Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18399 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18399 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 24/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI Nel procedimento a carico di COGNOME nato a CATANIA il 11/04/1967
avverso l’ordinanza del 29/10/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CAGLIARI udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore del condannato;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessain data 29/10/2024, il Tribunale di sorveglianza di Cagliari ha ammesso NOME COGNOME alla semilibertà.
NOME COGNOME, condannato alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di un anno e tre mesi, Ł in espiazione di pena dal 1993. E’ stato ritenuto responsabile di quattro omicidi finalizzati ad affermare l’egemonia mafiosa del clan ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sui gruppi mafiosi rivali nel territorio della provincia di Catania, oltre che dei reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 74 d.P.R. n. 309/90.
Ha ancora carichi pendenti per due omicidi, distruzione di cadavere e sequestro di persona, commessi nel 1988.
Ritenuto responsabile complessivamente di 48 omicidi e 5 tentati omicidi maturati in seno al sodalizio, egli era cresciuto in un contesto familiare e sociale, nel quale la figura piø significativa era quella del padre NOME, che rivestiva un ruolo di prestigio dell’organizzazione mafiosa; le relazioni significative da lui coltivate erano riconnesse alla sua mitizzata figura e a quella della rete degli associati. Anche per questo il detenuto era stato destabilizzato e deluso dalla decisione del padre di collaborare con la giustizia, scelta alla quale egli non aderì.
Dopo un primo periodo di sottoposizione al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., NOME COGNOME Ł stato declassificato dapprima al circuito alta sicurezza 1 e infine dal 10/05/2017 alla media sicurezza.
Il Tribunale di sorveglianza evidenzia che, dopo avere iniziato a frequentare la scuola, aveva partecipato all’attività trattamentale, maturando e sperimentandosi in una condizione diversa da quella del mero appartenente ad un’organizzazione mafiosa. Nei colloqui piø recenti aveva mostrato di analizzare piø approfonditamente il suo percorso delinquenziale, mostrando consapevolezza delle conseguenze negative connesse ai reati da lui commessi e della carcerazione come giusta conseguenza delle sue azioni.
Ha ammesso un solo omicidio, dichiarandosi comunque responsabile di altri tre.
Ha inviato, tramite i Sindaci dei rispettivi comuni di appartenenza, una lettera di scuse ai parenti delle sue vittime.
Dalle informazioni riguardanti il suo stato patrimoniale e quello della sua famiglia, il Tribunale ha ritenuto che si trovasse nell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato, pur disponendo di un reddito idoneo a garantire le condizioni minime di vita dei congiunti; ha altresì ritenuto che tra le somme registrate come provenienti da familiari e da terzi al rientro dai permessi vi fossero solo i residui di quello consegnato al detenuto per fruire del beneficio di cui all’art. 30-ter ord. pen. e che non vi fossero riscontri all’affermazione contenuta nella nota della DDA di Catania circa la sussistenza attuale di finanziamenti al detenuto e ai suoi congiunti da parte dell’organizzazione criminale di riferimento.
La sua condotta intramuraria era stata corretta e, fruendo di permessi premio presso la struttura ‘Don Graziano COGNOME‘ in Sassari, che dà accoglienza ad adulti sottoposti a misure restrittive della libertà personale, vi ha svolto attività lavorativa mostrando spirito di collaborazione e rispetto delle regole.
Presso quella stessa comunità COGNOME avrebbe svolto in regime di semilibertà attività lavorativa non retribuita, ma con mero rimborso spese, sotto la gestione della cooperativa sociale RAGIONE_SOCIALE e trattenendovisi dalle ore 08,30 alle ore 19,00, inclusa la pausa pranzo comunitario, la pulizia degli spazi e l’attività di socializzazione.
Il beneficio Ł stato ritenuto concedibile al detenuto perchØ non vi sono prove della persistenza di legami con l’associazione mafiosa di provenienza, nØ elementi dai quali si desuma anche solo il pericolo del loro ripristino, tanto piø che la semilibertà sarebbe stata eseguita in Sardegna, ben lontano dal contesto di appartenenza.
Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto provvedimento, lamentando che non erano state debitamente vagliate le condizioni previste dall’art. 4-bis, comma 1, 1-bis e 1-ter, ord. pen.
Il Tribunale di sorveglianza non aveva dato adeguato rilievo al fatto che COGNOME non aveva proceduto ad alcun risarcimento a nessuna delle vittime dei suoi 48 omicidi e che la lettera di scuse ai familiari era stata inviata solo in prossimità dell’istanza di semilibertà.
Il percorso rieducativo doveva considerarsi ancora insoddisfacente, visto che aveva ammesso la partecipazione ad uno solo dei 48 omicidi di cui era responsabile, non aveva ancora rielaborato in maniera completa ed esaustiva la sua storia criminale e continuava a mantenere un legame con i suoi familiari, che non poteva considerarsi solo affettivo.
Secondo il Procuratore Generale cagliaritano, si sarebbe dovuto tenere conto del fatto che dopo la collaborazione del padre e il suo invito a deporre le armi, NOME COGNOME aveva continuato, fino al suo definitivo arresto, a svolgere attività criminali con ruolo apicale nel gruppo ‘Belpasso-San Pietro Chiarenza’ e non si era fatto scrupolo di uccidere NOME COGNOME per
mantenere la sua posizione nel clan di appartenenza e garantirsi la latitanza.
