittoria, a causa della omessa valorizzazione di una serie di elementi oggettivi addotti dalla difesa, con particolare riferimento alla contestualizzazione della consegna di denaro da parte del Calabrese al Toscano per i lavori di tinteggiatura effettuati da quest’ultimo nella abitazione acquistata dal ricorrente; ricorre difatti uno iato temporale tra l’aggiudicazione all’asta in favore del Calabrese del fabbricato originariamente di proprietà del Cantarero e la presunta estorsione; l’episodio in questione è stato oggettivamente travisato (come dimostravano le captazioni richiamate a pag. 10 del ricorso), giacché era stato proprio il COGNOME a chiedere i lavori di tinteggiatura per consentire al ricorrente di spostarsi quanto prima ed entrare in possesso dell’immobile acquisito all’asta, atteso che il COGNOME non aveva risorse e il COGNOME si era reso disponibile ad anticiparle.
2.4. Violazione di legge in relazione all’art. 416-bis.1 cod.pen. per avere il Tribunale erroneamente ritenuto sussistente la ricorrenza della circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso; la difesa non aveva solo sostenuto l’inconciliabilità della minaccia silente con tale metodo, ma aveva anche contestato esplicitamente la sussistenza della aggravante e il G.i.p. ha evidentemente errato nel valutare gli elementi in tal senso allegati dalla parte pubblica tra l’altro
ritenendo il concorso tra tale aggravante e quella di cui all’art. 629, secondo comma, cod. pen.; il G.i.p. ha fatto leva sulla sua personale lettura estensiva come emergente dall’ordinanza a pag. 571 e 572, senza riscontrare effettivamente la maggiore valenza intimidatoria della condotta ai sensi della aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen..
2.5. Violazione di legge (con riferimento al parametro della violazione di norme processuali ex art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.) e vizio della motivazione, non meglio specificato, in ordine al riconoscimento delle specifiche esigenze cautelari; il Tribunale si è limitato ad effettuare un”copia e incolla u senza alcun autonomo giudizio sul punto; le esigenze cautelari nel caso in esame erano da ritenere del tutto insussistenti e sono state erroneamente riscontrate solo sulla base della presunzione di esclusiva adeguatezza di cui all’art. 274, lett. c) cod. proc. pen., anche perché doveva essere oggettivamente valorizzato lo stato di sostanziale incensuratezza del ricorrente; la motivazione si è risolta in una serie di affermazioni generiche ed apodittiche evidente frutto di pregiudizio a causa della conoscenza intercorrente tra il Cantarero e l’Arcodia; la circostanza che il ricorrente avesse svolto il ruolo di autista per l’Arcodia si doveva ritenere del tutto irrilevante; manca, in ogni caso, qualsiasi attualità del pericolo di reiterazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati, che possono essere trattati, almeno in parte, unitariamente. Ciò, per ragioni di logica espositiva in quanto i motivi sono principalmente diretti a contestare il quadro indiziario a cario dell’indagato, per quanto formulati nella prospettiva della violazione di legge piuttosto che, come sarebbe più corretto, del vizio motivazionale.
Invero, il primo punto critico della prospettazione difensiva risiede nel fatto che, a dispetto del riferimento alla violazione di norme processuali, indicate nella rubrica dei motivi, le doglianze articolate finiscono per contestare il risultato probatorio cui sono approdati -per ora, solo a livello di gravità indiziaria, si intendei giudici di merito che, con valutazione conforme delle medesime emergenze indiziarie, sono stati concordi nel ritenere tali elementi pienamente riscontrati all’esito della ricostruzione della concreta vicenda processuale.
