Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32090 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32090 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a FORMIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nata a FORMIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a FORMIA il DATA_NASCITA
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE DI COGNOME NOME
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
COGNOME NOME
avverso il decreto del 23/10/2023 della CORTE APPELLO di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio del decreto impugnato;
RITENUTO IN FATTO
1. Il decreto impugnato è stato emesso il 23 ottobre 2023 dalla Corte di appello di Roma che – giudicando in sede di rinvio dopo annullamento della prima sezione penale di questa Corte – ha disposto la restituzione di alcuni beni confiscati nell’ambito del procedimento di prevenzione a carico di NOME COGNOME, confermando nel resto il decreto del Tribunale di Latina del 15 novembre 2017.
L’iter del procedimento è piuttosto complesso e, a beneficio della successiva illustrazione delle ragioni dell’odierna decisione, va ricostruito, sia pur schematicamente.
Il Tribunale di Latina, il 15 novembre 2017, aveva disposto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nei confronti di NOME COGNOME e la confisca di beni intestati alla moglie NOME COGNOME, ai figli NOME e NOME COGNOME e a varie società. COGNOME era stato ritenuto caratterizzato dalla pericolosità generica di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159.
Il provvedimento di confisca era stato successivamente integrato con provvedimento del 13 marzo 2018, avente ad oggetto altri beni.
La Corte di appello di Roma, adita dal proposto e dai terzi interessati, il 25 febbraio 2020, aveva riformato il decreto di primo grado solo quanto alla durata della misura di prevenzione personale.
La quinta sezione penale di questa Corte, con sentenza del 30 novembre 2020, aveva annullato con rinvio il decreto impugnato con riferimento ai dati valorizzati per il giudizio di pericolosità sociale.
La Corte di appello di Roma, con decreto del 18 novembre 2021, aveva riformato parzialmente il decreto di primo grado, disponendo la restituzione di alcuni beni e confermando nel resto.
La prima sezione penale di questa Corte, con sentenza del 30 novembre 2022, aveva annullato con rinvio anche il nuovo decreto di appello, rilevando assenza di motivazione quanto alla confisca di alcuni beni, sia quelli del decreto integrativo di primo grado del 13 marzo 2018, sia altri, rispetto ai quali il provvedimento impugnato risultava contraddittorio in quanto indicava i beni ora come da restituire, ora come da confiscare. Quanto agli altri motivi (sulla pericolosità sociale di NOME COGNOME, sul perimetro temporale in cui era emersa, sulla sproporzione tra redditi leciti e incrementi patrimoniali), li aveva considerati assorbiti.
Il decreto impugnato, ritenendo che il verdetto di pericolosità sociale non fosse oggetto del giudizio di rinvio ed accennando agli elementi da cui si traeva il giudizio di sproporzione, ha provveduto alla restituzione di alcuni beni, confermando, nel resto, il decreto del Tribunale di Latina.
Contro il decreto della Corte di appello di Roma del 23 ottobre 2023, sono stati presentati distinti ricorsi.
Un primo gruppo di ricorsi, convogliati in unico atto a firma dell’AVV_NOTAIO, è stato presentato nell’interesse di NOME COGNOME e dei terzi interessati NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME, sia in proprio che nelle rispettive qualità di II.rr. delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME), RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME), RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME).