Era stato inoltre erroneamente svalutato quanto rappresentato nella nota della DDA di Catania, e cioŁ che egli, privo di attività lavorativa, sarebbe pronto a rinsaldare i legami con gli appartenenti al sodalizio criminoso di appartenenza.
Per tali ragioni ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato.
Il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, poichØ il Tribunale di sorveglianza non aveva spiegato le ragioni per le quali non doveva considerarsi condivisibile la prognosi formulata nella nota della DDA di Catania in ordine alla possibilità del detenuto di ricevere finanziamenti dalla propria organizzazione criminale; inoltre nel provvedimento impugnato non si era tenuto conto del fatto che le condotte risarcitorie e riparatorie andavano calibrate non su tre soli omicidi ma su 48.
Con propria memoria il difensore di NOME COGNOME ha controdedotto, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Cagliari perchØ del tutto generico e come tale inammissibile.
Ha comunque chiesto il rigetto del ricorso, contestandone gli argomenti e in particolare sottolineando che dal certificato del casellario giudiziario del COGNOME risultava evidente che gli omicidi di cui era stato ritenuto responsabile erano solo quattro e gli altri, complessivamente indicati in 48, erano quelli imputabili al suo clan; quanto all’impossibilità oggettiva di risarcire le vittime, secondo il difensore, la motivazione del provvedimento impugnato sul punto doveva considerarsi completa ed esaustiva perchØ aveva preso in esame le risorse finanziarie effettivamente a disposizione del detenuto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł ammissibile ed Ł fondato nei limiti appresso specificati.
NOME COGNOME Ł stato ritenuto responsabile e condannato alla pena dell’ergastolo per quattro omicidi commessi con l’aggravante della finalità di agevolare l’associazione mafiosa, denominata clan Malpassoto, e per reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 74 d.P.R. n. 309/90. Non Ł collaboratore di giustizia.
Ai sensi dell’art. 4, comma 1-bis,ord. pen., nel testo, applicabile ratione temporis, introdotto dal d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 (irrilevante risultando nel caso in esame l’ulteriore modifica relativa ai titoli di reato, con l’art. 8, comma 2, d.l. 10/03/2023, n. 20, convertito con modificazioni dalla legge 05/05/2023, n. 50), le misure alternative alla detenzione, tra le quali la semilibertà, possono essere concesse anche in assenza di collaborazione con la giustizia ai detenuti per delitti di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90, o per delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. o comunque riconducibili a quelli aggravati dall’art. 416bis.1 cod. pen. «purchØ gli stessi dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato Ł stato commesso, nonchØ il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a
sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile».
Nello stesso comma Ł stato aggiunto un ulteriore periodo, con il quale si chiarisce che «al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta altresì la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa».
Il comma 2 dell’art. 4-bis sopra citato assegna alla magistratura di sorveglianza il compito di richiedere, in vista della decisione sull’istanza di ammissione ai benefici penitenziari e per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, dettagliate informazioni che, con specifico riferimento ai casi, quale quello in esame, di cui al comma 1-bis consentano di «verificare la fondatezza degli elementi offerti dall’istante in merito al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale nel quale il reato Ł stato consumato, al profilo criminale del detenuto o dell’internato e alla sua posizione all’interno dell’associazione, alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute a suo carico e, ove significative, alle infrazioni disciplinari commesse durante la detenzione».
Va anche acquisito il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti indicati all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove Ł stata pronunciata la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, e di acquisire informazioni dalla direzione dell’istituto ove l’istante Ł detenuto o internato, nonchØ di disporre, nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
Il comma 2-bis stabilisce, ancora, che «quando dall’istruttoria svolta emergono indizi dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato Ł stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, Ł onere del condannato fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria» e che «in ogni caso, nel provvedimento con cui decide sull’istanza di concessione dei benefici il giudice indica specificamente le ragioni dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza medesima, tenuto conto dei pareri acquisiti…».
La disciplina così introdotta ha superato la presunzione legale assoluta di immanenza dei collegamenti per il non collaborante, prevista dal precedente testo dell’art. 4-bis, trasformandola in presunzione relativa, superabile in forza di elementi che la parte ha l’onere di allegare, ma che vanno verificati e possono essere completati a seguito dell’attivazione degli oneri istruttori posti da tale nuova norma a carico del giudice della sorveglianza (cfr. Sez. 1, n. 51407 del 30/11/2023, Rv. 285578 – 01).
La verifica del Tribunale di sorveglianza ha pertanto ad oggetto la pericolosità del detenuto per reati ostativi «di prima fascia», da svolgersi, in particolare, quanto al pericolo del mantenimento o del ripristino dei collegamenti con associazioni criminose, mediante l’esame approfondito della sua condotta carceraria e della partecipazione all’attività rieducativa, e, se necessario, svolgendo accertamenti tramite l’autorità di polizia. Decisiva Ł, dunque, la valutazione del percorso rieducativo del condannato e la verifica dell’assenza di collegamenti, attuali o potenziali, con la criminalità organizzata e con il contesto mafioso, da svolgere avvalendosi degli ampliati poteri istruttori di cui all’art. 4-bis, comma 2, ord. pen.; e a tal fine la giurisprudenza ha ritenuto necessario far riferimento a tutti gli indici, enumerati dalla nuova formulazione del citato comma 1-bis, definendoli «stringenti e cumulativi» (così Corte Cost., ordinanza n. 227 del 08/11/2022; la definizione Ł ripresa anche da
Sez. 1, n. 35682 del 23/05/2023, COGNOME, Rv. 284921 – 01, in motivazione; Sez. 1, n. 2643 del 07/11/2024, dep. 2025, n.m.).
