Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 15949 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 15949 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 27/03/1978
avverso l’ordinanza del 18/11/2024 del TRIBUNALE di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori
Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta di riesame proposta avverso l’ordinanza emessa in data 11 ottobre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al delitto di omicidio, aggravato dalla premeditazione e dalle finalità e dal metodo mafiosi, commesso, in concorso con NOME COGNOME in pregiudizio di NOME COGNOME, in Napoli in data 11 maggio 2000.
Avverso il provvedimento del Tribunale di Napoli, propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo dei propri difensori Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME deducendo doglianze esposte in quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo eccepisce l’inutilizzabílità dell’attività intercettazione autorizzata con í decreti nn. 7796-7812/22, 7831-7833/22, 8072/22, 16/23, 374-375/23, 520-521/ 23 e 610/23 RIT, in ragione dell’inosservanza degli artt. 267, comma 1, 271 comma 2, cod. proc. pen., nonché dell’art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.
A supporto dell’eccezione espone che, nella specie, quanto alla sussistenza delle condizioni legittimanti l’attività di intercettazione, diversamente da quanto sostenuto dai Giudici del riesame, non potevano trovare applicazione le disposizioni contenute allora dal succitato art. 13, non estendendosi esse ai reati diversi da quelli associativi, così come affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità ribadita dalla sentenza Sez. 1 n. 34895 del 2022, COGNOME.
Né potevano attribuirsi effetti “retroattivamente” sananti dell’assenza nella specie delle suddette condizioni, all’innovazione estensiva introdotta dall’art. 1 del d.l. 10 agosto 2023, n. 105, convertito dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137, trattandosi di sub-procedimenti relativi alle singole intercettazioni in precedenza definiti, aventi incidenza su un fondamentale diritto costituzionalmente garantito.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce l’inutilizzabilità dell’attività intercettazione autorizzata con i decreti nn. 7796-7812/22, 7831-7833/22, 8072/22, 16/23, 374-375/23, 520-521/ 23 e 610/23 RIT, per violazione degli artt. 267, comma 1, 271 comma 2, cod. proc. pen., e dell’art. 13, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, nonché manifesta illogicità della motivazione adottata, in particolare in ordine alla sussistenza del requisito della necessarietà delle intercettazioni per lo svolgimento delle indagini.
La difesa deduce al riguardo che la motivazione aveva fatto riferimento a risultati solo astrattamente conseguibili senza così spiegare la necessità in concreto di un’attività disposta nei confronti di un numero amplissimo di soggetti.
2.3. Con il terzo motivo deduce inosservanza degli artt. 272 e 273, cod. proc. pen., contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in particolare in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per come ritenuta in ragione dei riscontri alle dichiarazioni della figlia della vittima NOME COGNOME.
Rileva che tali dichiarazioni, costituenti l’asse portante delle accuse mosse al ricorrente, vennero acquisite a distanza di diciassette anni dai fatti e in seguito furono ritenute probatoriamente insufficienti da due decreti di archiviazione.
Come rilevato con memoria depositata davanti al Tribunale, la ricostruzione secondo cui NOME COGNOME avrebbe visto il ricorrente uccidere il padre sparandogli contro l’ultimo colpo di arma da fuoco, non risultava affatto confermata da quanto riferito dagli altri testimoni oculari ed anzi rimaneva smentita inequivocabilmente dalle dichiarazioni rese da NOME COGNOME
Anche le dichiarazioni di NOME COGNOME altro figlio della vittima, del pari rese prima della seconda archiviazione, smentivano la circostanza secondo cui NOME COGNOME ebbe a vedere il ricorrente mentre commetteva l’omicidio.
Il provvedimento impugnato, oltre ad ignorare quanto sopra, sempre in tema di riscontro a quanto riferito dalla COGNOME, ha solo genericamente richiamato le dichiarazioni dei collaboratori, senza così rilevarne i contenuti e le contraddizioni.