Dopo una premessa ricostruttiva delle scansioni processuali che hanno preceduto questa fase, il ricorso viene ai veri e propri motivi di ricorso, di seguito compendiati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge, anche per difetto assoluto di motivazione, quanto al giudizio di pericolosità sociale di NOME COGNOME. I ricorrenti ricordano che la prima pronunzia di annullamento con rinvio di questa Corte aveva richiamato l’attenzione del Giudice della prevenzione sulla necessità di meglio valutare le vicende penali che avevano interessato NOME COGNOME, al fine di vagliarne l’eloquenza quanto alla pericolosità non qualificata come ridisegnata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019. A questo dictum la Corte di merito del primo giudizio di rinvio non si era adeguata, per cui il provvedimento impugnato non avrebbe potuto richiamare la motivazione del precedente provvedimento. Nel nuovo giudizio di rinvio, la Corte distrettuale avrebbe dovuto riesaminare sia il profilo della pericolosità sociale, sia quello della coincidenza temporale degli acquisti. Tali aspetti erano stati oggetto di ricorso per cassazione che aveva condotto all’ultimo annullamento con rinvio e la Corte di appello di Roma, nel provvedimento impugnato, aveva equivocato il mandato della sentenza rescindente, ritenendo erroneamente di dover solo mettere ordine tra le statuizioni di restituzione e di conferma delle confisca, mentre, al contrario, l’annullamento assorbiva le ulteriori censure, rimettendo alla Corte di appello il vaglio circa il fondamento della misura di prevenzione.
Tale vaglio non poteva dirsi superato dai precedenti provvedimenti di merito né esaurito dal mero riferimento alla pertinenza temporale degli acquisti, da quello alla pericolosità sociale e dal riferimento alla perizia COGNOME.
A conclusione dell’illustrazione di questo primo motivo di ricorso, il ricorrente ricorda quali fossero le pronunzie che erano state allegate al ricorso del 24 febbraio 2022.
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3.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla confisca disposta nei confronti dei terzi, giacché una serie di specifiche deduzioni non erano state vagliate dalla Corte di merito.
3.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla perimetrazione temporale della confisca in termini, appunto, di pericolosità sociale. A supporto della doglianza, i ricorrenti trascrivono un ampio stralcio del primo ricorso per cassazione.
Il ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, presentato nell’interesse sia del proposto che dei terzi interessati di cui sopra, consta di quattro motivi, anch’essi di seguito sintetizzati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
4.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge processuale perché il decreto impugnato avrebbe fatto riferimento a quello precedente, che era stato invece spazzato via dalla sentenza di annullamento della prima sezione penale. Quanto al tema dei beni da restituire, oggetto del mandato della sentenza rescindente, la Corte distrettuale avrebbe omesso di occuparsi dei conti correnti intestati alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE La sorte del cont/o Unipol intestato a NOME COGNOME COGNOME rimastq ignote, così come per i beni mobili indicati ai nn. 83 e segg. del punto 2.1, restituiti nella motivazione del decreto annullato ma non indicati nel relativo dispositivo.
Altro limite del provvedimento impugnato sarebbe costituito dalla circostanza che non si comprenderebbe se esso fosse integrativo o sostitutivo del precedente decreto annullato dalla prima sezione penale giacché, per esempio, sulla confisca della ditta individuale NOME RAGIONE_SOCIALE non vi era specifica statuizione, ma solo una conferma del decreto di Latina che aveva disposto la confisca, mentre quello della Corte di appello n. 7/22 aveva disposto la restituzione. Ove si ritenesse il contrario vi sarebbe un’illegittima reformatio in peius in quanto la Procura procedente non aveva proposto impugnazione contro il provvedimento di restituzione.
Il ricorso prosegue evidenziando alcuni punti dolenti del provvedimento impugnato quanto, per esempio, alla restituzione di beni della RAGIONE_SOCIALE, ferma restando la confisca della società; ovvero quanto alla pretermissione delle tre memorie difensive volte a dimostrare l’acquisto lecito dei beni di cui al decreto integrativo del 13 marzo 2018. L’impugnativa prosegue evidenziando anche come il provvedimento impugnato sia errato laddove, a seguito della nuova perimetrazione della pericolosità sociale di COGNOME dal 2002 al 2016 dovuta al secondo decreto di appello, la difesa aveva dedotto e documentalmente dimostrato introiti leciti per oltre 500.000 C in periodo fuoriuscito dal perimetro
della pericolosità, mentre si era ritenuto lecito solo l’importo di 80.000 C, legato a polizze assicurative intestate a NOME COGNOME.