3.1 La giurisprudenza ha affermato, in relazione ai benefici penitenziari, che «sono applicabili ai procedimenti in corso le modifiche apportate all’art. 4-bis ord. pen. con d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, in ragione della natura processuale delle norme inerenti ai benefici penitenziari, che, in assenza di una specifica disciplina transitoria, soggiacciono al principio del “tempus regit actum”» (Sez. 1, n. 38278 del 20/04/2023, COGNOME, Rv. 285203 – 01).
E’ noto che la sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, ord. pen., nella parte in cui non prevedeva che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis cod. pen. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, potessero essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter ord. pen., allorchØ fossero stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
La successiva modifica dell’art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen. ad opera del d.l. n. 162/2022, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 199/2022, aveva fatto ritenere alla giurisprudenza che, con tale nuova disposizione, le condizioni di accesso a quel beneficio in relazione ai reati ivi elencati, per i detenuti che non collaborano con l’autorità giudiziaria, fossero divenute piø gravose rispetto a quelle residuate dopo l’intervento del giudice delle leggi, prevedendo, da un lato, la necessità di ulteriori presupposti di ammissibilità della domanda (l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento) e, codificando, dall’altro, un criterio misto per il giudizio sulla presunzione relativa conseguente alla mancata collaborazione che contempla, accanto all’individuazione di alcuni indicatori valutabili, anche la regola legale dell’insufficienza di alcuni di essi (la regolare condotta carceraria, la partecipazione al percorso rieducativo e la mera dichiarazione di dissociazione).
E tuttavia si era pure affermato che, in ossequio ai principi costituzionali di eguaglianza e del finalismo rieducativo della pena, non si sarebbe potuta disconoscere la rilevanza del percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che avesse già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio (Sez. 5, n. 33693 del 28/06/2024, COGNOME, Rv. 286988 – 01).
3.2 Con riguardo alle misure alternative e alle ipotesi di ergastolo ostativo, invece, com’Ł noto, l’intervento di riforma del citato art. 4-bis ord. pen. non Ł stato preceduto da alcuna modifica del sistema normativo, ma ha comportato la mera trasformazione della presunzione assoluta della permanenza dei legami con la criminalità in assenza di collaborazione con la giustizia, in presunzione relativa, superabile a seguito di specifico riscontro di tutti gli indicatori di rescissione di tali legami. Rimasto identico il presupposto di accesso al beneficio, da individuarsi nel venir meno dei legami con la criminalità organizzata, sono mutati il procedimento e i criteri attraverso i quali accertarlo.
La presunzione assoluta era il frutto del recepimento normativo della massima di esperienza, convalidata univocamente anche dagli accertamenti giudiziari riguardanti le piø note organizzazioni mafiose di tipo tradizionale, in base alla quale l’ingresso formale e rituale nell’associazione comportava uno status insopprimibile, una fedeltà irrinunciabile e una disponibilità permanente in favore del sodalizio e la rescissione di tale legame poteva realizzarsi solo attraverso un’esplicita abiura integrata dal tradimento di quegli stessi doveri di solidarietà criminale, che, se osservati, avrebbero garantito all’affiliato, in qualsivoglia condizione egli versasse, di essere considerato parte
integrante dell’organigramma del clan.
Degradando la presunzione da assoluta a relativa, nØ il legislatore nØ l’interprete chiamato ad applicarla possono obliterare la massima di esperienza, ma devono mettere in conto la possibilità di confrontarsi con manifestazioni di criminalità organizzata, per quanto pericolosa, operativamente connotata da regole piø sfumate o diversamente declinate rispetto a quelle della mafia tradizionale, così come a forme di vicinanza, cointeressenza e militanza connotate da gradi inferiori di intraneità; così come devono valutare l’incidenza del legame con l’ambiente criminale per i soggetti che abbiano subito condanne per fatti commessi nell’interesse dell’associazione, senza averne fatto parte.
Il recepimento così rigido della massima di esperienza, pur necessario per acquisire al patrimonio normativo uno strumento di agevolazione probatoria idoneo a contrastare gli effetti degli altrettanto rigidi legami criminali e criminogeni che i sodalizi mafiosi erano capaci di creare e che potevano essere spezzati solo a determinate specularmente rigide condizioni, finiva anche per impedire la possibilità di accertare qualsivoglia auspicabile evoluzione positiva della personalità del condannato nel percorso risocializzante, per effetto indotto facendo venire ogni stimolo incentivante alla riabilitazione in coloro che non avevano assunto la veste di collaboratore di giustizia, per ragioni diverse dal mantenimento dei vincoli di solidarietà con le loro pregresse relazioni delinquenziali.
