Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20308 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20308 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PADOVA il 08/05/1989
avverso la sentenza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Perugia, in sede di giudizio di rinvio – disposto a seguito di annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Ancona del 23 giugno 2020 dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione, con la sentenza n. 38589 del 7 luglio 2022 – ha confermato la sentenza del Tribunale di Ancona che, in data 23 aprile 2018, ha condannato NOME COGNOME in ordine ai reati di cui agli artt. 56, 624, 625, n. 7 cod. pen.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia Avv. NOME COGNOME deducendo due motivi di ricorso, di seguito enunciati secondo il disposto di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo, la difesa ha dedotto la violazione dell’articolo 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen. per erronea e falsa applicazione degli articoli 601, 1 bis, 429, comma 1, lett. d-bis) e 178 cod. proc. pen., in quanto il decreto di citazione in grado di appello non conteneva l’avviso della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.
Si è evidenziato che tale eccezione è stata rigettata in appello con una motivazione che la difesa non ritiene condivisibile alla luce delle modifiche introdotte dall’art. 34, comma 1, lett. g), n. 3 del decreto legislativo n. 150 del 2022 (Attuazion della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) secondo cui il decreto di citazione in grado di appello deve contenere almeno le previsioni di cui alle lettere a), d-bis), f) e g) dell’articolo 429 cod. proc. pen.
Pertanto, il ricorrente ha dedotto che il mancato avviso all’imputato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa ha limitato il suo diritto di dif integrando una nullità di ordine generale, ai sensi dell’articolo 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.
La differente tesi sostenuta dalla Corte territoriale, secondo cui non è prevista alcuna sanzione processuale espressa, né sarebbe configurabile una nullità di ordine generale, non afferendo detto avviso all’intervento, all’assenza o alla rappresentanza dell’imputato, sarebbe in contrasto con i principi introdotti dal legislatore con la rifor Cartabia, considerando, peraltro, che l’avviso in esame ha anche una finalità di riduzione del contenzioso. Né, sostiene la difesa, può ritenersi che l’omissione non dia luogo a nullità perché l’autore del reato si avvale dell’assistenza tecnica, in quanto una tale conclusione finirebbe con vanificare il valore dell’autodifesa.
Più specificamente, il ricorrente afferma che la partecipazione ad un programma di giustizia riparativa rientra tra quegli atti che richiedono la diretta partecipazi dell’imputato, sicché il mancato avviso dà luogo, se non a una nullità speciale in quanto non prevista, a una nullità di ordine generale, così come affermato dalla sentenza n. 19 del 2020 della Corte costituzionale, in riferimento all’omissione dell’avviso della facoltà di richiedere la messa alla prova.
La ricorrente ha, poi, evidenziato che l’art. 601 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 34 d.lgs. n. 150 del 2022, ai sensi dell’art. 92 comma 2-bis d. Igs n. 150 del 2022 – secondo il quale le disposizioni in materia di giustizia riparativa si applican decorsi sei mesi dall’entrata in vigore del medesimo decreto – trova applicazione nel caso di specie, in quanto il decreto di citazione a giudizio è stato emesso dalla Corte di Appello di Perugia il 9 novembre 2023.
3.1. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione dell’articolo 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per l’erronea e falsa applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., anche in relazione agli artt. 56, 624 cod. pen., per avere il giudice del rinvi valorizzato sentenze non presenti nel certificato del casellario giudiziale e per erroneità e illogicità della motivazione sul punto.
Al riguardo si è dedotto che, a fronte dell’annullamento con rinvio per la mancata concessione della causa di non punibilità, la Corte di Appello umbra ha negato l’applicazione della causa di non punibilità sulla base di una sentenza di condanna per tentato furto (irrevocabile il 16/10/2015), per rapina aggravata (irrevocabile il 2 maggio 2016) e per tentato furto (irrevocabile il 26 gennaio 2021) che non risultano dal certificato del casellario, dal quale, aggiornato al 21 maggio 2024 e allegato al ricorso, risulterebbero, invece, due sole sentenze irrevocabili, quella per furto tentato in concorso (irrevocabile il 26 gennaio 2021) e un’altra per il reato di cui all’art. cod. pen. (irrevocabile il 29/09/2020).
