Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29587 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29587 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore Generale presso Corte d’Appello di Roma nel procedimento a carico di: NOME COGNOME nato in Georgia l’ 11/11/1977
avverso la sentenza del Giudice di pace di Cassino del 5/12/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 5.12.2024, il Giudice di pace di Cassino ha assolto NOME COGNOME , ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., dal reato di cui all’art. 14, comma 5, D.lvo n. 286 del 1998 perché il fatto non costituisce reato.
La sentenza ha rilevato che, in violazione dell’art. 13, comma, 7 d.lgs. n. 286 del 1998, il decreto di espulsione è stato tradotto all’imputato in inglese, ‘lingua a lui sconosciuta’, mentre l’ordine di espulsione non ha avuto traduzione scritta e
nel verbale di notifica risulta solo che l’ordine gli sia stato tradotto oralmente sempre in inglese.
Di conseguenza, ha ritenuto che il provvedimento amministrativo presupposto del reato -di cui il giudice deve verificare la legittimità -fosse viziato da evidente violazione di legge e che questo fosse ‘sufficiente ad escludere l’integrazione del reato contestato’.
Inoltre, il giudice di pace ha considerato che la condizione dell’imputato era quella di chi si trovi senza sua colpa nell’impossibilità di ottemperare all’ordine, in quanto risulta che fosse privo di mezzi economici, senza residenza stabile e definito ‘dimorante in Napoli alla INDIRIZZO
A questo proposito, la pubblica accusa -ha evidenziato la sentenza -non ha provato che l’imputato fosse rimasto volontariamente nel territorio dello Stato pur avendo i mezzi per lasciare il nostro paese.
Il giudice di pace, in definitiva, ha ritenuto che non sia stata raggiunta la prova certa della stessa identità personale e, comunque, della colpevolezza dell’imputato.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma, articolando un unico motivo, con il quale deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la manifesta illogicità della motivazione.
Il giudice di pace ha assolto l’imputato ritenendo dubbio che non sussistesse un giustificato motivo per non ottemperare all’ordine del Questore. Ma non ha indicato gli elementi da cui ha tratto il dubbio, anche perché -a differenza di quanto affermato in sentenza circa l’onere di dimostrazione del giustificato motivo -sarebbe stato onere dell’interessato allegare la sussistenza dell’impedimento, laddove invece l’imputato è rimasto assente.
Né è logica la motivazione del giudice -aggiunge il ricorso -quando conclude che la supposta impossidenza dell’imputato gli avrebbe precluso il viaggio verso la terra d’origine, che è la Georgia, il cui raggiungimento non richiede condizioni particolarmente onerose. In ogni caso, il giudice non ha fatto applicazione del principio secondo cui il disagio socioeconomico non costituisce giustificato motivo per non ottemperare all’ordine del Questore.
Con requisitoria scritta trasmessa il 5.5.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, osservando che il profilo relativo alla traduzione, indicato come sufficiente a escludere l’integrazione del reato contestato, non è stato specificamente censurato dal ricorrente e che il giudice di pace ha ritenuto che la mancata dimostrazione della volontarietà della
permanenza in Italia, in assenza di indicazioni in ordine alla disponibilità dei mezzi per lasciare il territorio dello Stato, non consentisse di ritenere raggiunta la prova certa della colpevolezza dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato per le ragioni che saranno di seguito esposte, non prima di avere operato una iniziale precisazione.
L’assoluzione di NOME COGNOME è stata pronunciata con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’.
Evidenziando nel dispositivo il difetto dell’elemento psicologico del reato, il giudice ha voluto evidentemente ricollegare il proscioglimento dell’imputato all’aspetto, sviluppato essenzialmente nella seconda parte della sentenza impugnata, della sussistenza di una situazione che non avrebbe reso possibile allo straniero l’ottemperanza all’ordine di espulsione.
Del resto, su questo profilo si incentra, non a caso, anche il ricorso del pubblico ministero.