La scelta del legislatore dinanzi alla delicatezza della questione Ł stata quella di aprire le porte alla possibilità di accertare il venir meno di questi legami anche in mancanza di collaborazione, presidiando però con appositi criteri, regole e metodo tale percorso di accertamento.
3.3 SicchŁ in tal caso non si pongono profili inerenti alla valutazione della sussistenza di condizioni deteriori con effetti di trasformazione della pena inflitta nella prospettiva accolta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 12/02/2020, che ha fissato il principio di irretroattività delle modifiche con le quali si introducono misure di natura sostanziale incidenti sulla qualità e quantità della pena e perciò foriere di forme piø gravi di privazione della libertà personale imposte al detenuto.
Difatti la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 97 del 2021, pur segnalando profili di illegittimità costituzionale non nella previsione del diniego dei benefici in ragione del rischio di ripristino dei legami criminogeni ma nel carattere assoluto della presunzione che tale rischio deriva dalla scelta di non collaborare, non aveva proceduto ad un intervento demolitorio e aveva sospeso la sua decisione in attesa di un’iniziativa del legislatore.
Aveva evidenziato in particolare che «la mancata collaborazione, se non può essere condizione ostativa assoluta, Ł comunque non irragionevole fondamento di una presunzione di pericolosità specifica. Appartiene perciò alla discrezionalità legislativa, e non già a questa Corte, decidere quali ulteriori scelte risultino opportune per distinguere la condizione di un tale condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani, a integrazione della valutazione sul suo sicuro ravvedimento ex art. 176 cod. pen.»
Secondo il giudice delle leggi, «alla luce della peculiarità del fenomeno criminale in esame, l’innesto di un’immediata dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate sulla legislazione vigente, pur sostenuta dalle ragioni prima ricordate, potrebbe determinare disarmonie e contraddizioni nella complessiva disciplina di contrasto alla criminalità organizzata, nonchØ minare il rilievo che la collaborazione con la giustizia continua ad assumere nell’attuale sistema».
E’ chiaro, dunque, che anche questa pronuncia ha comportato il mantenimento in vigore della norma, della quale pure si segnalavano i profili di sospetta incostituzionalità, nella consapevolezza degli altri profili di ragionevolezza che impedivano alla Corte Costituzionale di uncinarla e che rendevano necessario lasciare inalterato il sistema, mentre il legislatore provvedeva a «ricercare il punto di equilibrio tra i diversi argomenti in campo, anche alla luce delle ragioni di incompatibilità con
la Costituzione attualmente esibite dalla normativa censurata».
3.4 A seguito dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 4-bis ord. pen., con l’ordinanza n. 227/2022 la Corte Costituzionale ha disposto la restituzione degli atti al giudice remittente per verificare l’influenza della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate e per procedere alla rivalutazione della loro non manifesta infondatezza, tenendo conto delle intervenute modifiche normative; ha comunque sottolineato profili di continuità e aspetti innovativi della nuova disciplina, che aveva complessivamente ridisegnato l’architettura della disciplina interessata dalle questioni di legittimità costituzionale, in particolare intervenendo sul profilo centrale di essa, costituita dalla presunzione di pericolosità del condannato all’ergastolo per reati ostativi non collaborante, divenuta – come si Ł già detto – da assoluta a relativa.
Nel nuovo assetto la collaborazione con la giustizia non perde affatto la valenza di elemento decisivo per tracciare con certezza una linea di frattura tra il detenuto e le relazioni che lo legavano all’organizzazione criminale, ma nel mutato equilibrio non può trarsi l’inversa certezza della sussistenza attuale di tali legami solo in forza della mancata collaborazione con la giustizia.
Pertanto tutti quegli elementi che possono aprire prospettive di risocializzazione per il detenuto, non collaborante ai sensi dell’art. 58-ter ord. pen., che ha commesso i reati di cui all’art. 4-bis ord. pen., richiedono approfondita verifica in punto di fatto e a seguito di opportuna istruttoria; e il provvedimento del Tribunale di sorveglianza deve renderne conto in una motivazione che esamini tutte le informazioni così assunte (allegate dall’istante o acquisite dal giudice), soppesandone la valenza indicativa della meritevolezza del detenuto rispetto al beneficio o alla misura alternativa richiesta.
Ognuno degli indicatori Ł stato considerato significativo dal legislatore del 2022 per raggiungere quel dato di certezza che nel sistema precedente veniva fatto conseguire dalla scelta collaborativa in ordine alla definitiva rescissione dei legami con la criminalità organizzata o comunque del venir meno del rischio che essi potessero essere rivitalizzati, avvalendosi dei contatti con il mondo esterno.
Pertanto, se per un verso non può considerarsi legittima la motivazione di un provvedimento di diniego del beneficio richiesto da un detenuto per reati di cui all’art. 4-bis ord. pen. sulla base della mera constatazione della sua mancata collaborazione con la giustizia, del pari censurabile dovrà considerarsi la motivazione di un provvedimento che superi il dato della mancata collaborazione con una valutazione positiva della condotta del detenuto priva di una soddisfacente verifica di tutti gli indicatori enunciati nel testo del comma 1-bis dell’art. 4-bis cit.