Né è stata fornita adeguata risposta ai rilievi volti a negare la possibilità da parte di NOME COGNOME di riconoscere gli autori materiali del delitto, una volta che gli stessi (pacificamente) indossavano caschi integrali (non citati dalla teste).
I Giudici di merito, sempre con riguardo al tema dei riscontri in ordine alla responsabilità del ricorrente, hanno, per altro verso, fatto riferimento alle conversazioni intercettate, i cui contenuti però non rappresentavano specifiche accuse e, comunque, notizie al riguardo attinte da fonti determinate e attendibili.
2.4. Con il quarto motivo lamenta inosservanza degli art. 272, 274 e 275, comma 2, cod. proc. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quanto al mancato superamento delle presunzioni in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari e all’adeguatezza della custodia in carcere.
Espone che, a fronte dell’epoca remota dei fatti, non è stata considerata la documentazione attestante il reinserimento sociale del ricorrente fin dal 2014.
Il pericolo di inquinamento probatorio è stato evocato senza correttamente considerare lo stato del procedimento ormai transitato nella fase del giudizio.
Si è desunto il pericolo di fuga semplicemente da inconferenti asserzioni nelle conversazioni intercettate e da brevi soggiorni all’estero con la famiglia, che non
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avevano portato il ricorrente a sottrarsi all’esecuzione della misura, benché lo stesso fosse a conoscenza delle indagini a suo carico in ordine al reato di omicidio.
Con motivi nuovi in data 27 febbraio 2025 la difesa deduce tre motivi.
3.1. Con il primo motivo eccepisce violazione di norme processuali sanzionata dalla nullità o inammissibilità, in ragione della preclusione derivante dal decreto di archiviazione, in data il 14 febbraio 2022, del procedimento precedentemente instaurato per lo stesso fatto nei confronti del ricorrente, risultando affetto da nullità, per mancanza o apparenza di motivazione, il decreto di riapertura delle indagini emesso, ai sensi dell’art. 414, cod. proc. pen., in data 10 novembre 2022.
Deduce che tale ultimo decreto, avendo aderito alla motivazione di una richiesta del pubblico ministero priva di ogni rappresentazione delle esigenze di nuove investigazioni che potevano giustificare l’autorizzazione del Giudice, non aveva potuto rimuovere la preclusione processuale derivante dalla precedente archiviazione ed operante anche in sede di applicazione delle misure cautelari.
Si era in tal modo verificata una nullità del decreto, per violazione dell”art. 125, comma 3, cod. proc. pen., che, in quanto riconducibile a quelle assolute previste dal combinato disposto degli artt. 178, comma 1, lett. b), e 179, cod. proc. pen., può essere eccepita anche per la prima volta nel giudizio di legittimità.
3.2. Il secondo motivo ribadisce e sviluppa ancora gli argomenti posti a fondamento dell’eccezione di inutilizzabilità dedotta con il primo motivo del ricorso, rilevando, fra l’altro, la “profonda illegittimità” della sentenza di questa Corte n 47643 del 2003, Putignano, di cui censura le conclusioni con particolare riguardo alla ammissione degli effetti retroattivi di un’interpretazione autentica di contenuto ampliativo quanto alle limitazioni di un diritto costituzionalmente garantito.
Si deduce, inoltre, che l’esito delle intercettazioni di cui ai menzionati decreti ha assunto decisiva rilevanza nell’impianto motivazionale dell’ordinanza con riguardo al giudizio sui gravi indizi, essendo stato utilizzato ai fini del individuazione dei riscontri alle dichiarazioni, in particolare di NOME COGNOME.
Tanto considerando che le conversazioni alle quali viene attribuito maggiore valore indiziario dal Tribunale, come ad esempio quelle intercorse tra NOME COGNOME e NOME COGNOME ovvero presso l’abitazione di Annunziata Sibillo o tra i fratelli COGNOME, sono state captate in ambito domiciliare, in assenza di giustificati motivi per ritenere che fossero in corso in quel momento condotte delittuose.
