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Giustificato motivo porto di coltello: la Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un individuo condannato per porto di coltello. Viene ribadito il principio secondo cui il ‘giustificato motivo porto di coltello’ deve essere una ragione immediata, attuale e verificabile al momento del controllo delle forze dell’ordine, e non una spiegazione fornita a posteriori. La Corte ha inoltre confermato la non applicabilità della particolare tenuità del fatto a causa della potenzialità offensiva dell’arma.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Giustificato Motivo Porto di Coltello: La Spiegazione Deve Essere Immediata

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3560/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande rilevanza pratica: la definizione di giustificato motivo porto di coltello. La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la giustificazione per il possesso di un oggetto atto a offendere deve essere fornita nell’immediatezza del controllo e non può essere una costruzione difensiva elaborata a posteriori. Questa decisione sottolinea la rigidità della legge e offre chiari spunti interpretativi per i cittadini.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato dal Tribunale di Arezzo per il reato di porto di coltello senza una valida giustificazione, ai sensi della Legge n. 110 del 1975. L’imputato, non accettando la condanna, ha deciso di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il suo ricorso su due specifici motivi.

I Motivi del Ricorso e il Giustificato Motivo Porto di Coltello

Il ricorrente ha fondato la sua difesa su due argomenti principali:

1. La Sussistenza del Giustificato Motivo: L’imputato ha riproposto la tesi, già respinta in primo grado, secondo cui esisteva una ragione valida per portare con sé il coltello.
2. L’Applicazione della Particolare Tenuità del Fatto: In subordine, la difesa ha richiesto l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, sostenendo che il fatto fosse di minima offensività e, quindi, non meritevole di sanzione penale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato entrambi i motivi e ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non solo conferma la condanna emessa dal Tribunale, ma comporta anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver presentato un ricorso palesemente infondato.

Le Motivazioni: la Giustificazione a Posteriori non Vale

La Corte ha fornito una motivazione chiara e lineare per la sua decisione, analizzando separatamente i due motivi di ricorso.

Il Principio del “Giustificato Motivo”

Riguardo al primo punto, la Cassazione ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale (citando la sentenza n. 19307 del 2019). Il “giustificato motivo” rilevante ai fini della legge non è quello che l’imputato o il suo avvocato possono elaborare a posteriori per la difesa processuale. Al contrario, deve essere una ragione espressa immediatamente al momento del controllo da parte delle forze dell’ordine, riferibile all’attualità della situazione e suscettibile di una immediata verifica da parte dei verbalizzanti. In questo caso, il motivo addotto era una mera riproposizione di una censura già valutata e respinta, priva dei requisiti di immediatezza e verificabilità.

Particolare Tenuità del Fatto vs. Lieve Entità

Sul secondo motivo, la Corte ha osservato che il ricorso non si confrontava criticamente con la sentenza impugnata. Il Tribunale di Arezzo aveva correttamente motivato la scelta di non applicare l’art. 131-bis cod. pen. La ragione risiedeva nell’offensività del fatto, valutata come non particolarmente tenue in relazione alla lunghezza e alla potenzialità offensiva del coltello. Tuttavia, il giudice di merito aveva riconosciuto la circostanza attenuante della lieve entità prevista specificamente dalla Legge n. 110/1975 (art. 4, comma 3). La Cassazione ha quindi confermato che la concessione di questa attenuante specifica non implica automaticamente che il fatto sia anche di “particolare tenuità” ai sensi del codice penale, trattandosi di due valutazioni distinte.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame offre un importante monito: chiunque porti con sé un coltello o un altro oggetto atto a offendere deve essere in grado di fornire, sul posto e al momento del controllo, una spiegazione logica, credibile e verificabile del perché lo sta facendo. Affidarsi a giustificazioni costruite a posteriori in sede processuale è una strategia destinata al fallimento. La giurisprudenza è ferma nel richiedere un nesso diretto e attuale tra il possesso dell’oggetto e una necessità concreta, escludendo motivazioni generiche o future. La decisione rafforza la tutela della sicurezza pubblica, ponendo un onere di chiarezza e immediatezza su chi detiene tali oggetti fuori dalla propria abitazione.

Cosa intende la legge per ‘giustificato motivo’ per il porto di un coltello?
Secondo la Corte di Cassazione, il ‘giustificato motivo’ è una ragione che deve essere espressa immediatamente al momento del controllo, deve essere legata a una necessità attuale e deve poter essere verificata sul posto dalle forze dell’ordine. Non è valida una giustificazione inventata a posteriori per la propria difesa.

Perché il reato non è stato considerato di ‘particolare tenuità’ pur essendo stata riconosciuta l’attenuante della ‘lieve entità’?
La Corte ha stabilito che le due valutazioni sono distinte. L’offensività del fatto, legata alla lunghezza e al potenziale lesivo del coltello, è stata considerata sufficiente per escludere la non punibilità per ‘particolare tenuità’ (art. 131-bis c.p.), pur consentendo il riconoscimento dell’attenuante della ‘lieve entità’, prevista specificamente dalla legge sulle armi (L. 110/1975).

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisa una colpa nella proposizione del ricorso infondato, anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questa vicenda è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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