Ognuno di essi e tutti insieme valgono infatti a delineare, nella loro variabile profondità e con affidabile concretezza, il segno dei solchi, che possono progressivamente sempre piø separare il detenuto non solo dal suo pregresso vissuto e dagli assetti dell’organizzazione criminale per la quale ha operato e assunto dei ruoli, ma anche dalla possibilità attuale di riattivare i legami con lo stesso o con analoghi sodalizi e di valorizzare in quei contesti le proprie precedenti esperienze di militanza mafiosa.
Tra i requisiti che i condannati non collaboratori devono allegare assume indubbia centralità quello descritto in via prioritaria dal comma 1-bis dell’art. 4-bis ord. pen., laddove richiede – lo si ricorda – che «gli stessi dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento».
Segue poi nell’elenco il riferimento agli elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che devono consentire di escludere attualità o rischio di riattualizzazione dei collegamenti criminali.
4.1 Orbene l’ulteriore periodo che si aggiunge e completa il comma 1-bis richiede al giudice di accertare «la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa». Sebbene la lettera della legge con l’uso della locuzione «altresì» dia l’apparenza di un requisito ulteriore, il chiaro riferimento alle forme risarcitorie e a quelle della giustizia riparativa correla tali iniziative del condannato al primo dei presupposti sin qui esaminati, quello dell’adempimento delle obbligazioni civili e di riparazione pecuniaria, ampliando il raggio di verifica sui suoi comportamenti volti ad attenuare le conseguenze delle sue condotte illecite.
La collocazione di questa ulteriore indicazione normativa Ł tuttavia sintomatica del fatto che l’«altresì» scandisca l’aggiungersi di tale accertamento a quello relativo agli elementi di cui si deve tenere conto per «escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato Ł stato commesso, nonchØ il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi».
In sostanza, oltre che «delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile», si deve tenere conto delle iniziative assunte a favore delle vittime, che, laddove concrete e proporzionate alle risorse che il condannato si adopera a mettere in campo nella sua opera riabilitativa, possono valere a segnare con maggiore effettività e specifica credibilità il distacco dai legami di solidarietà criminali, intrinsecamente connotati per il dispregio dei soggetti, dei diritti, degli interessi e delle comunità offese dalle condotte associative.
Tanto piø rilevante risulta tale verifica quando sia stata dimostrata l’assoluta impossibilità dell’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna; la valutazione dell’adeguatezza di ogni iniziativa a tutela delle vittime, anche se non economicamente satisfattiva, purchØ connotata da autentica adesione, profusione di impegno personale e necessaria costanza, può offrire elementi per suffragare la dimostrazione dell’effettività dei propositi del condannato, quando costui non disponga delle risorse materiali e finanziarie necessarie a provvedere agli altri prescritti adempimenti.
Il legislatore poi mette sullo stesso piano le iniziative risarcitorie e quelle di giustizia riparativa, che hanno natura diversa ma che in comune presentano caratteristiche indicative di una tensione verso l’acquisizione della piena consapevolezza delle offese arrecate e la ricerca di forme di riconciliazione con coloro che dalle condotte del condannato hanno subito pregiudizio.
Tale scelta si pone sulla scia del diritto vivente formatosi attorno alle prassi applicative della disposizione di cui all’art. 176 cod. pen., interpretato nel senso che, laddove il condannato si trovasse nell’impossibilita’ di adempiere le obbligazioni civili nascenti dal reato, bisognava dare rilievo «alle manifestazioni di effettivo interessamento del condannato stesso per la situazione morale e materiale delle persone offese ed ai tentativi fatti, nei limiti delle sue possibilita’, per attenuare, se non riparare interamente, i danni provocati».
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 138 del 17/05/2001, aveva sostenuto la maggiore conformità ai principi costituzionali in tema di esecuzione della pena di tale lettura giurisprudenziale dell’art. 176 cod. pen., in caso di impossibilita’ di adempimento delle obbligazioni civili.
Affermava già allora la Corte Costituzionale che «la circostanza, infatti, che p u r e i n s i m i l e e v e n i e n z a i l c o n d a n n a t o d i m o s t r i s o l i d a r i e t a ‘ n e i confronti della vittima, interessandosi delle sue condizioni e facendo quanto e’ possibile per lenire il danno provocatole, anziche’ assumere un atteggiamento di totale indifferenza, non puo’ non avere (…) un particolare peso nella verifica dei risultati del percorso rieducativo»; e aggiungeva che l a gi u r i s p r u d e n z a di l e g i t t i m i t à aveva condivisibilmente avuto «cura di sottolineare come le manifestazioni di “interessamento” per le vittime ed i tentativi di lenire il
nocumento loro causato – che il giudice deve “particolarmente valutare” nell’esprimersi sul “sicuro r a v v e d i m e n t o ” r e s t i n o c o m u n q u e c o n f i n a t i nei l i m i t i dell e c o n c r e t e possibilita’ del reo (e, cioe’, di quanto da lui realisticamente “esigibile”)».
4.2 L’ultimo periodo del comma 1-bis dell’art. 4-bis ord. pen. attualizza ed estende il principio che valorizza le manifestazioni di interessamento per le vittime, nelle loro multiformi possibili concretizzazioni, e lo sostanzia con l’istituto introdotto dall’art. 42, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150/2022 in linea con la direttiva 29/2012/UE.