4.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge processuale quanto alla pretermissione di alcune questioni dichiarate assorbite dalla sentenza della prima sezione penale. A seguito dell’annullamento con rinvio, proprio per evitare le difficoltà legate alla ricostruzione del travagliato iter del procedimento, erano stati allegati gli atti utili, ma, ciò nonostante, la Corte di appello di Roma non ha dato riscontro a una serie di doglianze che erano state formulate nell’atto di appello e riprese nel ricorso per cassazione. Sul versante soggettivo della pericolosità sociale del proposto, vi sarebbe omessa motivazione:
sull’irrilevanza, ai fini della prevenzione patrimoniale, dell’episodio associativo del 2002 finito con decreto di archiviazione nel merito,
sull’irrilevanza, agli stessi fini, del delitto tributario del 2006 per essere stata la contestazione annullata in sede tributaria,
sulla limitata rilevanza per circa 6000 C, dell’episodio contestato nel 2016, – sull’errore fatto nella valutazione delle frequentazioni del proposto.
Sul versante oggettivo della sperequazione patrimoniale riferibile al proposto gli argomenti pretermessi sarebbero:
valutazione e quantificazione dei profitti effettivamente conseguiti quale antecedente logico necessario per valutare e assicurare il rapporto di ragionevole congruità tra questi e il valore dei beni che si intende sottoporre a confisca,
rivalutazione e riqualificazione della sperequazione patrimoniale a seguito della riperimetrazione temporale della pericolosità,
omessa considerazione di documentati elementi patrimoniali attivi per erronea ricostruzione patrimoniale,
considerazione di documentati elementi patrimoniali attivi ricavati in periodo non più caratterizzato da pericolosità sociale.
4.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta erronea applicazione dell’articolo 1, comma 1, lett. B d.lgs 159 del 2011 e si concentra su una serie di dati di fatto, oggetto di produzioni documentali successive al primo decreto della Corte d’appello di Roma annullato e quindi sconosciuti sia al primo collegio di appello che alla quinta sezione penale di questa Corte, che li aveva ritenuti utilizzabili ai fini del giudizio sulla pericolosità.
Ci si riferisce alla vicenda del gennaio 2012 che vide COGNOME indagato per associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi, al delitto di dichiarazione fraudolenta in concorso mediante uso di fatture per operazioni inesistenti; agli elementi tratti dalla documentazione relativa alla misura cautelare applicata al proposto il 29 settembre 2009 per vari episodi di
ricettazione; all’arresto del proposto del 30 marzo 2016 per riciclaggio di un autoarticolato. Per ciascuno di tali aspetti, il ricorso si dilunga particolarmente nell’evidenziarne la scarsa significatività ai fini del giudizio circa la pericolosità sociale.
In ordine al primo, la parte ricorda quali furono i tempi della richiesta di archiviazione e del relativo decreto ed effettua una serie di puntualizzazioni circa gli elementi emersi, dubitando della natura lucro genetica della condotta. Quanto al delitto tributario del 2006, il ricorso indulge sulla circostanza che vi fosse stato proscioglimento in sede tributaria e che l’elemento che aveva condotto il giudice tributario a questa decisione non era stato contestato, oltre alla circostanza che il reato aveva al più fruttato un profitto di poco più di 11.000 C. Analogo scarso rilievo lucrogenetico avrebbe avuto la ricettazione del 2016.
Il ricorso si sofferma, infine, sulla valutazione delle frequentazioni del proposto, in particolare per quanto concerne quella con NOME COGNOME e NOME COGNOME.
4.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta errata applicazione dell’articolo 24 del decreto legislativo 159 del 2011 e violazione dell’articolo 125 codice di rito. Il provvedimento impugnato:
non avrebbe verificato quali fossero gli effettivi incrementi patrimoniali ricavati dal proposto nel compimento delle attività delittuose contestate e avrebbe motivato in maniera solo apparente in ordine alla sproporzione tra redditi e beni posseduti, omettendo di valutare una serie di elementi positivi provati con documenti (i prelevamenti effettuati dai conti correnti sociali, i disinvestimenti di polizze e prodotti finanziari, gli affidamenti bancari, gli util societari, il provento della lecita attività lavorativa non qualificabile come profitto di evasione fiscale),
non avrebbe rispettato il criterio di proporzionalità tra profitti illeciti e be sottoposti a confisca e neanche rivalutato la sproporzione alla luce della nuova perimetrazione del periodo di pericolosità sociale che si deve al primo decreto della Corte di appello.
