Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45384 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45384 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME natq a MILANO il 21/05/1982
avverso la sentenza del 11/06/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOMECOGNOME a mezze del proprio difensore, ha proposto ricorso avverso la sentenza in epigrafe deducendo violazione di legge e/o vizio motivazionale relazione all’affermata responsabilità contestando la motivazione della sentenza impugnata in punto di elemento soggettivo del reato, laddove la Corte territoriale non ha tenuto conto, a tal fine, che la madre dell’imputata non era più convivente con lei al momento in cui era stata presentata la domanda, anche se lo era stata nell’anno fiscale di riferimento.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Ritiene il Collegio che i motivi proposti siano inammissibili in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello, e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata, senza in alcun modo sottoporle ad autonoma e argomentata confutazione. Ed è ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso Sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, COGNOME non mass.; conf. Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, COGNOME, Rv. 240109; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, COGNOME, Rv. 221693). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In ogni caso, i motivi in questione sono manifestamente infondati, in quanto tesi ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede, e pertanto il proposto ricorso vada dichiarato inammissibile.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando l
struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.
Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato la tesi oggi riproposta, ivi compresa quella circa l’elemento soggettivo del reato, evidenziando come, ai sensi degli artt. 76 e 79 d.P.R. n. 115/2002, il concetto di “famiglia anagrafica” che viene rilievo è quel che tenga conto non solo delle risultanze anagrafiche in senso stretto, bensì anche dei soggetti conviventi cc l’istante, il cui reddito viene in considerazione proprio per la relazione tra essi esistente. E ribadendo che il reddito che rileva è quello risultante dall’uitima dichiarazione, intesa come quella per cui, al momento de deposito dell’istanza di ammissione; è decorso il termine ultimo per la presentazione, salvo che, quando l’istanza venga depositata, la dichiarazione dei redditi sia già stata effettivamente presentata (Sez. 4, n. 16716/2024).
Nel 2022 detto termine, relativo ai redditi 2021, era fissato al 30 novembre, ancora non scaduto l’8 febbraio 2022, data di presentazione dell’istanza di ammissione da parte di NOME che, come sopra chiarito in punto di ricostruzione fattuale, non aveva ancora presentato dichiarazione, facendo lei stessa riferimento all’anno di imposta 2020, allegando relativo CUD.
Sul piano soggettvo l’imputata era chiaramente consapevole pure di aver convissuto con la madre sino al 14.12,2021 e correttamente viene evidenziato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, l’ eventuale errore sulla nozione di reddito rilevante ai fini dell’ammissione al beneficio non esclude l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, non trattandosi di errore su legge extrapenale, posto che l’art. 76 del medesimo decreto è espressamente richiamato dalla predetta norma incriminatrice (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 418 del 25/11/2021, dep. 2022, Rv. 282560 -01).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 dei 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue queLa al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/11/2024