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Gratuito patrocinio: false dichiarazioni e reato

La Cassazione conferma la condanna per false dichiarazioni nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio. L’imputato aveva attestato un reddito inferiore al reale e omesso la proprietà di beni. Per i giudici, il reato sussiste a prescindere dal superamento effettivo delle soglie di reddito, poiché la norma tutela la lealtà verso le istituzioni. Irrilevante il cosiddetto ‘falso inutile’ e l’errore sulla nozione di reddito.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Gratuito Patrocinio: La Cassazione Ribadisce, Mentire è Sempre Reato

L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, e il gratuito patrocinio è lo strumento che ne garantisce l’effettività per chi non può permettersi le spese legali. Tuttavia, questo beneficio si fonda su un patto di lealtà tra il cittadino e lo Stato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 10647/2024) torna a fare chiarezza su un punto cruciale: le false dichiarazioni nella domanda di ammissione costituiscono reato, anche se, in teoria, il richiedente avesse comunque i requisiti per ottenerlo. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La Dichiarazione Sotto Esame

Il caso riguarda un cittadino condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. Nello specifico, l’imputato, nel presentare l’istanza per il gratuito patrocinio, aveva commesso due falsità:

1. Reddito: Aveva dichiarato un reddito complessivo, per gli anni 2017-2018, di circa 7.000 euro, mentre accertamenti successivi della Guardia di Finanza avevano rivelato un reddito di oltre 10.000 euro.
2. Patrimonio: Aveva attestato falsamente di non essere proprietario di beni immobili o mobili registrati, mentre risultava intestatario pro-quota di alcuni immobili (pervenuti per successione) e di un’autovettura.

La Corte di Appello aveva confermato la condanna, ritenendo le dichiarazioni mendaci e intenzionali.

La Difesa dell’Imputato: Buona Fede e “Falso Inutile”

La difesa aveva costruito la sua linea su due argomenti principali:

* Buona fede ed errore: Si sosteneva che l’imputato, a causa del suo basso livello culturale, avesse agito in buona fede, magari tratto in errore dai dati della dichiarazione ISEE, che ha criteri di calcolo diversi da quelli richiesti per il gratuito patrocinio.
* Il “falso inutile”: La difesa invocava il principio del cosiddetto “falso inutile”, secondo cui la falsità non dovrebbe essere punita se ininfluente. In altre parole, anche con i dati corretti, l’imputato sarebbe rientrato nei limiti di reddito per accedere al beneficio, rendendo la sua bugia, di fatto, irrilevante ai fini del risultato.

La Decisione della Cassazione sul gratuito patrocinio

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna e fornendo chiarimenti fondamentali. I giudici hanno smontato le tesi difensive punto per punto, ribadendo principi consolidati.

Il Reato è di Pura Condotta, Non di Evento

Il cuore della motivazione risiede nella natura del reato. L’art. 95 punisce la falsità in sé, non il raggiungimento di un profitto ingiusto. Si tratta di un reato di pura condotta, che si perfeziona nel momento stesso in cui viene presentata la dichiarazione non veritiera. L’obiettivo della norma non è solo impedire un danno economico allo Stato, ma tutelare la correttezza e la lealtà dei rapporti tra cittadino e amministrazione della giustizia. Pertanto, la tesi del “falso inutile” è stata respinta: non importa se il richiedente avesse o meno diritto al beneficio; ciò che conta è l’aver fornito dati falsi.

L’Errore sulla Nozione di Reddito è Inescusabile

La Corte ha anche respinto la tesi dell’errore scusabile. La legge (art. 76 d.P.R. 115/2002) definisce chiaramente cosa si intende per “reddito” ai fini del patrocinio a spese dello Stato. Confondersi con altri indicatori come l’ISEE o ignorare la definizione legale non costituisce un errore di fatto, ma un errore sulla legge penale, che per principio generale non scusa. La responsabilità di informarsi correttamente ricade interamente sul dichiarante.

Il Rifiuto della Particolare Tenuità del Fatto

La difesa aveva richiesto, in subordine, l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., che prevede la non punibilità per i fatti di particolare tenuità. Anche questa richiesta è stata respinta. La Corte ha ritenuto che la condotta non fosse affatto “tenue”, considerando:

* La natura del bene protetto (l’erogazione di fondi pubblici e la correttezza amministrativa).
* La personalità dell’imputato.
* L’entità dei redditi omessi, che non era trascurabile.

Le Motivazioni

La sentenza si fonda su un principio di rigore e responsabilità. La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la disciplina del gratuito patrocinio è un pilastro del diritto di difesa, finanziato dalla collettività. Proprio per questo, chi vi accede ha un dovere di assoluta trasparenza. La falsità, anche se parziale o apparentemente ininfluente, mina alla base la fiducia necessaria per il corretto funzionamento del sistema. L’elemento soggettivo del reato (il dolo) non richiede la volontà di frodare lo Stato, ma è sufficiente la consapevolezza di dichiarare dati non corrispondenti al vero. Le omissioni o le inesattezze non possono essere liquidate come mera negligenza quando riguardano dati chiari e specifici come il possesso di un immobile o la percezione di un reddito.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione lancia un messaggio inequivocabile a tutti i cittadini: quando si richiede un beneficio come il gratuito patrocinio, la precisione e la veridicità delle informazioni sono requisiti non negoziabili. Affidarsi a calcoli approssimativi, a indicatori non pertinenti come l’ISEE o sperare nella non rilevanza di piccole omissioni è una strategia rischiosa che può portare a una condanna penale. La sentenza conferma che la lealtà verso le istituzioni è un valore che l’ordinamento protegge con severità, punendo la condotta mendace a prescindere dal danno economico effettivamente prodotto.

Dichiarare il falso nella domanda per il gratuito patrocinio è reato anche se si avrebbe comunque diritto al beneficio?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il reato di false dichiarazioni (art. 95 d.P.R. 115/2002) è un reato di pura condotta. Ciò significa che è sufficiente presentare una dichiarazione non veritiera per essere punibili, indipendentemente dal fatto che, anche con i dati corretti, si sarebbe rientrati nei limiti di reddito per ottenere il beneficio.

Sbagliare a indicare il reddito per ignoranza o per essersi fidati di un calcolo diverso (come l’ISEE) è una scusante valida?
No. Secondo la sentenza, l’errore sulla nozione di reddito rilevante ai fini del gratuito patrocinio è un errore sulla legge penale, che non è considerato una scusante. Il cittadino ha il dovere di informarsi su quali siano i criteri corretti stabiliti dalla legge e non può giustificare la falsità basandosi su altri indicatori economici o sulla propria ignoranza.

Una piccola differenza tra il reddito dichiarato e quello reale può essere considerata di “particolare tenuità” e quindi non punibile?
Non necessariamente. La Corte ha rigettato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) valutando negativamente la condotta nel suo complesso. La decisione tiene conto non solo della differenza numerica, ma anche della natura del bene protetto (l’erogazione di risorse pubbliche), della personalità dell’imputato e delle modalità della condotta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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