Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20062 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20062 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Foggia il 20 luglio 1985;
avverso la sentenza n. 3921 della Corte di appello di Torino del 15 luglio 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino ha, con sentenza del 15 luglio 2024 integralmente confermato la sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Ivrea, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, il precedente 20 dicembre 2020 e con la quale era stata dichiarata la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine al reato a lui ascritto, avente ad oggetto la violazione della normativa in materia di stupefacenti, per avere il medesimo illecitamente detenuto a fine di spaccio gr 751 circa di sostanza stupefacente del tipo hashish idonea alla preparazione di oltre 9.300 dosi medie singole, e lo aveva, pertanto, condannato, esclusa la recidiva qualificata a lui contestata ed applicata la diminuente per la scelta del rito, alla pena di anni 2 d reclusione, oltre accessori.
Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il COGNOME affidando le proprie lamentele a 4 motivi di ricorso.
Il primo di questi attiene alla pretesa nullità della sentenza censurata per non essere stata in questa ritenuta la nullità del decreto di citazione giudizio notificato al prevenuto; è stato, in particolare lamentato che esso non avrebbe contenuto la previsione, di cui all’art. 429, lettera f), cod. proc. pen. cioè l’avvertenza che, ricorrendone le condizioni, a carico dell’imputato potranno essere disposte le sanzioni e le altre misure, ivi compresa la confisca, previste in relazione al reato per cui si procede – e che, pertanto, stesso sarebbe stato affetto da nullità i cui effetti si sarebbero propaga anche ai tutti gli atti successivi del procedimento.
Il secondo motivo di impugnazione ha ad oggetto la mancanza ovvero la illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nonché il vizio di violazione di legge, in relazione ai criteri adottati per escludere il benefic delle circostanze attenuanti generiche ed ai fini della determinazione della pena inflitta.
Il terzo motivo di impugnazione concerne la nullità della ordinanza, e della conseguente sentenza, reiettiva della istanza presentata dal COGNOME volta ad ammetterlo ad un programma di giustizia riparativa.
Infine, il quarto motivo di ricorso concerne, sempre in relazione al vizio di violazione di legge ed a quello di motivazione, la esclusione della possibilità di sostituire la pena della reclusione irrogata a carico del COGNOME con l sanzione sostitutiva della detenzione domiciliare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e per tale esso deve essere, pertanto, ora dichiarato.
Privo di pregio è, infatti, il primo motivo di doglianza con il quale il prevenuto lamenta la circostanza che il decreto di citazione a giudizio notificatogli per il grado di appello non contenesse, secondo quanto previsto dall’art. 429, lettera f), cod. proc. pen., l’avvertimento che potranno essere disposte, ove ne ricorrano le condizioni, le sanzioni e le misure, anche di confisca, previste dalla legge in relazione al reato per cui si procede.
Osserva al riguardo il Collegio che siffatta indicazione non faceva parte del corpo normativa della disposizione ora ricordata precedentemente alla entrata in vigore della legge n. 203 del 2023; infatti, anteriormente alla entrata in vigore di tale testo di legge, la lettera f) dell’art. 429 prevedeva che il decreto di citazione a giudizio contenesse l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora dell’udienza nel corso della quale sarebbe stato trattato dibattimento il procedimento a carico dell’imputato.
Ora, osserva il Collegio che, senza doversi addentrare nella valutazione se il successivo comma 2 dell’art. 429 cod. proc. pen. – allorché prevede che è nullo il decreto di citazione a giudizio se, fra l’altro, manchi o sia insufficie l’indicazione di uno dei requisiti di cui alla lettera f) debba intendersi riferito ai soli requisiti legati appunto alla indicazione del luogo, del giorno e dell’o della udienza, ovvero anche alla avvertenza successivamente introdotta nel testo normativa (la quale, a rigore, non è un requisito dell’atto posto che ess non ne costituisce una caratteristica in assenza della quale l’atto non potrebbe raggiungere i propri scopi – cosa che, invece, si verifica per gli elementi già i precedenza necessari ai fini della completezza dell’atto in questione, considerato che, ove questi fossero mancanti, non sarebbe consentito al destinatario di esso di sapere dove e quando si celebrerà il processo a suo carico – ma è, semmai, un generico avviso rivolto al soggetto citato in giudizio il cui contenuto sarebbe, peraltro, facilmente conoscibile per il destinatari dell’atto anche in mancanza dell’avviso stesso considerato che, stante il principio di riserva di legge che governa il regime sanzionatorio penale, le possibili conseguenze derivanti in termini di sanzione dalla imputazione a lui contestata potrebbero essere conosciute dall’imputato anche attraverso l’esame della pertinente normativa), osserva il Collegio che, in ogni caso, l’eventuale mancanza della avvertenza in questione potrebbe, a tutto voler concedere, integrare una nullità di carattere generale a regime intermedio,
atteso che essa non integra indubbiamente una ipotesi di omessa citazione dell’imputato né è definita assoluta dalla disposizione che dispone la nullità ex art. 429, comma 2, cod. proc. pen..
Considerato che la ipotesi di nullità ora invocata si sarebbe verificata in una fase anteriore alla apertura del giudizio in sede di gravame, rileva la Corte che la stessa doveva essere, pertanto, eccepita, a pena di decadenza, attraverso il primo atto successivo all’avvenuta notificazione dell’atto che si assume essere viziato e non poteva essere dedotta, come invece verificatosi nel caso ora in esame, in occasione della impugnazione della sentenza emessa dalla Corte territoriale di fronte al giudice della legittimità.