Le forme della giustizia riparativa sono ivi definite con riguardo a qualunque programma «che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore»; con l’obiettivo, definito dall’art. 43, comma 2, d.lgs.n. 150/2022 di «promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità».
Il percorso riparativo batte strade piø ampie di quelle connesse alla mera riparazione economica o alla condotta risarcitoria; l’adempimento delle obbligazioni civili e la riparazione pecuniaria non lo assorbono, anzi possono completarlo. In ogni caso il percorso riparativo può contemplare anche iniziative risarcitorie, ma non le implica e ne può prescindere.
Certamente, laddove il condannato versi nell’impossibilità di adempiere ai propri obblighi risarcitori, può consentire di apprezzare il concreto livello di consapevolezza del pregiudizio arrecato e l’affidabilità del grado di risocializzazione raggiunto e di effettivo ripudio del proprio vissuto criminale.
Il legislatore, che ha introdotto tale esplicito riferimento all’istituto nel comma 1-bis dell’art. 4-bis ord. pen., disattende così le opinioni dottrinali secondo le quali tra gli strumenti della rieducazione non possono essere ricompresi i percorsi di giustizia riparativa e anzi li propone come funzionali ad una prospettiva risocializzante, in particolare proprio per coloro che hanno militato in associazioni criminali e agito nell’interesse di esse, attribuendole valenza sintomatica di abbandono dei loro pericolosi vincoli con le organizzazioni che costituiscono minaccia per l’ordine pubblico e per le comunità territoriali e di ripristino dei piø sani legami sociali in prospettiva responsabilizzante e solidaristica, in ogni caso incompatibile con gli orizzonti valoriali devianti e la rete relazionale nelle quali si erano innestate le loro condotte illecite.
4.3 Il percorso di giustizia riparativa a fronte della piø generica riparazione, eseguita con la mera corresponsione di somme dovute o ineseguibile per insuperabili difficoltà economiche, può diventare l’effettivo banco di prova del definitivo abbandono di logiche criminali e di relazioni criminogene; significativi elementi potranno ricavarsi dalla costanza del condannato nelle dinamiche assai complesse di rielaborazione critica e di coinvolgimento personale che tale percorso comporta per costui, chiamato a confrontarsi nelle molteplici forme che il versatile istituto consente con le vittime, specifiche o aspecifiche, o con gli enti rappresentativi delle comunità o dei gruppi che hanno subito le conseguenze delle condotte criminali.
Il percorso sarà svolto fuori dal raggio di intervento dell’autorità giudiziaria sotto l’esclusivo controllo dei mediatori esperti, ma, grazie a quanto da costoro attestato, pur nel riserbo riguardo i contenuti dei colloqui intercorsi tra le parti, consentirà all’autorità giudiziaria di valutare l’impegno profuso dal condannato, l’efficacia dell’attività in corso e la valenza sintomatica dell’adesione ad una nuova prospettiva valoriale e ad un diverso approccio comportamentale.
Il percorso riparativo potrà suscitare dinamiche risocializzanti anche perchØ volto a trasfigurare positivamente la relazione di chi ha militato in un’organizzazione mafiosa con le persone e con l’ambiente con i quali aveva instaurato rapporti di prevaricazione, di intimidazione o di sudditanza,
consentendo al condannato, che fosse seriamente intenzionato a ripudiare quel protervo schema relazionale, di sperimentarsi e di essere sperimentato come soggetto consapevole del male arrecato e orientato verso un cammino di emenda e di rispetto della dignità delle persone e delle regole di convivenza.
L’esito riparativo, inteso ai sensi dell’art. 42, comma 1 lett. e), d.lgs. n. 150/2022 come «qualunque accordo, risultante dal programma di giustizia riparativa, volto alla riparazione dell’offesa e idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la possibilità di ricostruire la relazione tra i partecipanti», si dovrà manifestare ai sensi dell’art. 56 d.lgs. n. 150/2022 in forma simbolica con «dichiarazioni o scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o rivolti alla comunità, accordi relativi alla frequentazione di persone o luoghi» o in forma materiale con «il risarcimento del danno, le restituzioni, l’adoperarsi per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato o evitare che lo stesso sia portato a conseguenze ulteriori», ma dovrà comunque essere concretamente definito con la partecipazione della persona fisica o dell’ente rappresentativo, che hanno subito pregiudizi dai reati e dovrà presentare contenuti adeguati anche alla gravità delle condotte e – nel caso dei soggetti già operanti nell’ambito della criminalità organizzata – idonei a dimostrare il distacco dall’orizzonte valoriale pericoloso e deviante nel quale erano stati immersi.
In tal modo il percorso riparativo potrà fornire elementi capaci di dimostrare ciò che la scelta di collaborare con la giustizia consente di presumere.
Il provvedimento impugnato Ł sorretto da una motivazione attenta alla selezione degli elementi elencati dal legislatore nell’art. 4-bis, comma 1-bis,ord. pen., ma, pur svolgendo un’accurata valutazione di ciascuno di essi, tralascia tuttavia di confrontarsi, in maniera congruamente approfondita, con le iniziative assunte in forma di giustizia riparativa nei confronti delle vittime dei reati da lui commessi, di misurarne la concreta consistenza e di apprezzarne l’immediata incidenza e le ulteriori potenzialità sul già tracciato suo percorso di allontanamento dalle logiche e dalle strutture associative mafiose.
