Gratuito Patrocinio Falsa Dichiarazione: La Cassazione Conferma la Condanna
L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non ha le risorse economiche per sostenere le spese di un processo. Lo strumento che assicura questo diritto è il gratuito patrocinio, ma la sua concessione si basa su un presupposto imprescindibile: la sincerità del richiedente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce le gravi conseguenze per chi presenta una gratuito patrocinio falsa dichiarazione, sottolineando come l’omissione di redditi ingenti non possa essere considerata una semplice svista.
I Fatti del Processo
Il caso riguarda un uomo condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 95 del Testo Unico sulle spese di giustizia. L’imputato aveva presentato istanza per essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, autocertificando un reddito pari a zero. Tuttavia, le indagini avevano rivelato una realtà ben diversa: per gli anni d’imposta di riferimento (2015 e 2016), l’uomo aveva percepito redditi per circa 76.000 euro e 61.000 euro.
La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità penale, limitandosi a ridurre la pena a dieci mesi di reclusione. La difesa dell’imputato, non rassegnandosi alla condanna, ha proposto ricorso per Cassazione.
Le ragioni del ricorso sulla gratuito patrocinio falsa dichiarazione
Il ricorso davanti alla Suprema Corte si fondava su due principali motivi:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo: La difesa sosteneva che mancasse la prova della volontà colpevole (dolo) di commettere il reato. In altre parole, l’imputato non avrebbe agito con la consapevolezza di dichiarare il falso.
2. Totale incapacità di intendere e di volere: Si contestava che i giudici di merito non avessero adeguatamente considerato un presunto vizio totale di mente dell’imputato al momento dei fatti.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle questioni sollevate, ma si ferma a un livello procedurale, ritenendo i motivi di ricorso non idonei a provocare una nuova valutazione del caso.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato in modo chiaro e netto le ragioni dell’inammissibilità.
Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla mancanza di dolo, i giudici hanno evidenziato che si trattava di una mera riproposizione delle stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello. Il ricorrente non si era confrontato con la motivazione della Corte territoriale, la quale aveva logicamente dedotto la piena consapevolezza dell’imputato dalla palese e ingente discrasia tra il reddito zero dichiarato e le decine di migliaia di euro effettivamente percepite. Secondo la Corte, è impossibile non essere a conoscenza di redditi di tale entità.
Anche il secondo motivo, basato sul presunto vizio di mente, è stato giudicato inammissibile. La Corte d’Appello aveva già affrontato e risolto la questione, basando la propria decisione sugli esiti di una consulenza tecnica d’ufficio che aveva escluso l’incapacità dell’imputato. Il ricorso, anche in questo caso, si è limitato a ripetere la doglianza senza criticare specificamente il ragionamento logico seguito dai giudici di merito.
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento offre due importanti lezioni. La prima, di natura sostanziale, è che l’onestà nella richiesta di accesso al gratuito patrocinio è un requisito non negoziabile. Omettere redditi significativi non è un errore perdonabile, ma un reato che presuppone la piena consapevolezza della falsità della dichiarazione. La sproporzione tra il dichiarato e il reale è di per sé una prova schiacciante dell’elemento soggettivo.
La seconda lezione è di carattere processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono semplicemente ripresentare le stesse argomentazioni. È necessario, invece, individuare specifici vizi di legittimità nella sentenza impugnata, dialogando criticamente con le sue motivazioni. Un ricorso meramente reiterativo e aspecifico è destinato a essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Omettere redditi elevati nella richiesta di gratuito patrocinio è considerato un errore scusabile?
No. Secondo la Corte, la palese discrasia quantitativa tra i redditi effettivi (in questo caso, oltre 60.000 euro) e quelli dichiarati (zero) rende evidente la piena consapevolezza dell’imputato di dichiarare il falso, escludendo la possibilità di un errore scusabile.
È sufficiente riproporre in Cassazione gli stessi motivi dell’appello per ottenere una revisione della sentenza?
No. Il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile proprio perché i motivi erano meramente reiterativi di quelli già dedotti in appello, senza un reale confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata. Il ricorso deve evidenziare vizi di legittimità specifici, non riproporre le stesse questioni di merito.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, qui determinata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37058 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37058 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/09/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
La Corte di Appello di Lecce, con la sentenza ora impugnata, ha riformato solo quanto alla pena, riducendola, anche considerando l’art. 89 cod.pen., a mesi dieci di reclusione, la sentenza del 22 gennaio 2020 del Tribunale della stessa sede, resa in sede di giudizio abbreviato, di condanna di NOME COGNOME, ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 95 del D.P.R. 30 maggio 2002, per aver omesso di dichiarare nella dichiarazione sostitutiva di certificazione per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per gli anni di imposta 2015 e 2016, l’esistenza di redditi difformi da quelli reali, avendo autocertificato un reddito pari a zero.
Avverso la sentenza l’imputato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso formulando due motivi, con i quali deduce: 1) violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in ragione della totale incapacità di intendere e di volere dell’imputato, non accertata dalla sentenza impugnata.
Il primo profilo di censura è inammissibile, in quanto meramente reiterativo di motivo già dedotto in sede di impugnazione, in assenza di confronto con la motivazione della sentenza impugnata. La Corte territoriale ha chiarito, con motivazione congrua e quindi in questa sede non attacabile, che il processo per cui era stato chiesto il beneficio aveva ad oggetto otto episodi di truffa on line commessi nell’anno 2014, mentre l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio era stata presentata il 17 novembre 2017, per cui i redditi rilevanti erano quelli del 2015 o 2016, e tali redditi erano stati accertati nella misura, rispettivamente, di euro 76.469,00 e di euro 61.717,00. Tale palese discrasia quantitativa tra i redditi effettivi ed il tetto previsto, rendeva evidente la piena consapevolezza dell’imputato. Il percorso argomentativo con cui nel caso di specie la Corte è giunta a ritenere provato anche l’elemento soggettivo del reato è coerente con i dati riportati e rispettoso dei principi su indicati. I giudici hanno spiegato che l’imputato aveva omesso di indicare redditi da lui stesso percepiti, di cui pertanto non poteva non essere a conoscenza.
Il secondo motivo è parimenti inammissibile perché non si confronta con la motivazione addotta, alla pagina 2 della sentenza, ove il tema del vizio totale di mente è stato disatteso in relazione alla espletata consulenza tecnica d’ufficio che lo ha escluso. A fronte di ciò il motivo di ricorso per cassazione è del tutto reiterativo di quello di appello ed aspecifico.
Per tali ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non
sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa dell ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2024.