Giudizio di sproporzione e confisca: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile
Il giudizio di sproporzione tra beni posseduti e redditi leciti è uno strumento fondamentale nelle misure di prevenzione patrimoniali. Tuttavia, per contestare efficacemente una confisca basata su tale giudizio, è necessario che il ricorso sia specifico e ben argomentato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 14941 del 2024, offre un chiaro esempio di come la genericità dei motivi porti inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, confermando la misura ablativa. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine da un decreto di confisca emesso dal Tribunale nei confronti di una donna, quale terza interessata rispetto ai beni del coniuge, ritenuto soggetto socialmente pericoloso. La confisca riguardava sia alcuni beni immobili che un’autovettura.
In sede di appello, la Corte territoriale riformava parzialmente la decisione di primo grado. Pur individuando un rapporto del 35% tra redditi leciti e illeciti nel periodo considerato, disponeva la restituzione degli immobili alla donna, ritenendo che il loro acquisto fosse compatibile con le disponibilità lecite. Tuttavia, la Corte confermava la confisca dell’autovettura. La motivazione si basava su una tabella di sperequazione che, per l’anno di acquisto del veicolo (2017), mostrava un saldo negativo di quasi 38.000 euro e un saldo negativo progressivo di oltre 121.000 euro. Secondo i giudici d’appello, tale sproporzione non poteva essere superata.
Contro questa decisione, la donna proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e una motivazione carente proprio in merito al giudizio di sproporzione relativo all’acquisto dell’auto.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici di legittimità hanno ritenuto che le censure mosse dalla ricorrente fossero generiche e non in grado di scalfire la logicità della motivazione della Corte d’Appello. La decisione si fonda su principi procedurali solidi, ribadendo i limiti del sindacato della Cassazione in materia di misure di prevenzione.
Le Motivazioni sul Giudizio di Sproporzione
La Corte di Cassazione ha articolato le sue motivazioni su più fronti, evidenziando le carenze strutturali del ricorso.
In primo luogo, il ricorso è stato giudicato aspecifico. Non contestava in modo puntuale i dati numerici e le conclusioni della Corte distrettuale, limitandosi a dedurre vizi di motivazione che, secondo la giurisprudenza consolidata, non sono sindacabili nel giudizio di legittimità relativo a misure di prevenzione. Il ricorso, in sostanza, non creava una correlazione precisa tra le argomentazioni della sentenza impugnata e i motivi di doglianza.
In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che alcune censure, come quelle relative all’effettiva entità della somma pagata per l’auto, non erano state sollevate nell’atto di appello e, pertanto, non potevano essere proposte per la prima volta in Cassazione.
Infine, i giudici hanno confermato la correttezza della valutazione della Corte d’Appello nell’escludere dal computo dei redditi disponibili due fonti di entrata indicate dalla difesa: dei risarcimenti assicurativi percepiti dal coniuge e una presunta donazione da parte del cognato. Per i primi, è stata ritenuta probabile la natura illecita, desunta da indagini per truffa a carico del coniuge stesso. Per la seconda, la sua credibilità è stata minata dal fatto che la somma sarebbe stata consegnata un anno dopo l’acquisto del veicolo.
Conclusioni
La sentenza in esame ribadisce un principio cruciale del nostro ordinamento processuale: l’onere della specificità dei motivi di ricorso. Quando si contesta un giudizio di sproporzione, non è sufficiente lamentare una motivazione apparente o illogica in termini generali. È indispensabile attaccare specificamente i presupposti fattuali e logici su cui si fonda la decisione, dimostrando l’errore del giudice di merito con argomenti precisi e pertinenti. Un ricorso che tenta di ottenere un nuovo esame del merito, senza evidenziare vizi di legittimità, è destinato all’inammissibilità. Questa pronuncia serve da monito sull’importanza di un approccio tecnicamente rigoroso e puntuale nella redazione delle impugnazioni, specialmente dinanzi alla Suprema Corte.
Perché la confisca dell’auto è stata confermata mentre gli immobili sono stati restituiti?
La Corte d’appello ha ritenuto che, nonostante un generale squilibrio tra redditi leciti e illeciti, l’acquisto degli immobili potesse essere giustificato dalle disponibilità lecite accumulate. Al contrario, per l’anno specifico di acquisto dell’auto, la sproporzione era talmente evidente (un saldo negativo di quasi 38.000 euro) da non poter essere superata, giustificando la confisca del solo veicolo.