Con lo stesso motivo, in subordine, si chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 105 del 2023 e della relativa legge d conversione n. 137 del 2023, per violazione degli artt. 77, comma secondo, Cost, e 3, 15 e 117, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, trattandosi di decreto-legge
“omnibus”, riguardante materie non omogenee e prive di collegamento quanto alla necessità e urgenza.
In ordine alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale si osserva che la risoluzione di tale questione incide sull’utilizzabilità delle intercettazioni come sopra già esposto – ritenute decisive nella rappresentazione dei gravi indizi.
3.3. Il terzo motivo, quanto ai gravi indizi, denunzia illogicità e contraddittorietà della motivazione con riguardo alla verifica dell’attendibilità soggettiva e oggettiva di NOME e NOME COGNOME nonché omessa risposta in ordine ai motivi depositati ai sensi dell’art. 309, comma 6, cod. proc. pen.
In tal sede la difesa sviluppa le censure di cui al secondo motivo del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni e nei termini di seguito illustrati.
Va, anzitutto, disattesa la questione processuale pregiudiziale rispetto a tutte le altre, posta con il primo dei motivi nuovi, laddove si prospetta la preclusione alla procedibilità – rilevabile in ogni stato e grado del giudizio anche d’ufficio – che dovrebbe derivare dalla mancanza di un valido decreto di autorizzazione ex art. 414, cod. proc. pen., con conseguente impedimento all’utilizzabilità degli atti di indagine ai fini dell’adozione della misura cautelare.
Al riguardo, invero, non ricorre l’assenza del decreto di autorizzazione alla riapertura delle indagini che potrebbe dare luogo alla preclusione processuale che si evoca, ma, come ben risulta dall’esposizione alle pagg. 12, 13 e 14 dei motivi nuovi e dall’esame degli atti allegali, la difesa censura i contenuti delle motivazioni adottate contestandone la completezza e la logicità, a fronte di una richiesta che conteneva un’adeguata rappresentazione giustificativa per relationem tramite il richiamo del contenuto delle informative e di un decreto autorizzativo che forniva ancor più ampie spiegazioni in ordine alla sussistenza, ai sensi dell’art. 414, cod. proc. pen., delle esigenze di nuove investigazioni, in ragione di nuovi elementi.
A ciò si aggiunga, per mera completezza, che anche se si fosse verificata una violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., a causa di una motivazione apparente, si verserebbe in ipotesi di nullità non assoluta, sicché la dichiarazione di invalidità dell’atto, con i conseguenti effetti, sarebbe rimasta sottoposta ai limit di deducibilità e alle sanatorie di cui agli artt. 182, 183 e 185, cod. proc. pen., con la conseguente non proponibilità solamente attraverso i motivi nuovi.
La questione di inutilizzabilità delle intercettazioni dedotta con i primi due motivi del ricorso attiene ai singoli attitindagini autorizzati con i decreti ivi cita
Al riguardo, deve pertanto trovare applicazione il consolidato insegnamento di legittimità secondo cui, quando in sede di legittimità si lamenta l’inutilizzabilità di un elemento di prova a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti (Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287024 – 02; Sez. 2, n. 30271 dell’11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269218 – 01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262011 – 01; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 259452 – 01).
Nulla di specifico si rileva in proposito nei due motivi di cui sopra, ma solo in seguito, all’inizio dell’esposizione del terzo motivo (segnatamente a pag. 13 del ricorso), ci si limita ad asserire, con riferimento a tutte le attività di intercettazio che si tratterebbe di uno dei “tre pilastri” a fondamento del ragionamento adottato dal Tribunale nel rappresentare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Di contro, a pagina 26 dell’ordinanza impugnata si evidenzia che le risultanze delle intercettazioni si innestano sul “già grave compendio indiziario” come in precedenza esaminato (quello costituito essenzialmente dalle prove dichiarative).