La difesa ha, dunque, obiettato che le sentenze considerate dalla Corte di Appello di Perugia o non erano presenti nel casellario giudiziale al tempo della celebrazione del processo in primo e secondo grado, oppure, se erano presenti, i giudici marchigiani hanno ritenuto di non doverle valorizzare.
Nel ricorso si è evidenziato, altresì, che la sentenza del 26 gennaio 2021 è divenuta irrevocabile in data successiva alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Ancona, quindi non poteva risultare alla Corte d’Appello di Ancona come irrevocabile.
La ricorrente ha, poi, sottolineato che la Corte di Appello di Ancona ha negato l’applicazione della disposizione di cui all’art. 131-bis cod. pen. sul rilievo dei numero pregiudizi di polizia e ha posto in evidenza che, invece, la Corte d’Appello di Perugia ha richiamato sentenze divenute irrevocabili negli anni 2015, 2016 e 2021.
Anche il Tribunale di Ancona con la sentenza di primo grado del 23 aprile 2018 non aveva dato valore alle sentenze divenute irrevocabili nel 2015 e nel 2016.
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Secondo la difesa, la Corte d’appello umbra, in sede di rinvio, non si è premurata di controllare se i giudici di primo e secondo grado di Ancona avessero avuto conoscenza dei precedenti del 2015 e del 2016 ed ha negato la causa di esclusione della punibilità del fatto ritenendo ostative le condanne, pur se costituenti precedenti risalenti, ciò anche se in primo grado non era stata applicata la recidiva ed era stata concessa la sospensione condizionale della pena.
Inoltre, si è dedotto che la Corte d’Appello di Perugia avrebbe valorizzato reati molto risalenti nel tempo (commessi nel 2012 e nel 2015) trascurando di considerare il successivo lungo arco temporale di buona condotta.
In ogni caso, si è affermato che il riconoscimento della causa di esclusione della punibilità della particolare tenuità del fatto non è precluso dall’esistenza di precedent penali, in quanto i parametri di cui all’art. 131-bis cod. pen. hanno natura e struttur oggettiva, operando su un piano diverso da quello della personalità.
Infine, la difesa ha dedotto che, determinatosi il giudicato parziale per effetto della prescrizione maturatasi dopo la sentenza emessa dalla Corte di cassazione, ma prima della sentenza della Corte di appello di Perugia, non potrebbe il giudice del rinvio valorizzare elementi non valorizzati dai giudici di merito marchigiani.
Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale della Cassazione, NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato in relazione ad entrambi i motivi.
Con riferimento al primo motivo, deve rilevarsi che correttamente la Corte d’Appello di Perugia ha ritenuto non fondata l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio in appello privo dell’avviso all’imputato della facoltà di accedere programmi di giustizia riparativa.
Da tale omissione non consegue la nullità della vocatio in ius, concorrendo in tal senso plurime considerazioni, di ordine letterale e sistematico.
In primo luogo, in conformità ai criteri direttivi di cui all’art. 12 delle prel secondo cui «ell’ applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore» va, prioritariamente, considerato il dato testuale.
L’art. 601, comma 3, cod. proc. pen. stabilisce, ai fini che qui interessano, che «l decreto di citazione per il giudizio di appello contiene i requisiti previsti dall’a 429, comma 1, lettere a), d-bis), f), g), l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza nonché l’indicazione del giudice competente…» prevedendo, poi, le conseguenze sanzionatorie dell’inosservanza al comma 6, il quale dispone che
«il decreto di citazione è nullo se l’imputato non è identificato in modo certo, se non contiene l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza ovvero se manca o è insufficiente l’indicazione di uno dei requisiti previsti dall’artico 429,connma 1, lett. f)».
