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Gratuito patrocinio falsa dichiarazione: il ricorso

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per gratuito patrocinio falsa dichiarazione. L’imputato aveva autocertificato un reddito nullo, omettendo redditi per oltre 60.000 euro. Il ricorso è stato giudicato reiterativo e non confrontato con le motivazioni della sentenza d’appello, che aveva già escluso la mancanza di dolo e l’incapacità di intendere e volere.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Gratuito Patrocinio Falsa Dichiarazione: La Cassazione Conferma la Condanna

L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non ha le risorse economiche per sostenere le spese di un processo. Lo strumento che assicura questo diritto è il gratuito patrocinio, ma la sua concessione si basa su un presupposto imprescindibile: la sincerità del richiedente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce le gravi conseguenze per chi presenta una gratuito patrocinio falsa dichiarazione, sottolineando come l’omissione di redditi ingenti non possa essere considerata una semplice svista.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda un uomo condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 95 del Testo Unico sulle spese di giustizia. L’imputato aveva presentato istanza per essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato, autocertificando un reddito pari a zero. Tuttavia, le indagini avevano rivelato una realtà ben diversa: per gli anni d’imposta di riferimento (2015 e 2016), l’uomo aveva percepito redditi per circa 76.000 euro e 61.000 euro.

La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità penale, limitandosi a ridurre la pena a dieci mesi di reclusione. La difesa dell’imputato, non rassegnandosi alla condanna, ha proposto ricorso per Cassazione.

Le ragioni del ricorso sulla gratuito patrocinio falsa dichiarazione

Il ricorso davanti alla Suprema Corte si fondava su due principali motivi:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo: La difesa sosteneva che mancasse la prova della volontà colpevole (dolo) di commettere il reato. In altre parole, l’imputato non avrebbe agito con la consapevolezza di dichiarare il falso.
2. Totale incapacità di intendere e di volere: Si contestava che i giudici di merito non avessero adeguatamente considerato un presunto vizio totale di mente dell’imputato al momento dei fatti.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle questioni sollevate, ma si ferma a un livello procedurale, ritenendo i motivi di ricorso non idonei a provocare una nuova valutazione del caso.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato in modo chiaro e netto le ragioni dell’inammissibilità.

Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla mancanza di dolo, i giudici hanno evidenziato che si trattava di una mera riproposizione delle stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello. Il ricorrente non si era confrontato con la motivazione della Corte territoriale, la quale aveva logicamente dedotto la piena consapevolezza dell’imputato dalla palese e ingente discrasia tra il reddito zero dichiarato e le decine di migliaia di euro effettivamente percepite. Secondo la Corte, è impossibile non essere a conoscenza di redditi di tale entità.

Anche il secondo motivo, basato sul presunto vizio di mente, è stato giudicato inammissibile. La Corte d’Appello aveva già affrontato e risolto la questione, basando la propria decisione sugli esiti di una consulenza tecnica d’ufficio che aveva escluso l’incapacità dell’imputato. Il ricorso, anche in questo caso, si è limitato a ripetere la doglianza senza criticare specificamente il ragionamento logico seguito dai giudici di merito.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento offre due importanti lezioni. La prima, di natura sostanziale, è che l’onestà nella richiesta di accesso al gratuito patrocinio è un requisito non negoziabile. Omettere redditi significativi non è un errore perdonabile, ma un reato che presuppone la piena consapevolezza della falsità della dichiarazione. La sproporzione tra il dichiarato e il reale è di per sé una prova schiacciante dell’elemento soggettivo.

La seconda lezione è di carattere processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono semplicemente ripresentare le stesse argomentazioni. È necessario, invece, individuare specifici vizi di legittimità nella sentenza impugnata, dialogando criticamente con le sue motivazioni. Un ricorso meramente reiterativo e aspecifico è destinato a essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Omettere redditi elevati nella richiesta di gratuito patrocinio è considerato un errore scusabile?
No. Secondo la Corte, la palese discrasia quantitativa tra i redditi effettivi (in questo caso, oltre 60.000 euro) e quelli dichiarati (zero) rende evidente la piena consapevolezza dell’imputato di dichiarare il falso, escludendo la possibilità di un errore scusabile.

È sufficiente riproporre in Cassazione gli stessi motivi dell’appello per ottenere una revisione della sentenza?
No. Il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile proprio perché i motivi erano meramente reiterativi di quelli già dedotti in appello, senza un reale confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata. Il ricorso deve evidenziare vizi di legittimità specifici, non riproporre le stesse questioni di merito.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, qui determinata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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