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Gradualità trattamentale: non basta per negare la prova

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Tribunale di Sorveglianza che negava l’affidamento in prova a un detenuto. Il diniego era basato sul principio di gradualità trattamentale, ma la Corte ha stabilito che tale principio non può giustificare una decisione priva di una valutazione completa e motivata dei progressi concreti del condannato, come i permessi premio fruiti positivamente e le relazioni favorevoli degli operatori.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Gradualità Trattamentale: Un Principio da Applicare con Criterio

Il percorso di reinserimento sociale di un detenuto è un processo complesso, che la legge accompagna con vari strumenti, tra cui le misure alternative alla detenzione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sul principio di gradualità trattamentale, stabilendo che non può essere utilizzato come un pretesto per negare l’affidamento in prova al servizio sociale senza una valutazione approfondita dei progressi compiuti dal condannato.

I Fatti del Caso

Un detenuto presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Il Tribunale rigettava la richiesta per tre motivi principali:

1. L’attività lavorativa proposta non era ritenuta idonea, in quanto coinvolgeva altri pregiudicati.
2. La concessione della misura era considerata prematura, data la recente fruizione di permessi premio e la scadenza della pena non imminente.
3. Era necessario applicare un approccio di gradualità trattamentale, che prevedeva un ulteriore periodo di osservazione in carcere.

Il condannato, tramite il suo difensore, ricorreva in Cassazione, lamentando che il Tribunale avesse completamente ignorato gli elementi positivi del suo percorso: la partecipazione attiva al trattamento rieducativo, la fruizione senza problemi di quattro permessi premio e la relazione favorevole degli operatori che proponevano la concessione della misura.

La Decisione della Corte di Cassazione e l’applicazione della gradualità trattamentale

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando la decisione del Tribunale di Sorveglianza e rinviando il caso per un nuovo giudizio. Il fulcro della decisione risiede nella critica alla motivazione del provvedimento impugnato, giudicata generica, incompleta e a tratti illogica.

La Suprema Corte ha ribadito che il principio di gradualità trattamentale è un criterio razionale per valutare la concessione dei benefici penitenziari. Tuttavia, non è una regola assoluta né un dogma che consente al giudice di ignorare gli elementi concreti che dimostrano i progressi del detenuto.

Le Motivazioni

Il Tribunale di Sorveglianza, secondo la Cassazione, ha commesso un errore fondamentale: si è limitato a richiamare in modo generico le “risultanze delle documentazioni acquisite” senza spiegare in cosa consistessero, quale fosse il loro contenuto e, soprattutto, perché avesse deciso di disattendere la proposta favorevole degli operatori e il positivo apprezzamento del percorso seguito dal detenuto.

Questa omissione rende la motivazione incompleta in una sua componente fondamentale. È indispensabile, infatti, che il giudice valuti non solo l’assenza di elementi negativi, ma anche la presenza di elementi positivi che supportino un giudizio prognostico favorevole. In un caso come questo, dove il condannato aveva già beneficiato di permessi premio in modo positivo, la valutazione doveva essere ancora più attenta e dettagliata.

Inoltre, la Corte ha definito illogica la critica all’attività lavorativa proposta. Poiché il lavoro si svolgeva presso un’associazione per il recupero di detenuti, era del tutto naturale e prevedibile che coinvolgesse persone con un passato giudiziario simile.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cardine dello stato di diritto: ogni provvedimento che incide sulla libertà personale deve essere sorretto da una motivazione completa, logica e specifica. Il principio di gradualità trattamentale non può trasformarsi in un ostacolo burocratico al reinserimento sociale. Al contrario, deve essere uno strumento per personalizzare il percorso di esecuzione della pena, tenendo in debita considerazione ogni progresso compiuto dal condannato. I giudici di sorveglianza hanno il dovere di analizzare in profondità tutta la documentazione, spiegando chiaramente le ragioni delle proprie scelte, soprattutto quando queste si discostano dalle valutazioni positive degli operatori che seguono da vicino il percorso del detenuto.

Un giudice può negare l’affidamento in prova basandosi solo sul principio di gradualità, nonostante relazioni positive sul detenuto?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che il principio di gradualità trattamentale, sebbene corretto, non può essere l’unica ragione per negare una misura alternativa. Il giudice deve obbligatoriamente analizzare e motivare in modo specifico perché gli elementi positivi emersi (come permessi premio riusciti e relazioni favorevoli) non siano ritenuti sufficienti per una prognosi favorevole.

Svolgere un’attività lavorativa con altri ex-detenuti è un motivo valido per rifiutare l’affidamento in prova?
Non necessariamente. La Corte ha ritenuto illogico tale motivo quando l’attività lavorativa è proposta da associazioni che si occupano proprio del recupero dei detenuti. In tale contesto, è normale e persino auspicabile la presenza di altre persone con un percorso simile. Questo elemento, da solo, non può giustificare un diniego.

Qual è l’obbligo principale del Tribunale di Sorveglianza quando valuta una richiesta di misura alternativa?
L’obbligo principale è quello di fornire una motivazione completa, specifica e non contraddittoria. Il Tribunale deve esaminare tutti gli atti, incluse le relazioni degli operatori penitenziari, e spiegare dettagliatamente le ragioni della sua decisione. Un semplice e generico riferimento alla “documentazione acquisita”, senza specificarne il contenuto e il peso nella decisione, non è sufficiente a rendere valida la motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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