Ciò nondimeno, nella prima parte della sentenza impugnata il giudice si è soffermato prima ancora sulla questione della mancata traduzione del decreto di espulsione, che, tratteggiata all’inizio della motivazione, non si capisce infine quale rilevanza abbia avuto sulla decisione, giacché, ove fosse stata ritenuta assorbente in via preliminare, avrebbe giustificato piuttosto l’assoluzione per la insussistenza del fatto (da farsi prevalere, secondo l’ordine progressivo fissato dall’art. 530 cod. proc. pen. delle cause di non punibilità, che rispecchia un criterio logico-giuridico favorevole all’imputato, sicché l’accertamento sulla insussistenza del fatto prevale sulle successive cause di proscioglimento; solo se il fatto sussiste nei suoi lineamenti obiettivi, infatti, si può passare a valutare se l’imputato lo ha commesso con dolo o colpa).
Resta il fatto che la sentenza, dopo avere opinato che il decreto di espulsione non era stato tradotto in una lingua conosciuta allo straniero, contiene un passaggio in cui il giudice afferma esplicitamente che tanto integri una evidente violazione d i legge, aggiungendo che ‘già questo è sufficiente ad escludere l’integrazione del reato contestato poiché un suo presupposto essenziale è un ordine emesso nel rispetto dei requisiti prescritti, in primis quello preordinato a renderlo conoscibile al destinatario ‘.
Per quanto innanzi osservato, però, non si tratta, in definitiva, del motivo per cui è stata pronunciata l’assoluzione dell’imputato.
Si è in presenza, pertanto, di una motivazione perplessa, che prospetta due alternative autonome, le quali non conducono alla medesima soluzione, quantomeno sotto il profilo della individuazione della formula assolutoria.
Avendo infine il giudice dato prevalenza ad una delle due alternative, il fatto che l’altra quella che evoca la illegittimità del decreto di espulsione -sia stata esplicitamente illustrata e valutata nello sviluppo argomentativo della pronuncia impugnata impone di precisare che si tratti comunque di alternativa infondata.
Dagli atti risulta che il verbale di notifica del decreto di espulsione, sottoscritto dal ricorrente, contenga in calce l’annotazione che ha collaborato alla stesura un a persona di nazionalità georgiana, che parlava correntemente in italiano.
È stato redatto anche un verbale di identificazione e di elezione di domicilio del 26.4.2023, da cui risulta che l’imputato abbia nominato un difensore di fiducia ed abbia eletto domicilio in Terzigno presso un indirizzo preciso.
Ma soprattutto all’inizio di tale verbale è stato dato atto che COGNOME abbia dichiarato di parlare e comprendere la lingua italiana, di guisa che opera il principio secondo cui, in tema di traduzione degli atti, l’accertamento relativo alla conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana può essere effettuato anche sulla base degli elementi risultanti dagli atti di polizia giudiziaria (nella specie, l’elezione di domicilio) ed in assenza di dati oggettivi indicativi della mancata conoscenza, rimanendo comunque salva la facoltà per il giudice di compiere ulteriori verifiche ove tali elementi non siano concludenti (Sez. 3, n. 9354 del 15/1/2021, P., Rv. 281479 -01; Sez. 5, n. 52245 del 9/10/2014, COGNOME, Rv. 262101 -01).
Deve poi aggiungersi che , in ogni caso, l’art. 13 , comma 7, d.lgs. n. 286 del 1998 prevede che il decreto di espulsione è tradotto allo straniero ‘in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola’: nel caso di specie, il decreto è stato tradotto in lingua inglese.
Di conseguenza, non è rimasta integrata nei fatti giudicati alcuna illegittimità dei provvedimenti amministrativi da porre a presupposto di una eventuale condanna, a maggior ragione in quanto non risulta che sia stata in concreto dedotta dalla difesa l’inidoneità dei documenti notificati all’imputato a dare compiuta cognizione all’interessato del contenuto precettivo dei provvedimenti.
Venendo ora allo specifico motivo di ricorso, la sentenza impugnata ha richiamato la condizione dell’imputato, definito come ‘privo di mezzi economici, senza residenza stabile’, per ricavarne la considerazione che era ‘impensabile’ che facesse ritorno nel luogo di provenienza a causa della insostenibilità del costo del viaggio.
