Graduazione della Pena: Il Ruolo del Giudice e i Limiti del Ricorso
La graduazione della pena rappresenta uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice è chiamato a tradurre in una sanzione concreta la valutazione sulla gravità di un reato e sulla colpevolezza dell’imputato. Ma quali sono i limiti di questo potere? E fino a che punto una decisione sulla quantità della pena può essere contestata in Cassazione? Un’ordinanza della Suprema Corte chiarisce i confini della discrezionalità del giudice di merito e l’inammissibilità dei ricorsi che mirano a una nuova valutazione nel merito.
Il Caso in Esame: Dal Tribunale alla Cassazione
Il caso analizzato prende le mosse da una condanna per un reato legato agli stupefacenti. La Corte d’Appello, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva riqualificato il fatto come di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti, rideterminando di conseguenza la pena.
Nonostante la pena inflitta fosse sensibilmente inferiore a quella originaria e prossima ai minimi di legge, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione. A suo dire, la Corte d’Appello aveva determinato la nuova sanzione in maniera ‘apodittica’, ovvero senza fornire una giustificazione adeguata.
Il Principio della Graduazione della Pena secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali in materia di determinazione della sanzione penale.
La Discrezionalità del Giudice di Merito
Il fulcro della decisione risiede nel riconoscimento dell’ampia discrezionalità del giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello) nella graduazione della pena. Questo potere, da esercitare nel rispetto dei criteri fissati dagli articoli 132 e 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere, etc.), non può essere messo in discussione in sede di legittimità se non in casi eccezionali.
Il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. Pertanto, è inammissibile una censura che miri a ottenere una nuova valutazione della congruità della pena, a meno che la determinazione del giudice non sia il risultato di un palese arbitrio o di un ragionamento manifestamente illogico.
Quando è Necessaria una Motivazione Dettagliata?
Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda l’obbligo di motivazione. L’ordinanza chiarisce che una motivazione specifica e dettagliata sulla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto quando la sanzione si colloca su livelli di gran lunga superiori alla misura media prevista dalla legge per quel reato.
In caso contrario, e specialmente per pene vicine al minimo edittale, possono essere sufficienti espressioni sintetiche come ‘pena congrua’ o ‘pena equa’, oppure un semplice richiamo alla gravità dei fatti. Nel caso di specie, il possesso di 4,5 grammi di cocaina suddivisi in nove involucri è stato ritenuto un fatto ‘non certo minimale’, giustificando la valutazione operata dai giudici di merito.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso perché la richiesta dell’imputato si risolveva in una pretesa di rivalutazione del merito, vietata in sede di legittimità. I giudici hanno sottolineato che la pena inflitta dalla Corte d’Appello non solo era significativamente più bassa di quella di primo grado, ma era anche vicina al minimo legale. La valutazione dei giudici di merito non è apparsa né arbitraria né illogica, avendo essi implicitamente considerato gli elementi dell’art. 133 c.p., come la natura e la quantità della sostanza, per definire una ‘pena congrua’. Non sussisteva, quindi, alcun vizio di motivazione censurabile in Cassazione.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza conferma un orientamento consolidato: la scelta sull’entità della pena è una prerogativa quasi esclusiva del giudice di merito. Per poter contestare con successo la graduazione della pena in Cassazione, non è sufficiente ritenere la sanzione ‘troppo alta’, ma è necessario dimostrare che il giudice ha commesso un errore logico palese o ha agito in modo del tutto arbitrario. In assenza di tali vizi, il ricorso volto a una mera rinegoziazione della pena sarà dichiarato inammissibile, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È possibile contestare in Cassazione la quantità di pena decisa da un giudice?
Generalmente no. La determinazione dell’entità della pena (graduazione della pena) è un potere discrezionale del giudice di merito. Si può contestare solo se la decisione è frutto di arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico, non per una semplice valutazione di ‘non congruità’.
Il giudice deve sempre motivare in modo dettagliato perché ha scelto una determinata pena?
No. Secondo la sentenza, una motivazione specifica e dettagliata sulla quantità di pena è necessaria solo quando questa è di gran lunga superiore alla misura media prevista dalla legge. Per pene vicine al minimo edittale, sono sufficienti espressioni generiche come ‘pena congrua’ o il richiamo alla gravità del fatto.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base a quanto deciso nel provvedimento, alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (nel caso specifico, tremila euro) a favore della cassa delle ammende, a causa della colpa nella proposizione di un ricorso infondato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 51852 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 51852 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/12/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MESSINA il 27/01/1993
avverso la sentenza del 10/01/2019 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO
La CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA, con sentenza in data 10/01/2019, provvedendo in sede di rinvio (successivamente ad annullamento, da parte di questa Corte, disposto con sentenza del 28.1.2017), riformava parzialmente la sentenza pronunciata dal TRIBUNALE di MESSINA, in data 10/05/2013, nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME riqualificando la condotta ai sensi dell’art. 73 comma 5, DPR n. 309 del 1990 e rideterminando il trattamento sanzionatorio. Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente motivo: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio, determinato dal giudice de rinvio in maniera apodittica.
Il motivo è inammissibile; la pena determinata in seconda battuta dall’appello è sensibilmente inferiore a quella determinata dal primo giudice e prossima ai minimi edittali.
Tanto premesso, devesi considerare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nel discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., elementi che nella specie son stati già considerati dai giudici del merito (cfr., in particolare, la sentenza di primo grad discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o d ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, COGNOME, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.
A tanto si aggiunga che una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni de ‘pena congrua’, ‘pena equa’ o ‘congruo aumento’, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596), tutti elementi
valorizzati dai giudici del merito in vicenda non certo minimale (trattasi di 4,5 gr. di co suddivisi in nove involucri) .
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determin della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Così deciso il 03/12/2019