Passando al secondo motivo di ricorso, concernente la mancata motivazione in ordine ai criteri utilizzati per la esclusione delle attenuant generiche e per la determinazione della pena, osserva il Collegio che, in occasione della redazione della sintesi dei motivi di gravame avverso la sentenza emessa dal Tribunale eporediese sottoposti dal ricorrente all’esame della Corte di appello, questa non ha fatto alcun riferimento ad argomentate censure formulate dall’appellante ed aventi ad oggetto il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche ovvero la opportunità di un ridimensionamento della pena irrogata; in realtà neppure in sede di ricorso per cassazione il ricorrente ha richiamato il contenuto di doglianze aventi ad oggetti i descritti profili, di tale che la circostanza che riguardo a tali specif profili la sentenza della Corte di appello nulla abbia rilevato è un fisiologico portato della natura devolutiva del giudizio di gravame.
Quanto al successivo motivo di impugnazione va osservato che neppure esso coglie nel segno; infatti, a fronte dalla affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale non è ammissibile la istanza del ricorrente di essere ammesso ad un programma di giustizia riparativa stante la perdurante mancata attivazione dei centri all’uopo preposti, non è risolutiva la replica, pur da lui documentata, fornita dal ricorrente, secondo la quale, invece, nell’ambito del distretto subalpino era, invece, attivo un centro di giustizia riparativa.
Ciò posto, senza che sia necessario impegnarsi in relazione alla tematica riferita alla impugnabilità di fronte alla Corte di cassazione del provvedimento con il quale sia stata negato all’imputato l’accesso al programma di giustizia riparativa – al riguardo, infatti, vi è tuttora un contrasto giurisprudenziale i seno a questa Corte fra quanti ritengono astrattamente ammissibile il relativo motivo di impugnazione (in tale senso: Corte di cassazione, Sezione V penale
3 gennaio 2015, n. 131, rv 287434) e quanti, invece, ritenendo che il relativo provvedimento non abbia natura giurisdizionale, escludono in radice che esso sia impugnabile di fronte a questa Corte (così: Corte di cassazione, Sezione II penale, 14 febbraio 2024, n. 6595, rv 285930) e, infine, quanti ritengono che la sindacabilità di fronte alla Corte di cassazione sia limitata alle sole ipotesi cui il procedimento nell’ambito del quale non è stata accolta la richiesta di ammissione al percorso di giustizia riparativa abbia ad oggetto reati per i quali sia prevista la procedibilità solo a querela di parte (Corte di cassazione, Sezione V penale, 18 dicembre 2024, n. 7266 – dep. 2025 -, rv 287533; Corte di cassazione, Sezione III penale, 27 agosto 2024, n. 33152, rv 286841) rileva il Collegio che, per la attivazione di tali Centri e per la loro adibizione particolari compiti che il legislatore ha per essi previsto, è necessario che gl stessi siano istituiti e gestiti secondo le particolari modalità procedimentali disciplinate dagli articoli 63 e seguenti del dlgs n. 150 del 2022, trattandosi di disposizioni implicitamente richiamate dall’art. 129-bis cod. proc pen. laddove esso, prevedendo la competenza per lo svolgimento del programma di giustizia riparativa del “Centro per la giustizia riparativa di riferimento” rimanda alla definizione di tale organismo contenuta nella lettera g) dell’art. 42 del dlgs n. 150 del 2022, il quale, a sua volta, lo definisce come “la struttura pubblica di cui al capo V, sezione II” del ricordato decreto legislativo (costituito, appunto, dagli artt. 63 e seg. dianzi citati).
Poiché non vi sono elementi per affermare che l’organismo cui ha fatto riferimento il ricorrente sia stato costituito e venga gestito secondo le forme previste dalle disposizioni ora ricordate – constando, anzi, sotto il profil generale allo stato il contrario – l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale la istanza formulata dal ricorrente non è ammissibile stante la mancata attivazione dei necessari organismi pubblici, appare correttamente espressa.
Venendo, infine all’ultimo motivo di impugnazione, riferito al mancato accoglimento della richiesta di sostituzione della pena detentiva breve irrogata a carico del COGNOME con la sanzione degli arresti domiciliari, è sufficiente osservare che la Corte di appello ha congruamente motivato il rigetto della istanza, evidenziando come, pur avendo in passato il COGNOME goduto del beneficio della sostituzione della pena detentiva breve a suo carico irrogata, egli, evidentemente non avendo tratto lo sperato profitto dal beneficio a suo tempo riconosciutogli, è nuovamente ricaduto nel crimine, dimostrando, in maniera plasticamente evidente, la inidoneità nel suo caso della pena sostitutiva a svolgere la funzione special-preventiva propria di ogni sanzione
penale (in ordine alla adeguatezza della motivazione del provvedimento reiettivo dell’accoglimento della istanza di sostituzione della pena detentiva
breve, ove sia in essa plausibilmente evidenziata la inidoneità della pena succedanea ad assicurare la efficacia della finalità rieducativa della sanzione si
veda, per tutte: Corte di cassazione, Sezione V penale, 25 ottobre 2024, n.
39162, rv 287062).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente, visto l’art. 616
cod. proc. pen., va condannato al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2025
Il Consigliere estensore