Il provvedimento impugnato – aggiungono i ricorrenti – avrebbe del tutto omesso di pronunziarsi sulla censura circa l’errata applicazione degli indici Istat per il computo delle spese.
Altro difetto motivazionale atterrebbe alla pertinenzialità dei beni confiscati, sottoposti a provvedimento ablatorio solo perché acquistati nel periodo di pericolosità; pur non arrivando a pretendere la prova del nesso di derivazione tra delitto e acquisto, i ricorrenti sostengono che sarebbe stato necessario indicare argomenti, ancorché presuntivi, in grado di dimostrare una connessione tra i fatti di un certo periodo temporale e gli acquisti effettuati in quella annualità; infine il
provvedimento impugnato non avrebbe effettuato una valutazione di ragionevole congruità tra profitti illeciti e valore dei beni da sottoporre a confisca di cui all sentenza della Corte costituzionale numero 24 del 2019
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati, donde si impone l’annullamento con rinvio del decreto impugnato.
Considerato che la ragione dell’annullamento riposa sul vizio del provvedimento impugnato rispetto al dovere valutativo e argomentativo che gravava sulla Corte di appello, occorre delineare quali dovessero essere i riferimenti di quest’ultima e le censure cui dovesse dare seguito.
1.1. Il vincolo di rinvio e i motivi assorbiti.
In primo luogo, la Corte di appello avrebbe dovuto rispettare il vincolo di rinvio che derivava dalla decisione rescindente della prima sezione penale. A questo riguardo, il Collegio ricorda che la ratio decidendi dell’annullamento risiedeva nella:
mancanza di motivazione circa i beni confiscati con il decreto integrativo del 13 marzo 2018;
mancanza di motivazione «con riferimento a numerosi beni che sono, nell’ambito della stessa motivazione ora indicati tra i beni da restituire, ora tra quelli da confiscare», indicazione cui segue un’elencazione «a mero titolo esemplificativo» (cfr. pag. 6 della sentenza di annullamento con rinvio).
Ne consegue che, preso atto del dictum della sentenza rescindente, senza dubbio il dovere valutativo della Corte di merito sarebbe stato quello di correggere il vizio che la prima sezione penale aveva rilevato quanto alla scelta dei beni da confiscare e di quelli da restituire e di attuare una nuova valutazione sul punto.
Ciò non di meno, se la ragione dell’annullamento della prima sezione penale risiedeva nel difetto motivazionale del decreto di appello quanto alla scelta dei beni da confiscare, vi era, tuttavia, una serie di motivi che la prima sezione si legge a pag.
penale aveva ritenuto “assorbiti” (»assorbite le ulteriori censure», 7 della sentenza rescindente). Pur non avendone specificato l’oggetto, è agevole comprendere, dalla lettura della stessa sentenza rescindente, che si trattasse dei motivi concernenti il giudizio di pericolosità sociale (primo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO e secondo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO), la perimetrazione temporale di tale pericolosità sociale (secondo motivo di ricorso
dell’AVV_NOTAIO) e il giudizio di sproporzione tra redditi leciti e beni posseduti (terzo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO). Si tratta, infatti, di motivi che la prima sezione penale non ha esaminato, fatto salvo solo il richiamo ai principi che la precedente sentenza di annullamento con rinvio di questa sezione aveva tracciato quanto ai crismi del giudizio sulla pericolosità sociale, richiamo che non ha visto, tuttavia, una parte concretamente delibativa sulle censure di cui ai ricorsi allora sub iudice.
