Graduazione pena: la Cassazione fissa i paletti per l’impugnazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13229 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema centrale del diritto penale: i limiti all’impugnazione delle sentenze per motivi legati alla graduazione della pena. Questa decisione rafforza un principio consolidato, chiarendo quando e come la valutazione discrezionale del giudice di merito possa essere oggetto di riesame in sede di legittimità. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere la distinzione tra il merito della decisione e il controllo sulla sua legittimità.
I fatti del processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente sollevava due principali censure. La prima riguardava l’omessa motivazione su alcuni motivi aggiunti presentati in appello. La seconda, invece, contestava l’eccessività della pena inflitta, ritenuta sproporzionata.
La decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Per quanto riguarda il primo motivo, i giudici hanno osservato che i motivi aggiunti erano stati correttamente ritenuti non proponibili, in quanto vertevano sulla quantificazione della pena, un argomento non trattato nell’appello principale.
Sul secondo e più rilevante punto, quello relativo all’eccessività della sanzione, la Corte ha ribadito la sua posizione costante in materia. La graduazione della pena, infatti, non è di competenza della Cassazione.
Le motivazioni
La motivazione della Suprema Corte si fonda su un principio cardine del nostro ordinamento processuale: la netta separazione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. La determinazione della pena, inclusi gli aumenti per le aggravanti e le diminuzioni per le attenuanti, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato in aderenza ai criteri guida stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono di valutare la gravità del fatto e la capacità a delinquere del reo.
La Cassazione può intervenire su tale valutazione solo in casi eccezionali, ovvero quando la decisione del giudice di merito risulti frutto di “mero arbitrio o di ragionamento illogico”. Non è sufficiente che l’imputato ritenga la pena semplicemente “troppo alta”; è necessario dimostrare un vizio palese nel percorso logico-giuridico seguito dal giudice. Nel caso specifico, i giudici hanno evidenziato come la pena fosse stata determinata in una misura vicina al minimo edittale e che la motivazione faceva riferimento alla gravità del fatto, escludendo così ogni ipotesi di arbitrarietà o illogicità.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che tentare di ottenere una “nuova valutazione della congruità della pena” in Cassazione è una strada quasi sempre preclusa. Il ricorso per la cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti o l’entità della sanzione. Per avere successo, un ricorso focalizzato sulla pena deve attaccare non l’esito della decisione, ma il processo decisionale stesso, dimostrando che il giudice ha violato la legge o ha seguito un ragionamento manifestamente viziato. Questa pronuncia serve da monito: la discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena è ampia e, se correttamente esercitata, insindacabile in sede di legittimità.
È possibile impugnare in Cassazione una sentenza solo perché si ritiene la pena eccessiva?
No, non è sufficiente. Il ricorso è inammissibile se non si dimostra che la decisione del giudice di merito è frutto di pura arbitrarietà o di un ragionamento palesemente illogico. La semplice discordanza con l’entità della pena non costituisce un valido motivo di ricorso.
Qual è il ruolo del giudice di merito nella determinazione della pena?
Il giudice di merito ha un potere discrezionale nella graduazione della pena. Deve stabilire la sanzione concreta all’interno dei limiti minimi e massimi previsti dalla legge, basando la sua decisione sui criteri indicati negli articoli 132 e 133 del codice penale, come la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.
Perché i ‘motivi aggiunti’ sono stati considerati inammissibili in questo caso?
Sono stati ritenuti inammissibili perché riguardavano la quantificazione della pena, una questione che non era stata oggetto dell’appello principale. Di conseguenza, non era possibile introdurre tale argomento in una fase successiva tramite motivi aggiunti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13229 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13229 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MARSALA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/11/2022 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e la sentenza impugnata; esamiNOME il motivo di ricorso;
Considerato che la prima doglianza dell’unico motivo, avente ad oggetto l’omessa motivazione sui motivi aggiunti, è manifestamente infondata in quanto tali motivi risultavano non proponibili perché afferenti alla pena, questione non oggetto dell’appello principale.
Rilevato che anche la seconda doglianza dell’unico motivo, avente ad oggetto la eccessività della pena è inammissibile. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre in presenza di pena determinata in misura prossima al minimo edittale e dell’apprezzamento del giudice di merito che ha richiamato la gravità del fatto.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 2 novembre 2023
Il Consigliere esténsore
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Il Pre
ente
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