5.1 Occorre premettere che il ricorso del Procuratore Generale presso il Tribunale di Cagliari sviluppa tra le sue censure diversi rilievi che sconfinano ampiamente nel merito e che assumono un carattere controvalutativo, palesemente estraneo all’ambito del sindacato consentito alla Corte di legittimità.
Il ricorrente ha contestato che il Tribunale di sorveglianza abbia valorizzato un percorso rieducativo solo parzialmente positivo perchØ COGNOME aveva ammesso la partecipazione ad uno solo dei 48 omicidi a lui attribuiti, ma il provvedimento impugnato esamina in maniera completa l’evoluzione del contegno del condannato, che solo progressivamente si Ł confrontato con le sue responsabilità, ammettendo un omicidio e comunque dichiarandosi responsabile di altri tre; tutti gli altri omicidi, di cui si parla nella nota della DIA, sono ricondotti a lui perchØ avvenuti ad opera del gruppo nel quale egli rivestiva un ruolo di spicco ma non vi sono elementi per considerarlo effettivamente concorrente. In ogni caso con congrua motivazione, insindacabile in questa sede, il Tribunale di sorveglianza ha dato conto della rielaborazione e del senso di colpa, maturato nel detenuto, per gli effetti nefasti delle azioni del gruppo mafioso al quale aveva convintamente aderito.
5.2 Il ricorrente richiede poi un’alternativa valutazione di merito, a fronte di un contrario apprezzamento degli stessi elementi da parte del Tribunale di sorveglianza, quando sostiene che COGNOME non ha ancora descritto in modo completo la sua storia criminale e continua a mantenere un legame non solo affettivo con la sua famiglia di origine; anche sotto questo profilo il provvedimento impugnato svolge un’accurata valutazione degli elementi acquisiti dagli operatori penitenziari nel corso dei colloqui e delle attività trattamentali, segna un tracciato di graduale
acquisizione di consapevolezza del suo vissuto e dà conto delle risultanze dell’osservazione scientifica dalla quale emerge un progressivo distacco dai valori culturali della sua giovinezza.
Si dà conto del legame affettivo ancora esistente tra lui e i familiari e il ricorso, nel contestare che tale legame va al di là dei confini dell’affettività e nel ventilare che esso possa essere foriero di altre implicazioni, risulta generico e non individua alcun profilo che il Tribunale di sorveglianza abbia omesso di considerare.
In tale verifica il Tribunale di sorveglianza valorizza congruamente anche i comportamenti che gli hanno consentito di ottenere dei permessi premio, così come il contegno tenuto in occasione della fruizione dei permessi premio. Tutti elementi positivi, sui quali il ricorrente nulla deduce in senso contrario.
5.3 Ancora il Procuratore Generale impugnata propone una lettura alternativa del controverso rapporto tra NOME COGNOME e il padre NOME, sottolineando che il Tribunale di sorveglianza avrebbe dovuto maggiormente valorizzare il fatto che, dopo la collaborazione del genitore e l’invito di costui a deporre le armi, egli aveva invece continuato a militare nella cosca con ruolo apicale, portando a termine diverse altre azioni delittuose tra le quali anche un omicidio.
In realtà il provvedimento impugnato non trascura affatto tale dato e ne sottolinea la gravità ma lo contestualizza congruamente in un vissuto nel quale la collaborazione del padre, con la contestuale emersione di altri motivi di tensione e di delusione nell’ambito delle dinamiche familiari, aveva creato disorientamento in NOME COGNOME inducendolo a mantenersi fermo nello stesso stile di vita criminale e ritardando così la presa di consapevolezza, che si sarebbe registrato a seguito della lunga detenzione.
Il ricorrente inoltre richiama la nota della DDA di Catania, laddove afferma che egli sarebbe pronto a rinsaldare i legami con gli appartenenti al sodalizio criminale di appartenenza, ma non si confronta con gli argomenti contenuti nel provvedimento impugnato, dove si evidenzia che a fronte di tali apodittiche affermazioni contenute nella nota non vengono messi in rilievo concreti elementi indicativi di tale giudizio.
6. Colgono invece nel segno i rilievi in ordine all’insufficienza della motivazione sulle condotte risarcitorie e riparative. In disparte l’infondatezza dell’affermazione secondo la quale egli avrebbe dovuto effettuare risarcimenti in favore delle vittime dei 48 omicidi, dei quali – come detto – se ne possono attribuire, ai fini dell’adempimento delle obbligazioni civili, solo quattro, occorre evidenziare che certamente gli effetti diffusivi della sua condotta di esponente di primo piano di un’associazione criminale che ha soggiogato i territori di Belpasso e San Pietro Clarenza e che ha turbato l’ordine pubblico e la sicurezza di quelle comunità e delle comunità limitrofe, vanno apprezzati unitamente all’elevata gravità dei reati per i quali Ł stato condannato e all’intensità del pericolo che il percorso di recupero del condannato, pur così avanzato, non soccomba dinanzi al riattivarsi dei latenti legami criminali, ancora concretamente riattivabili a distanza di anni, secondo la proiezione duratura e ultrattiva degli effetti dell’adesione ad una cosca mafiosa di matrice tradizionale.