Stante il rinvio alla sola lettera f) del comma 1 dell’art. 429 cod proc pen. evidente che la nullità colpisce il decreto di citazione a giudizio in appello solo se, tr requisiti di cui all’art. 429 cod. pen., sia omesso quello concernente l’indicazione de luogo, del giorno e dell’ora dell’udienza per la prosecuzione del processo davanti al giudice del dibattimento». Soltanto in questa ipotesi l’omissione integra una nullità speciale dell’atto.
Per il decreto di citazione a giudizio in appello l’omessa indicazione dell’avviso in questione non è tra i casi di nullità espressamente previsti, simmetricamente a quanto stabilito per la vocatio in ius in primo grado, atteso che l’art. 429, comma 2, cod. proc. pen., non ricomprende tra le cause di nullità speciali l’avviso all’imputato della facoltà accedere ai programmi di giustizia riparativa.
Parimenti, ai sensi dell’art. 552, comma 2, cod. proc. pen., non è nullo il decreto di citazione diretta a giudizio privo dell’avviso che l’imputato (e la persona offesa) hanno facoltà di accedere a un programma di giustizia riparativa, essendo tale vizio specificamente previsto solo per la mancata indicazione dei requisiti di cui alle lettere c) d) e) e f) dell’art. 552, comma 1, cod. proc. pen.
Vi è, dunque, un primo dato testuale che, però, potrebbe non essere sufficiente per affermare l’insussistenza dell’invalidità dell’atto di citazione per l’omissio dell’avviso in questione, ciò perché l’ordinamento processuale penale all’ art. 178 cod. proc. pen. stabilisce nullità generali, previste, cioè, per categorie di inosservanze, pu sempre nel rispetto del principio di tassatività di cui all’art. 177 cod. pen., secondo quale «l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge».
Nella prospettazione difensiva, la violazione del combinato disposto degli artt. 429 e 601 cod. proc. pen., nella parte in cui dispone che il decreto di citazione per il giudiz di appello contiene l’avviso all’imputato (e alla persona offesa) che ha facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa, pur se non espressamente prevista, andrebbe ricondotta ad una nullità generale di cui all’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen e, segnatamente, nella categoria di inosservanza che concernono l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato.
Tale tesi non persuade per ragioni che attengono alla natura e alla funzione del sistema della giustizia riparativa.
L’introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa ad opera del Titolo IV del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150 – formulato in linea con la Direttiva 2012/29/UE adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio recante «norme
minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato» – si accompagnata all’esigenza di un coordinamento delle disposizioni ivi previste con numerose norme del codice di rito e di diritto penitenziario (art. 15-bis Ord. pen.), nonché con alcune norme di diritto penale sostanziale (art 62, primo comma, n. 6), cod. pen.; art. 163 cod. pen.) al fine di innestare tale nuovo paradigma di giustizia nel tradizionale modello di giustizia ordinaria, individuando il punto di aggancio nell’art. 12 – bis cod. proc. pen. il quale dispone che in ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria, anche d’ufficio, può disporre l’invio dell’imputato e della vittima del reato Centro per la giustizia riparativa, per l’avvio del programma.
La giustizia riparativa, secondo la definizione datane dall’art. 42 del d. Igs n. 150 del 2022, consiste in «ogni programma che consente alla vittima del reato, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore» ed è volta al perseguimento degli obiettivi fissati nel successivo art. 43 d.lgs. cit., secondo il quale « programmi di giustizia riparativa tendono promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa e la ricostituzione dei legami con la comunità»; ed a tal fine il legislatore ha inteso promuovere tale modello di giustizia stabilendo a comma 4 che «accesso ai programmi di giustizia riparativa è sempre favorito, senza discriminazioni e nel rispetto della dignità di ogni persona. Può essere limitato soltanto in caso di pericolo concreto per i partecipanti, derivante dallo svolgimento del programma».
