Gratuito patrocinio: la consapevolezza dell’omissione esclude la non punibilità
L’accesso al gratuito patrocinio è un diritto fondamentale, ma è subordinato a requisiti di reddito precisi, la cui attestazione richiede la massima trasparenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito il rigore con cui viene valutata la veridicità delle dichiarazioni presentate, sottolineando come la consapevolezza di possedere redditi, anche se correttamente indicati in altre sedi come la dichiarazione fiscale, renda penalmente rilevante la loro omissione nella domanda di ammissione al beneficio.
I Fatti del Caso: Una Dichiarazione Incompleta
Il caso esaminato riguarda un cittadino condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. n. 115/2002. L’imputato aveva presentato istanza per essere ammesso al gratuito patrocinio omettendo di dichiarare alcuni redditi, specificamente quelli derivanti da lavoro dipendente e da una prestazione economica erogata dall’INPS. Tali redditi, se sommati, avrebbero superato la soglia prevista dalla legge per accedere al beneficio.
L’interessato ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi principali:
1. La mancanza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo. A suo dire, non vi era la prova della volontà di frodare lo Stato.
2. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), data la presunta lieve entità dell’offesa.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente le decisioni dei giudici di merito. I motivi del ricorso sono stati giudicati come una semplice riproposizione di argomentazioni già esaminate e correttamente respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza sollevare nuove e specifiche critiche alla sentenza d’appello.
Le Motivazioni: la prova del dolo nel gratuito patrocinio
La Corte ha smontato le tesi difensive con argomentazioni logico-giuridiche precise, che meritano un’analisi approfondita per le loro implicazioni pratiche.
La Consapevolezza Dimostrata dalla Dichiarazione dei Redditi
Il punto centrale della decisione riguarda la prova del dolo. La difesa sosteneva la mancanza di intenzione fraudolenta. La Corte di Cassazione, invece, ha avvalorato il ragionamento dei giudici d’appello, i quali avevano notato una circostanza decisiva: l’imputato aveva correttamente e puntualmente indicato i redditi omessi nella propria dichiarazione fiscale (modello 730).
Secondo i giudici, questo fatto, lungi dal dimostrare la buona fede, prova esattamente il contrario. Aver inserito quei redditi nel modello 730 dimostra la piena consapevolezza della loro esistenza e della loro rilevanza fiscale. Di conseguenza, l’omissione degli stessi nella domanda per il gratuito patrocinio non può essere attribuita a una svista o a ignoranza, ma a una precisa scelta volontaria finalizzata a ottenere un beneficio a cui non si aveva diritto. Si configura così, in modo inequivocabile, l’elemento psicologico del dolo.
L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p., è stato respinto. La Corte ha spiegato che la valutazione sulla particolare tenuità del fatto richiede un’analisi complessa che tenga conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell’entità del danno.
Nel caso specifico, l’intensità del dolo, dimostrata dalla piena consapevolezza dell’omissione, è stata considerata un elemento ostativo all’applicazione della causa di non punibilità. La condotta non è stata ritenuta marginale o occasionale, ma espressione di una chiara volontà di eludere la legge. La Corte ha quindi applicato correttamente i principi stabiliti dalle Sezioni Unite, secondo cui una colpevolezza così marcata non è compatibile con la qualificazione del fatto come di particolare tenuità.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza della Cassazione offre un importante monito: la massima attenzione e onestà sono richieste nella compilazione delle istanze per l’accesso a benefici statali come il gratuito patrocinio. La pronuncia chiarisce che la buona fede non può essere presunta e che la coerenza tra le varie dichiarazioni rese dal cittadino (fiscali, amministrative, ecc.) può essere utilizzata come elemento di prova a suo carico. Chi omette volontariamente redditi non potrà invocare né la mancanza di dolo né la tenuità del fatto, soprattutto se quegli stessi redditi sono stati dichiarati in altre sedi, poiché tale circostanza diventa la prova regina della sua consapevolezza e, quindi, della sua colpevolezza.
Se indico correttamente i miei redditi nella dichiarazione fiscale ma li ometto nella domanda per il gratuito patrocinio, posso essere accusato di reato?
Sì. Secondo la Corte, aver dichiarato correttamente i redditi in sede fiscale dimostra la piena consapevolezza della loro esistenza e del dovere di dichiararli. Ometterli nella domanda per il gratuito patrocinio integra l’elemento soggettivo del dolo, ovvero l’intenzione di ottenere indebitamente il beneficio.
L’omissione di redditi nella richiesta di gratuito patrocinio può essere considerata un ‘fatto di particolare tenuità’ non punibile?
No, non in questo caso. La Corte ha stabilito che la piena consapevolezza nell’omettere i redditi e l’intensità del dolo (l’intenzione di ingannare) impediscono di qualificare il fatto come di ‘particolare tenuità’ ai sensi dell’art. 131-bis c.p., rendendo quindi il reato punibile.
Cosa succede se il ricorso in Cassazione si limita a ripetere le stesse argomentazioni già respinte nei gradi di giudizio precedenti?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione non riesamina il merito dei fatti, ma valuta la corretta applicazione della legge. Se i motivi del ricorso sono una mera riproposizione di censure già adeguatamente valutate e respinte, senza una critica specifica alla sentenza impugnata, il ricorso non può essere accolto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11022 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11022 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DI LIBERATORE NOME nato a NOTARESCO il 17/08/1968
avverso la sentenza del 08/03/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, tramite Difensore di fiducia, per la cassazione della sentenza con la quale la Corte di appello di Ancona 1’8 marzo 2024 ha integralmente confermato la decisione del Tribunale di Ascoli Piceno, appellata dall’imputato, del 21 marzo 2022 che, all’esito del dibattimento, ha riconosciuto lo stesso responsabile del reato di cui all’art. 95 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, fatto contestato come commesso il 5 ottobre 2017, e, in conseguenza, lo ha condannato alla pena stimata di giustizia.
L’imputato con il primo motivo di ricorso censura l’illogicità del compendio motivazionale per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen., nonché degli artt. 111 Cost. e 6 § 1 Cedu, in particolare con riferimento alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato; con il secondo censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., per non essere stata riconosciuto la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
L’impugnazione è manifestamente infondata, per le seguenti ragioni. I motivi di ricorso appaiono meramente riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti logico-giuridici da parte dei giudici di merito e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni a base della sentenza impugnata.
3.1. Con specifico riferimento al primo motivo, il giudice di secondo grado ha adeguatamente argomentato e motivato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato e, dunque, provato l’intento dell’imputato di conseguire indebitamente il beneficio, sulla base degli accertamenti svolti e dei dati dichiarati nel modello 730, che dava conto dei redditi di lavoro dipendente e della prestazione economica erogata dall’INPS, tutti redditi imponibili ex art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002. In particolare, alla p. 3, la Corte di appello ha argomentato, in maniera non manifestamente illogica, che la circostanza per cui l’imputato aveva correttamente indicato i suddetti redditi dimostri, in realtà, la sua consapevolezza del doverli dichiarare ai fini dell’accesso al beneficio.
3.2. Quanto alla richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p., la Corte territoriale ha argomentato circa l’impossibilità di qualificare il fatto in termini particolare tenuità, traendo elementi di valutazione dall’intensità del dolo e dalla piena consapevolezza della omessa indicazione dei redditi rilevanti ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, facendo così corretta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590: «Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 13
bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo»).
Essendo, in definitiva, il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue anche quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 12/12/2024.