Graduazione della pena: discrezionalità del giudice e limiti del ricorso
La graduazione della pena è uno degli aspetti più delicati del processo penale, rappresentando il momento in cui il giudice traduce la responsabilità penale in una sanzione concreta. Ma fino a che punto questa decisione può essere contestata? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 19051/2024) fa luce sui limiti del ricorso avverso la quantificazione della pena, ribadendo un principio fondamentale: la valutazione del giudice di merito è ampiamente discrezionale e sindacabile solo in casi eccezionali.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli. L’unico motivo di doglianza riguardava il trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo. In particolare, si contestava la quantificazione della pena base e degli aumenti applicati per i reati in continuazione, sostenendo che la decisione dei giudici di merito non fosse adeguatamente motivata.
La Decisione della Corte sulla Graduazione della Pena
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che la graduazione della pena, sia per il reato principale sia per gli aumenti legati alla continuazione, è un’attività che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere non può essere oggetto di un sindacato in sede di legittimità, a meno che la decisione non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico.
Il ricorso per cassazione non è una terza istanza di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. Il suo scopo è garantire l’osservanza della legge e la corretta interpretazione delle norme, non sostituire la valutazione del giudice che ha esaminato le prove direttamente.
Le Motivazioni: Quando la Pena è “Congrua”?
La Corte ha sottolineato che l’obbligo di motivazione del giudice è stato pienamente rispettato. Non è necessaria una motivazione analitica e dettagliata per ogni singolo aspetto della quantificazione della pena, soprattutto quando la sanzione inflitta è inferiore alla media edittale prevista dalla legge.
Secondo l’ordinanza, il richiamo agli elementi previsti dall’art. 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del reo) o l’utilizzo di espressioni sintetiche come “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento” sono sufficienti a dare conto del percorso logico seguito dal giudice. Queste formule, se non contraddette da evidenti illogicità, adempiono all’onere argomentativo e rendono la decisione incensurabile in Cassazione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: non basta essere in disaccordo con la pena inflitta per poterla contestare efficacemente in Cassazione. È necessario dimostrare un vizio grave nella motivazione, come una palese irrazionalità o l’omissione totale di una valutazione degli elementi di legge. La discrezionalità del giudice di merito nella graduazione della pena è ampia e tutelata, e il ricorso basato su una mera speranza di ottenere uno sconto di pena è destinato all’inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione a favore della Cassa delle ammende.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa da un giudice?
No, non è possibile contestare la quantità della pena semplicemente perché la si ritiene troppo severa. Il ricorso in Cassazione è ammesso solo se la decisione del giudice sulla graduazione della pena è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, e non per una nuova valutazione nel merito.
Come deve motivare un giudice la quantificazione della pena?
Secondo l’ordinanza, non è sempre necessaria una motivazione specifica e dettagliata. L’uso di espressioni come “pena congrua” o “pena equa”, insieme al richiamo ai criteri generali dell’art. 133 c.p., è considerato sufficiente a giustificare la decisione, specialmente se la pena inflitta è inferiore alla media prevista dalla legge per quel reato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la persona che lo ha proposto viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19051 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19051 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/06/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, in punto di trattamento sanzionatorio, non è consentito in quanto, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudice del merito, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti previsti per i reati in continuazione, non può costituire oggetto di ricorso per cassazione laddove la relativa determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico;
che, nella specie, l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale (si veda, in particolare, pag. 3);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 19 marzo 2024.