Ebbene, i motivi assorbiti costituivano un ulteriore riferimento cui pure la Corte del rinvio avrebbe dovuto adeguarsi nel delineare i contorni del proprio dovere valutativo-argomentativo.
A questo riguardo, appare utile richiamare e ribadire la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel giudizio di rinvio, la cognizione del giudice riguarda il nuovo esame non solo del profilo censurato, ma anche delle questioni discendenti dalla sua rivalutazione secondo un rapporto di interferenza progressiva e dichiarate assorbite nella pronuncia di annullamento (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277438; Sez. 5, n. 5509 del 08/01/2019, COGNOME, 275344; Sez. 4, n. 49875 del 20/09/2018, S., Rv. 274044; Sez. 6, n. 17770 del 11/01/2018, P., Rv. 272973).
Come efficacemente chiarito in motivazione dalla sentenza COGNOME, il tema dell’assorbimento è correlato a quello della formazione progressiva del giudicato; quest’ultima si concreta nella stabilizzazione di determinati punti devoluti alla Corte di legittimità e dalla medesima decisi, dei quali è preclusa la successiva valutazione da parte del giudice ad quem; di contro, esistono dei punti della decisione – dipendenti dalla soluzione dei temi oggetto dell’annullamento con rinvio – sui quali la Corte di legittimità richiede al giudice di merito una rinnovata valutazione e che, insieme ai temi direttamente alla base dell’annullamento con rinvio, delimitano l’ambito entro il quale si riespande, in seguito all’annullamento, il potere-dovere di accertamento del giudice di merito, ulteriormente circoscritto dal divieto di reiterazione dell’errore ritenuto sussistente nel giudizio rescindente. «La cognizione del Giudice del rinvio» si legge nella sentenza COGNOME – «è pertanto, da un lato, circoscritta da limiti negativi (divieto di reiterazione dell’errore; divieto di rivalutazione di questioni logicamente presupposte definite nella pronuncia di annullamento), dall’altro, pienamente riespansa non solo al nuovo esame del profilo censurato, ma anche a tutte le questioni che dalla rivalutazione del medesimo discendano secondo un logico rapporto di inferenza progressiva e che ne risultano, pertanto, assorbite». Assorbimento che consiste – come plasticamente rappresentato dal precedente evocato – nella sospensione dello scrutino su determinate doglianze e nella loro restituzione alla rivalutazione del giudice di merito.
Tenuto conto degli insegnamenti di questa Corte, non può che rilevarsi come la prima sezione penale abbia ritenuto questione assorbente rispetto alle altre quella sulla confiscabilità di alcuni beni, scelta che era intangibile per il Giudice del rinvio e che è intangibile anche in questa sede; e che, di conseguenza, la sentenza di annullamento abbia rimesso in campo non solo lo scrutinio circa la confiscabilità dei beni – su cui era fondata la decisione di annullamento – ma anche quello in ordine al giudizio di pericolosità sociale di NOME COGNOME, alla perimetrazione temporale di tale pericolosità sociale ai fini della confisca e alla sproporzione tra redditi leciti e beni posseduti, siccome motivi di cui era stato sancito l’assorbimento.
2.2. I motivi di appello.
Una volta delineato il vincolo che discendeva dalla pronunzia della Suprema Corte, altro riferimento cui la Corte territoriale del rinvio avrebbe dovuto conformare la propria decisione riguardava i motivi di appello, nel senso che, quantomeno riguardo ai temi di cui ai motivi di ricorso per cassazione esplicitamente accolti o dichiarati assorbiti, il Giudice del rinvio avrebbe dovuto dare riscontro solo alle questioni che fossero state ritualmente devolute al vaglio del Giudice di appello (precisazione che si coglie in Sez. 5, n. 5509, Sez. 4, n. 49875 e Sez. 6, n. 17770, citt.).
Riguardato il principio nel concreto, questo significa che la Corte di appello di Roma non avrebbe dovuto limitarsi – così come ha fatto – al giudizio circa la confiscabilità di questo o di quel bene, ma avrebbe dovuto occuparsi funditus anche delle doglianze dichiarate assorbite, siccome tutte oggetto di specifici motivi di appello che richiedevano un riscontro.