A questo proposito, il giudice di pace ha stigmatizzato che il pubblico ministero
non abbia provato che l’imputato fosse rimasto deliberatamente sul territorio dello Stato pur avendo i mezzi economici per lasciare l’Italia.
Ma in questo modo la sentenza non ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di immigrazione clandestina, la sussistenza del giustificato motivo idoneo ad escludere la configurabilità del reato di inosservanza dell’ordine del Questore di lasciare il territorio dello Stato, deve essere valutata con riguardo a situazioni ostative -della cui allegazione è onerato l’interessato -incidenti sulla possibilità, oggettiva o soggettiva, di ottemperarvi, non essendo sufficiente la considerazione del mero disagio socio-economico, di regola ricollegabile alla condizione tipica del migrante clandestino (Sez. 1, n. 44567 del 3/11/2021, COGNOME, Rv. 282216 -01; Sez. 1, n. 47191 del 27/4/2016, COGNOME, Rv. 268212 -01).
È stato affermato, in proposito, che occorre avere riguardo ‘ a situazioni ostative di particolare rilevanza, che devono emergere nel caso concreto, incidendo sulla stessa possibilità, soggettiva e oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola estremamente difficoltosa ‘ (Sez. 1, n. 30012 del 13/7/2021, Diame, non mass.).
Ai fini dell’individuazione del giustificato motivo che esclude la configurabilità del reato di cui all’art. 14, comma 5ter , d.lgs. n. 286 del 1998, ‘il giudice deve fare riferimento al caso concreto e alla condizione del cittadino extracomunitario, da apprezzare in tutti i profili idonei a rendere inesigibile, ovvero difficoltoso o pericoloso, anche soggettivamente, il comportamento collaborativo richiesto dalla norma ‘ (Sez. 1, n. 3959 del 13/7/2015, NOME COGNOME Rv. 264936-01; Sex. 1, n. 27214 dell’8/3/ 2022, Hadine, Rv. 283448 -01).
Di conseguenza, costituisce giustificato motivo idoneo ad escludere la configurabilità del delitto di inosservanza all’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato solo l’inadempimento che consegua alle condizioni di assoluta impossidenza dello straniero o che derivi dal mancato rilascio, da parte della competente autorità diplomatica o consolare, dei documenti necessari, dallo straniero stesso sollecitamente richiesti (Sez. 4, n. 4164 del 21/11/2024, dep. 2025, Odigie, Rv. 287499 – 01).
Nel caso di specie, invece, non risulta che il giudice di merito abbia verificato, anche eventualmente attraverso opportuni approfondimenti istruttori, se l’imputato al momento del fatto si trovasse in condizioni di mero disagio economico ovvero di vera e propria assoluta impossidenza e se abbia o meno rivolto idonea richiesta di essere munito dei documenti e dei biglietti di viaggio necessari alla competente autorità diplomatica o consolare ai sensi dell’art. 14 , comma 5bis , d.lgs. n. 286 del 1998.
La sentenza opera un generico e non documentato riferimento al fatto che
l’imputato era privo di mezzi economici, ma in difetto di elementi che consentano di comprendere se si tratti di una situazione di disagio socioeconomico, ricollegabile di regola alla condizione tipica del migrante, da non potersi valutare isolatamente, ma solo in correlazione con altre situazioni ostative, che dovevano essere quantomeno prospettate.
E ciò a maggior ragione, in quanto dalla sentenza non risulta che COGNOME avesse adempiuto ai suoi oneri di allegazione processuale e avesse fornito indicazioni circa la sussistenza di più pregnanti condizioni ostative del tutto preclusive rispetto alla possibilità di ottemperanza dell’ordine di lasciare il territorio italiano.
Deve ritenersi, dunque, che la motivazione su questo punto sia carente.
Da quanto appena osservato, consegue, pertanto, che la sentenza impugnata debba essere annullata, con rinvio al Giudice di pace di Cassino, in diversa persona fisica, per un nuovo esame, alla luce dei principi sopra indicati, del profilo della sussistenza del giustificato motivo dell’inosservanza dell’ordine di espulsione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Giudice di pace di Cassino in diversa persona fisica.
Così deciso il 21.5.2025