Il proposito della massima diffusione della cultura della giustizia riparativa, ne senso dell’acquisizione della consapevolezza del ruolo che a tale istituto il legislatore ha inteso attribuire, trova ulteriore riscontro nell’art. 44, comma 2, d. Igs cit., secondo ai programmi di giustizia riparativa «si può accedere in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l’esecuzione delle stesse e all’esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere, per difetto della condizione di procedibilità, anche ai sensi dell’articolo 344-bis del codice di procedura penale, o per intervenuta causa estintiva del reato».
In attuazione di tali principi il codice di procedura penale è ora arricchito d molteplici norme che, per effetto delle modifiche apportate dal medesimo decreto legislativo di riforma, prevedono che l’imputato e la persona offesa sin dall’inizio de procedimento di cognizione e pur dopo la sua conclusione siano avvisate della possibilità di accedere alla giustizia riparativa, così da renderle edotte della nuova opzione di regolamentazione “non punitiva”, che si aggiunge al sistema tradizionale.
Ciò è quanto consentito dall’art. 293, comma 1, lett. i -bis), cod. proc. pen. il quale dispone che la consegna dell’ordinanza di applicazione della misura cautelare avviene unitamente ad una comunicazione che informa il destinatario, tra l’altro, della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa; analogo avviso è contenuto nell’informazione di garanzia, di cui all’art. 369-bis, comma 1-ter, cod. proc. pen.; nel provvedimento del giudice che non accoglie la richiesta di archiviazione (mentre ai sensi dell’art. 408 cod. proc. pen., l’avviso in questione è dato soltanto alla persona offesa che ha chiesto di essere informata della richiesta di archiviazione); nell’avviso di conclusione delle indagini, ai sensi dell’art. 415-bis cod. proc. pen.; l’imputato deve esser avvisato di tale facoltà anche quando gli viene notificato l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare e, infine, come già sopra rilevato, l’avviso è contenuto nell’atto di citazione diretta a giudizio, nel decreto che dispone il giudizio e nell’atto di citazi al giudizio di appello. Nella fase esecutiva, l’ordine di esecuzione della pena detentiva contiene analogo avviso al condannato (artt. 656, comma 3, e comma 5, cod. proc. pen.).
E’, quindi, evidente che, al precipuo fine di assicurare quanto più possibile l’accesso ai programmi di giustizia riparativa, gli snodi nevralgici dell’intero procedimento penale vedono la necessità di informare l’indagato, l’imputato o il condannato di tale facoltà affinché si realizzi “l’incontro” tra autore del reato e persona offesa.
Conforta tale assunto l’art. 47 del decreto legislativo n. 150 del 2022 che stabilisce che «la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima del reato vengono informate senza ritardo da parte dell’autorità giudiziaria, in ogni stato e grado del procedimento penale o all’inizio dell’esecuzione della pena detentiva o della misura di sicurezza, in merito alla facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa e ai serviz disponibili».