Per quale motivo principale il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per la sua ‘aspecificità’. Non ha contestato in modo puntuale e dettagliato le argomentazioni e i calcoli della Corte d’Appello, limitandosi a sollevare critiche generiche e tentando di ottenere un riesame dei fatti, attività che non è consentita nel giudizio di legittimità davanti alla Corte di Cassazione.
Le somme derivanti da risarcimenti assicurativi o donazioni sono sempre considerate redditi leciti?
No, non necessariamente. In questo caso, la Corte ha escluso tali somme dal calcolo dei redditi disponibili. I risarcimenti sono stati ritenuti di probabile natura illecita a causa di indagini per truffa a carico del percettore, mentre la donazione è stata considerata non credibile perché sarebbe avvenuta un anno dopo l’acquisto che doveva giustificare.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14941 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14941 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 24/02/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
Lette la requisitoria del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha concluso l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 24/02/2023, per quanto è qui di interesse, la Corte di appello di Reggio Calabria, parzialmente riformando il decreto del Tribunale di Reggio Calabria del 16/03/2022 nei confronti di NOME COGNOME, quale terza interessata rispetto al coniuge NOME COGNOME (ritenuto socialmente pericoloso ai sensi dell’art. 4, lett. a) e b), d. Igs. 159 del 2011), ha confermato la confisca disposta dal giudice di primo grado solo con riferimento all’autovettura Mini Cooper, disponendo invece la restituzione all’interessata degli altri beni confiscati (immobili).
Avverso l’indicato decreto della Corte di appello di Reggio Calabria ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, attraverso i difensori e procuratori speciali AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, denunciando nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. – inosservanza degli artt. 24 e 4 d. Igs. n. 159 del 2011, per omessa o apparente motivazione circa il giudizio di sproporzione tra l’acquisto dell’auto (per la somma di 25 mila euro) e i redditi leciti disponibili. Pur avendo disposto la restituzione degli immobili, individuando nel 35% il rapporto redditi leciti / redditi illeciti nel periodo in questione (con utilizzo in preponderante prevalenza di redditi leciti per l’acquisto degli immobili), la Corte di appello ha ritenuto di non poter superare il giudizio di sproporzione per l’acquisto dell’auto, non offrendo alcuna risposta ai rilievi difensivi, sostenuti da corposa documentazione, volti a dimostrare i criteri di determinazione sia dei costi di acquisto dell’auto, sia dei redditi in tal senso addotti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La Corte di appello ha rilevato che la spesa di 50 mila euro sostenuta per l’acquisto degli immobili non consente di superare il giudizio di sproporzione formulato con riguardo all’acquisto dell’automobile, richiamando la tabella di sperequazione evidenziata dal giudice di primo grado, che presenta, per l’anno degli acquisti (il medesimo, ossia il 2017) un saldo negativo di quasi 38 mila euro con saldo negativo progressivo di più di 121 mila euro. Il decreto impugnato ritiene che non possano essere considerati tra i redditi disponibili le somme corrisposte a titolo di risarcimento assicurativo a NOME COGNOME, attesa la probabile natura illecita desunta dalle due truffe a compagnie
assicurative accertate nel corso di indagini a suo carico, così come la somm asseritamente donata dal cognato NOME COGNOME in quanto consegnata un anno dopo l’acquisto.
Le censure del ricorso relative all’individuazione dell’entità della somm corrisposta per l’acquisto dell’auto non sono ammissibili, non risultando propos con l’atto di appello. Più in generale, il ricorso non contesta, con la neces specificità, i dati richiamati dalla Corte distrettuale, mentre la revoca confisca con riguardo agli immobili rende ragione del relativo esborso pe l’acquisto, ma non inficia – e tantomeno rende apparente – la motivazione dove esclude la disponibilità di redditi leciti provenienti dai risarci assicurativi del proposto e dalla donazione del fratello di quest’ultimo. Ris quindi una complessiva aspecificità del ricorso, carente della necessari puntuale correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849). Nel resto, il ricorso deduce, al più, vizi di motivazi insindacabili nel giudizio di legittimità relativo a provvedimenti in materi misure di prevenzione (cfr. Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di profili idonei escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa del ammende.
Così deciso il 18/01/2024.