Posto che con accurata ed ineccepibile ricostruzione delle fonti di reddito tracciate in capo al COGNOME egli Ł stato ritenuto, in forza di risultanze specifiche logicamente valutate, nell’impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili nei confronti delle persone offese dal reato e posto che la contraria affermazione della DDA di Catania in ordine alla possibilità che egli ed i suoi familiari ottengano finanziamenti dall’organizzazione mafiosa non risulta agganciata ad alcun elemento concreto e attuale (nØ il Procuratore Generale ne segnala di trascurati), la verifica sul punto richiesta dal legislatore poteva essere soddisfatta solo prestando adeguata attenzione alle iniziative del condannato, pur non del tutto satisfattive, nelle forme della giustizia riparativa.
6.1 Come afferma la giurisprudenza di legittimità, «il condannato per reati ostativi cd. “di prima
fascia” che, non avendo collaborato con la giustizia, voglia accedere alle misure alternative alla detenzione ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, deve dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, o l’assoluta impossibilità dello stesso, anche nel caso in cui la persona offesa non si sia attivata per ottenere il risarcimento del danno» (Sez. 1, n. 16321 del 10/01/2024, Sinatra, Rv. 286347 – 01)
Resta dunque ininfluente la circostanza che le persone danneggiate dal reato si siano, o meno, costituite parte civile nel processo, ovvero abbiano giudizialmente insistito nei confronti del condannato per il ristoro dei danni patiti (Sez. 1, n. 47347 del 30/11/2011, Fieromonte, Rv. 25142101).
Già prima che l’istituto della giustizia riparativa facesse ingresso nel sistema vigente si richiedeva comunque che, quando un beneficio fosse subordinato al ristoro dei pregiudizi prodotti dalla condotta delittuosa, il condannato dovesse assumere l’iniziativa di consultare le vittime per l’individuazione di un’adeguata offerta riparatoria (Sez. 1, n. 23343 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 263782-01; Sez. 1, n. 43000 del 23/10/2007, COGNOME, Rv. 238122-01), perchØ la manifestazione di interesse per la vittima e gli intendimenti di riparazione, non solo sul piano materiale, ma anche su quello morale, erano considerati indicativi della sussistenza di quei necessari requisiti di revisione critica e di rieducazione.
6.2 Se già, anche ad altri fini in linea con il diritto vivente e con gli insegnamenti del giudice delle leggi in ordine all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 176 cod. pen. (cfr. la già citata Corte Cost. n. 138/2001; supra § 4.1), «l’adoperarsi del condannato per l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato non deve essere valutato solo alla stregua delle regole proprie del codice civile, ma anche quale onere impostogli in funzione del valore dimostrativo dell’emenda e della condotta successiva alla condanna» (Sez. 1, n. 37081 del 31/05/2024, Rv. 287087 – 01), a maggior ragione ora, quando il condannato risulta privo di ogni possibilità di attivare forme risarcitorie civilisticamente rilevanti, diventa dirimente alla luce dell’ultimo periodo del comma 1-bis dell’art. 4-bis ord. pen., ai fini dell’accertamento della cessata pericolosità sociale in caso di mancata utile collaborazione ai sensi dell’art. 58-ter ord. pen., la valutazione di una sua iniziativa nelle forme della giustizia riparativa.
6.3 Fondatamente il Procuratore Generale impugnante lamenta che il mero invio di una lettera di scuse ai Sindaci dei Comuni di appartenenza delle vittime costituisce elemento insufficiente che non può surrogare il ben piø complesso percorso di emenda richiesto dal legislatore. E ciò anche a prescindere dalla valutazione della sua asserita tardività.
Lo stesso provvedimento impugnato, con consapevolezza, lo definisce come «embrionale tentativo di riparazione».
Ritiene il Collegio che, dando adeguata proporzione alla gravità dei reati commessi e delle offese arrecate, in assenza di altre possibilità di offrire condotte concretamente riparatorie, la misura alternativa richiesta dal Pulvirenti non poteva essere concessa senza un’adeguata verifica dell’impegno profuso in una strutturata e non occasionale ed episodica iniziativa nelle forme della giustizia riparativa.
E in assenza di tale elemento, risultando certamente insufficienti mere espressioni di solidarietà e richieste di perdono inoltrate tramite terzi alle vittime, non può ravvisarsi un quadro completo e rassicurante di elementi che dimostrino il venir meno del pericolo di ripristino dei pregressi legami con la criminalità organizzata.
7. Il provvedimento impugnato deve essere pertanto annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Cagliari perchØ nell’ambito di nuovo giudizio, libero nell’esito, valuti la sussistenza e
l’adeguatezza di iniziative del condannato richiedente la misura alternativa della semilibertà a favore delle vittime nelle forme della giustizia riparativa, verificando se il percorso intrapreso abbia raggiunto o possa raggiungere esiti univocamente indicativi di definitivo ripudio dei pregressi legami con la criminalità mafiosa.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Cagliari.
Così deciso il 24/01/2025.
Il Presidente NOME COGNOME