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Graduazione della pena: discrezionalità del giudice

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso riguardante la graduazione della pena. La Corte ha ribadito che la determinazione della sanzione rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è adeguata, come nel caso di specie, dove si è tenuto conto dei precedenti penali dell’imputato.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Graduazione della pena: i limiti al sindacato della Cassazione

La corretta graduazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice è chiamato a tradurre in una sanzione concreta la valutazione della gravità del reato e della personalità dell’imputato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: questa valutazione rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito e non può essere oggetto di un nuovo esame in sede di legittimità, se non in casi eccezionali. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.

Il Caso: Ricorso contro la Determinazione della Pena

Un imputato, condannato in primo grado e in appello per il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale (previsto dall’art. 495, comma 2, del codice penale), ha presentato ricorso per cassazione. Il motivo principale del ricorso era incentrato sulla presunta violazione dell’art. 133 del codice penale, che elenca i criteri per la commisurazione della sanzione. Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avevano motivato in modo adeguato la quantificazione della pena inflitta, discostandosi dai principi di legge.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Con una motivazione sintetica ma estremamente chiara, i giudici hanno spiegato perché le doglianze del ricorrente non potevano trovare accoglimento. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale che traccia una linea netta tra il giudizio di merito, che valuta i fatti, e quello di legittimità, che controlla la corretta applicazione del diritto.

Le Motivazioni: la Discrezionalità nella Graduazione della Pena

Il cuore della decisione risiede nel concetto di discrezionalità del giudice di merito. La Corte di Cassazione ha ribadito che la scelta della pena base, così come la valutazione delle circostanze aggravanti e attenuanti, è un’attività che la legge affida al giudice che ha gestito il processo nelle fasi precedenti. Questo potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato nel rispetto dei principi sanciti dagli articoli 132 e 133 del codice penale.

Il Ruolo dell’Art. 133 del Codice Penale

L’articolo 133 c.p. fornisce al giudice una serie di indicatori per la graduazione della pena, quali la gravità del danno, l’intensità del dolo o il grado della colpa, i motivi a delinquere e il carattere del reo. Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che i giudici di appello avevano adempiuto al loro onere di motivazione, facendo un riferimento esplicito e congruo agli elementi ritenuti decisivi. In particolare, era stata valorizzata, a sfavore dell’imputato, la presenza di precedenti penali, un elemento che rientra a pieno titolo tra i criteri di valutazione della capacità a delinquere.

I Limiti del Sindacato di Legittimità

La Corte Suprema non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il suo compito è verificare che la motivazione esista, che sia logicamente coerente e che non sia in contrasto con la legge. Un ricorso che si limiti a contestare l’entità della pena, proponendo una diversa valutazione degli stessi elementi già considerati, è destinato all’inammissibilità. In questo caso, il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato proprio perché non denunciava un vizio logico o una violazione di legge, ma una mera divergenza sulla valutazione discrezionale del giudice.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza conferma che la strategia difensiva in appello e in cassazione deve essere calibrata con attenzione. Contestare la graduazione della pena in sede di legittimità è un’impresa ardua e ha successo solo quando si riesce a dimostrare un vero e proprio ‘vizio’ della motivazione (ad esempio, manifesta illogicità, contraddittorietà o totale assenza). Non è sufficiente sostenere che la pena sia ‘troppo alta’. La decisione finale sulla quantità della sanzione, se adeguatamente motivata, resta saldamente nelle mani del giudice di merito. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche a versare una somma alla Cassa delle ammende, a causa della manifesta infondatezza del suo ricorso.

È possibile contestare in Cassazione la quantità di pena decisa dal giudice?
No, la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione è totalmente assente, manifestamente illogica o contraddittoria, ma non per una semplice divergenza di valutazione.

Quali elementi può usare il giudice per decidere l’entità della pena?
Il giudice deve basarsi sui criteri indicati negli articoli 132 e 133 del codice penale, che includono la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo. In questo caso, la Corte ha ritenuto legittima la valutazione che ha tenuto conto anche dei precedenti penali dell’imputato.

Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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