Giova allora evidenziare che in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, un vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in
relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare o negare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Ne consegue che l’indagine sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, stesso codice, è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato; sul punto si vedano Sez. F, 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400 – 1; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/10, COGNOME, Rv. 248698-01, nelle quali questa Corte ha chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito. Tanto più che, nel caso di specie, si è in presenza, pur se con valutazione di gravità indiziaria ed ‘allo stato degli atti’, di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, sono pervenute a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione del quadro indiziario, così da saldarsi, dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2 , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595). E, sempre in tema di valutazione indiziaria, con riferimento al caso concreto, occorre altresì ricordare che la ricostruzione ed interpretazione del contenuto delle intercettazioni (relative a comunicazioni in presenza o telefoniche), contestate nel ricorso, costituisce giudizio di fatto che può essere oggetto di revisione critica in questa sede solamente se non motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (ex multis, Sez. 4, n. 40172 del 16/06/2004, COGNOME, Rv. 229568 – 01; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239636 – 01). Si tratta di principi che il difensore dell’indagato dimostra di ben conoscere (pg. 2 – 4 del ricorso) e che vengono ampiamente illustrati nel ricorso. Wittà ta f nel ricorso non si confutano le puntuali osservazioni contenute nel ricorso in base a specifiche interpretazioni delle intercettazioni (pg. 5 e 6 del provvedimento impugnato) che evidenziano l’atteggiamento estorsivo ed impositivo del soggetto apicale del clan locale (Arcodia), cui il COGNOME si era rivolto per poter spadroneggiare e fare il ‘capuziello’ nei confronti del COGNOME Non v’è spazio pertanto per letture Corte di Cassazione – copia non ufficiale
alternative, che presupporrebbero spazi di interpretazione che la chiarezza del tenore delle telefonate, come richiamate ed illustrate nel provvedimento, non consentono.
D’altra parte, e qui entriamo nella trattazione del secondo e del terzo motivo di ricorso, non può consentirsi in questa sede, per le ragioni già sopra illustrate, la mera rilettura degli elementi indiziari, basata per di più sulla prospettazione delle medesime ragioni già formulate, ma puntualmente disattese nel grado di merito, ostandovi la genericità delle stesse. Per tale ragione, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. d), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta. Ed è quindi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi ripetitivi dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009,COGNOME,Rv. 243838 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013,COGNOME,Rv. 255568 – 01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01). In definitiva, non è consentito (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.) chiedere al giudice di legittimità di valutare se ‘esiste l’animus di estorcere’ (grassetto e corsivo nell’originale, pg. 6) perché questo è il compito precipuo del giudice di merito, assolto nel caso concreto in maniera convincente con il riferimento (pg. 6 dell’ordinanza) alle telefonate in cui COGNOME impose al COGNOME di ‘tenere nell’appartamento’ appena acquistato il Cantarero per un altro anno, nonché con la smentita della tesi per cui l’accoglimento delle varie richieste sarebbe un atto ‘compassionevole’ (e non una sottomissione) e del tono amicale delle interlocuzioni intercorse tra i vari soggetti interessati.
Quanto alla GLYPH ricorrenza dell’aggravante mafiosa GLYPH (quarto GLYPH motivo), adeguatamente giustificata a pg. 8 del provvedimento impugnato, occorre sottolineare che il motivo è non solo improntato all’astrattezza, riportando principi giurisprudenziali senza calarli nel concreto, ma soprattutto, non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato, dilungandosi nella confutazione dell’ordinanza genetica (pg. 11 – 13), senza mai menzionare quella del Tribunale.
Infine, manifestamente infondato è pure l’ultimo motivo, sul quadro cautelare e sul grado di manifestazione delle esigenze cautelari.
Il ragionamento del Tribunale, sul punto, appare del tutto corretto tanto nell’enunciazione delle regole di matrice giurisprudenziale che governano la materia, che nella loro applicazione allo specifico episodio, laddove si esclude (pg. 9) che siano emersi (e nemmeno addotti) elementi sufficienti a vincere le presunzioni relative che presidiano l’applicazione dell’art. 275, quando sia da applicarsi l’aggravante contestata. Si tratta di ragionamenti e valutazioni che
fanno leva sulle caratteristiche del fatto e della persona dell’indagato, che non prestano il fianco a critiche di illogicità, tanto meno manifesta.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16 dicembre 2025
Il Co sigliere elatore