Con riferimento alla natura della giustizia riparativa, deve rilevarsi che nella sentenza Sez. I, n. 8400 del 21/11/2025 si è già affermato che «la giustizia riparativa si configura prevalentemente come un modello complementare al sistema di giustizia penale tradizionale e si rivolge ad aspetti che vanno oltre la contesa penale in quanto, mirando a ricostruire le relazioni interrotte dall’offesa, offre un modello di gestione de conflitti derivanti dal reato a vocazione chiaramente anticognitiva. A ben vedere, infatti, la giustizia riparativa si pone quale tertium genus all’interno del quadro del polifunzionalismo punitivo e assolve una funzione diversa da quella tipicamente attribuita al processo, cioè, persegue finalità riparative e riconciliative in favore de vittima del reato o, in taluni casi, della comunità, prescindendo da una correlazione con la pena… L’ampiezza delle sedi nelle quali il legislatore ha immaginato il ricorso a programmi in esame conferma che l’obiettivo prioritario perseguito è, in linea generale, slegato dai fini del processo e mira, secondo quanto si è sopra osservato, a ricomporre, nei limiti del possibile la frattura che nella comunità si è prodotta per effetto dell’illec
La giustizia riparativa costituisce, dunque, un sistema parallelo che si affianca al procedimento penale senza sostituirsi ad esso, spiegando a livello sostanziale, come già sopra evidenziato, solo alcuni limitati e determinati effetti, che in ogni caso non potranno mai essere sfavorevoli per l’autore del reato. Infatti, ai sensi dell’art. 58 d.lgs. n. del 2022, il giudice potrà tenere conto dello svolgimento del programma ai fini della determinazione della pena, in conformità al disposto dell’art. 133 cod. pen.; tuttavia, la mancata effettuazione del programma, l’interruzione dello stesso o il mancato raggiungimento di un esito riparativo non potranno produrre effetti sfavorevoli nei confronti della persona indicata come autore dell’offesa.
Tutto ciò premesso, deve affermarsi che l’avviso all’autore del reato della facoltà di accedere alla giustizia riparativa assolve ad una funzione prettamente informativa finalizzata a diffondere l’interesse per l’accesso a una diversa e innovativa regolamentazione del conflitto interpersonale, che resta indipendente da quella ordinaria, pur tendendo ad agevolare la riparazione dell’offesa, a incentivare la remissione di querela e il percorso di reinserimento sociale del condannato, perseguendo, al contempo, l’obiettivo di disincentivare condotte recidivanti.
A tal fine le parti, come già sopra evidenziato, vengono costantemente informate di detta facoltà dal pubblico ministero e dal giudice nel corso del procedimento e ben può il giudice attivare anche di ufficio l’avvio ad un percorso riparativo, di talc dall’inosservanza della norma processuale che richiede di dare avviso all’imputato della facoltà di accedere al sistema di giustizia riparativa non può derivare alcuna incidenza sulla validità della vocatio in ius, trattandosi di inadempimento a un onere informativo/divulgativo.
Del resto, il generico contenuto dell’avviso in questione, in quanto riferito all facoltà di accedere a programmi di giustizia di riparativa, e non anche a specifici effett derivanti dall’eventuale accesso agli stessi (come la possibile sospensione del processo nei casi di reati perseguibili a querela soggetta a remissione, prevista dall’art. 129-bi comma 4, cod. proc. pen.), rende ininfluente l’omissione in parola sulla corretta partecipazione al giudizio dell’imputato.
Infine, va rilevato che non è pertinente il richiamo della difesa alla sentenza n. 19 del 2020 della Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 456, comma 2, cod. proc. pen. «nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova», evidenziando – come già affermato nella sentenza n. 148 del 2004, con riferimento all’omesso o inesatto avviso della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato nel decreto che dispone il giudizi immediato – che l’omissione dell’avviso «qui in considerazione non potrà che integrare una nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc.
Si tratta di un richiamo privo di valido fondamento per l’ovvia considerazione che il procedimento di messa alla prova è un rito alternativo (Corte cost. sentenze n. 131 del 2019, n. 91 del 2018, n. 201 del 2016 e n. 240 del 2015), che, in caso di esito positivo, estingue il reato, mentre la giustizia riparativa, per quanto sopra evidenziato, non lo è.
In conclusione, per le ragioni sopra esposte va affermato che non integra alcuna ipotesi di nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello, di cui all’art. 601 proc. pen., l’omissione dell’avviso all’imputato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa, ai sensi dell’art. 429, comma 1, lett. d-bis) cod. proc. pen.
Il principio qui affermato si pone in continuità con quanto statuito da Sez. 6, n. 25367 del 09/05/2023, I., Rv. 285639 – 01, che ha escluso la nullità della sentenza di patteggiamento per l’omesso l’avviso alle parti della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa previsti dall’art. 419, comma 3-bis, cod. proc. pen.