In particolare, la Corte territoriale, non cogliendo la portata della decisione della prima sezione penale, con particolare riferimento ai temi “assorbiti”, ha reputato che non dovesse essere oggetto di nuovo giudizio il tema del «perimetro cronologico della pericolosità» così, testualmente, pag. 2 del decreto impugnato – e non ha menzionato affatto quello della sussistenza stessa della pericolosità sociale. Quanto alla sproporzione, la Corte distrettuale vi ha dedicato un fugace passaggio, in cui ha scritto di condividere quanto si legge nel decreto di primo grado e nel decreto annullato; si tratta, in quest’ultimo caso, di una motivazione che può definirsi apparente, siccome si esaurisce nel mero, lapidario riferimento a «tutti gli elementi raccolti a carico dello COGNOME in relazione alle sue attività delittuose» e alla «perizia del AVV_NOTAIO», ma senza dare effettivo riscontro agli specifici motivi di appello.
A quest’ultimo proposito, il Collegio è consapevole che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per Cassazione, secondo il disposto dell’art. 10, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, che ripete sul punto la previsione di cui all’art.
4, penultimo comma, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, è ammesso soltanto per violazione di legge. Tuttavia, va anche tenuto conto che la rigidità della regola è temperata dall’esegesi secondo cui è comunque possibile denunciare, ai sensi della lett. c) dell’art. 606 cod. proc. pen., la motivazione inesistente o meramente apparente, integrante la violazione dell’obbligo, imposto dall’art. 7 d.lgs. richiamato, di provvedere con decreto motivato, ossia la motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità; ovvero la motivazione assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, oppure, ancora, quella caratterizzata da argomentazioni talmente scoordinate e carenti da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione circa la misura (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246; Sez. 6, n. 50128 del 11/11/2016, COGNOME, Rv. 268215; Sez. 6, n. 35240 del 27/06/2013, COGNOME e altro, Rv. 256263).
In conclusione, essendo mancato un vaglio circa la pericolosità sociale di NOME COGNOME, la delimitazione temporale della pericolosità sociale e la sproporzione tra risorse lecite e patrimonio, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio.
Richiamati i principi sono enunciati quanto all’assorbimento, la Corte precisa che, essendo oggetto dell’odierna decisione di annullamento con rinvio i presupposti stessi che legittimano la confisca dei beni cui pure si riferisce parte dei motivi di ricorso oggi al vaglio del Collegio, le doglianze che riguardano la confiscabilità di alcuni specifici cespiti (oggetto del primo motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO), vanno dichiarate assorbite nell’annullamento in accoglimento degli altri motivi. A giudizio di questo Collegio, infatti, i temi della pericolosità sociale, della sua perimetrazione e della sproporzione tra redditi leciti ed acquisizioni patrimoniali costituiscono argomenti dotati di priorità logicogiuridica rispetto a quelli sulla confiscabilità di singoli beni, in quanto un eventuale vizio del provvedimento impugnato quanto ai primi aspetti potrebbe avere effetti demolitori rispetto all’intera misura, rendendo superfluo l’esame dei motivi concernenti la confiscabilità di questo o quel cespite. Ne consegue che, su quest’ultimo aspetto, vi potrà e dovrà essere un’eventuale riespansione del potere delibativo della Corte del rinvio all’esito del vaglio sui primi tre aspetti.
In conclusione, il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Roma, che dovrà giudicare in diversa composizione; come chiarito da Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018, Gattuso, «la natura di decreto non permette il rinvio a diversa sezione, a mente del disposto di cui all’art. 623, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.; per contro, la natura decisoria
dell’atto impone che il collegio chiamato alla nuova valutazione sia composto diversamente, stante l’incompatibilità dei componenti che hanno partecipato alla decisione oggetto di impugnazione».
P.Q.M.
annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione. Così deciso il 29/05/2024.