L’aspecificità dei motivi di cui trattasi risulta vieppiù evidente in quanto essi richiamano indistintamente sette decreti (allegati al ricorso), solo alcuni dei quali però aventi ad oggetto le intercettazioni all’interno del domicilio privato per cui potrebbero rilevare le questioni poste attenenti all’esclusione dell’applicabilità nel caso di specie del disposto di cui all’art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152.
A maggior ragione, dunque, non è dato riscontrare la decisività di tali rilievi. Ne deriva l’inammissibilità del primo e del secondo motivo del ricorso.
Tale inammissibilità si estende, ai sensi dell’art. 586, comma 4, cod. proc. pen., al primo e al secondo dei motivi nuovi che sviluppano gli stessi rilievi, a prescindere dalle generiche affermazioni contenute nel secondo di tali motivi a proposito della rilevanza assunta dalle operazioni disposte all’interno del domicilio.
Risultano, invece, fondati il terzo motivo del ricorso e il terzo motivo nuovo in punto di gravi indizi di colpevolezza, laddove entrambi denunziano vizi della motivazione con riguardo alla verifica delle dichiarazioni di NOME COGNOME.
Il provvedimento impugnato (pag. 23) attribuisce un “ruolo centrale”, e dunque decisivo, a tali dichiarazioni nella parte in cui la donna aveva riferito che quel giorno, dopo avere incrociato NOME COGNOME avendo compreso quanto
stesse accadendo, scese dalla macchina e corse in direzione degli spari, sì da pot vedere il padre riverso per terra mentre il ricorrente esplodeva il colpo di grazi
Inoltre, sempre secondo quanto rilevato e apprezzato dal Tribunale, la Scuotto rivelava che erano presenti NOME COGNOME (questi aveva preso posto sul
motociclo condotto dalla vittima) e, causalmente, NOME COGNOME ex guardia penitenziaria, il quale le aveva detto che a sparare era stato NOME COGNOME
Il Tribunale cita, a riscontro di tali dichiarazioni, quanto riferito da NOME
Sorrentino mancando però di focalizzare persino quando questi giunse sui luoghi, così non da non potere confutare i rilievi sull’inconciliabilità delle due narrazi
alla stregua del confronto delle accuse con quanto affermato da COGNOME – documentato dal verbale allegato e dal contenuto dell’ordinanza genetica della
misura – in ordine a fatti a cui assistette e al possibile coinvolgimento di NOME
A ciò si aggiunge che il tema del confronto fra le fonti dichiarative a proposi di quanto la COGNOME ebbe modo di vedere sui luoghi, non risulta adeguatamente
affrontato, sempre ai fini della dovuta verifica di un elemento di prova ritenu decisivo, neppure con riguardo a quanto NOME COGNOME di cui si indica l
qualifica di collaboratore ma non si chiarisce la veste processuale ai f dell’applicabilità o meno alle accuse del disposto dell’art. 192, comma 3, cod. pro pen. – ha affermato di avere appreso da COGNOME che era pure presente ai fatti.
Sicché, le altre risposte motivazionali sui restanti argomenti riproposti n ricorso in tema di verifica del percorso dichiarativo nel tempo della Scuotto e ordine alla possibilità che la stessa avesse modo di riconoscere COGNOME pur travis con il casco, non possono superare le critiche difensive sul contenuto delle accuse
Per tali assorbenti ragioni i motivi vanno quindi accolti, risultando fondate doglianze mosse quanto alla correttezza della motivazione in punto di gravi indizi.
Tale accoglimento comporta, altresì, l’assorbimento delle censure dedotte con il quarto motivo avuto riguardo alla sussistenza delle esigenze cautelari.
In ragione di quanto sopra, l’ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Napoli sezione per il riesame. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 13/03/2025.