Questo Collegio è consapevole che Sez. 4, n. 32360 del 09/05/2023, Cela, Rv. 284926 – 01- facendo leva sulla necessità della completezza dell’assistenza, intesa quale completa informazione sulle facoltà difensive a tutela dell’imputato – ha ritenuto, ancora in tema di patteggiannento, che il mancato avviso, nel decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 447, comma 1, cod. proc. pen., della facoltà della parte d accedere ai programmi di giustizia riparativa integra una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., che deve essere eccepita nei termini di cui all’art. 182, comma 2, cod. proc. pen. e, pertanto, entro l’udienza d comparizione delle parti per la definizione del giudizio. Tuttavia, le argomentazioni sopra esposte in ordine alla natura e alla funzione della giustizia riparativa inducono questo Collegio ad affermare, con riferimento alla fattispecie in esame, l’insussistenza di un caso di nullità ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen
3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Il giudice del rinvio, con la sentenza del 4 giugno 2024 ha confermato il diniego della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., valorizzando, correttamente, tre precedenti penali costituiti da fatti della stessa indole, quali sono le sentenze di condanna per tentato furto (irrevocabile il 16/10/2015), per rapina aggravata (irrevocabile il 24 maggio 2016) e per tentato furto (irrevocabile il 26 gennaio 2021).
Priva di pregio è pertanto la deduzione difensiva che evidenzia, sulla base del certificato penale allegato al ricorso, l’esistenza di due sole sentenze irrevocabili, per furto tentato in concorso (irrevocabile il 26 gennaio 2021) per il reato di cui all’art. 633 cod. pen. (irrevocabile il 29/09/2020), posto che si tratta di reati contro il patrimoni comunque valorizzabili come precedenti penali rilevanti ai fini del diniego dell’applicazione dell’art.131bis cod. pen.
Pertanto, l’assunto secondo il quale il giudice del rinvio non avrebbe dovuto dar rilievo a precedenti penali non considerati dai precedenti giudici di merito trova solida
smentita nella giurisprudenza di legittimità che ha costantemente affermato il principio secondo il quale in sede di rinvio, i poteri del giudice sono identici a quelli che aveva i
giudice la cui sentenza è stata annullata (Sez. I, n. 12690 del 3712/2019, dep. 2020,
COGNOME, Rv 278703 – 01), sicché anche con riferimento all’applicabilità o no della causa di non punibilità, il giudice ha giustamente rivalutato i presupposti per la
concedibilità della stessa, pervenendo, con motivazione adeguata, al relativo diniego dando conto del presupposto ostativo del comportamento abituale per avere
commesso la ricorrente almeno altri due reati della stessa indole (Sez.
1, n. 9858 del
24/01/2024, Rv. 286154 – 01, Sez. 6, n. 6551 del 09/01/2020, COGNOME Rv. 278347
– 01).
Né – come dedotto dalla difesa – il giudice del rinvio non avrebbe potuto valorizzare tali elementi non valutati dai giudici di merito marchigiani, determinatosi il
giudicato parziale per effetto della prescrizione maturatasi dopo la sentenza emessa dalla Corte di cassazione, ma prima della sentenza della Corte di appello di Perugia.
La Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del consolidato principio della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel caso di annullamento con rinvio limitato alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice del rinvio non può dichiara l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (Sez. 2, n. 20884 del 09/02/2023, Rv. 284703 – 01 Sez. 3, n. 38380 del 2015, COGNOME, Rv. 264796 – 01, Sez. 3, n. 50215 del 2015, COGNOME, Rv. 265434 – 01, sez. 3, n. 30383 del 2016, COGNOME, Rv. 267590 – 01).
Per le ragioni che precedono il ricorso va, dunque, rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 20 marzo 2025.