Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 42968 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 42968 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza emessa il 30/03/2023 dalla Corte d’Appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore della RAGIONE_SOCIALE ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso; udito il difensore di COGNOME NOME, AVV_NOTAIO, che ha sollecitato il proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. del proprio assistito, e comunque l’annullamento della sentenza impugnata
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25/06/2019, la Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Rimini, in data 21/04/2016, con la quale COGNOME NOME (quale datore di lavoro della RAGIONE_SOCIALE, d’ora in avanti: RAGIONE_SOCIALE), COGNOME NOME (quale dirigente della stessa RAGIONE_SOCIALE) e
COGNOME NOME (quale direttore tecnico di cantiere della RAGIONE_SOCIALE) erano stati condannati alla pena di giustizia in relazione al delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme in tema di sicurezza del lavoro loro ascritto nelle rispettive qualità qui appena precisate – di COGNOME NOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE affidati in appalto alla RAGIONE_SOCIALE). In particolare, per avere il COGNOME e il COGNOME omesso di predisporre il previsto sistema di protezione individuale idoneo a consentire l’ancoraggio durante il lavoro in quota (art. 111, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 81 del 2008), nonché – quanto al COGNOME – per avere omesso di verificare la presenza dei dispositivi “linea vita”, e non averne sollecitato l’adozione alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (art. 97, comma 1, del medesimo d.lgs.). Inoltre, con la medesima pronuncia, la Corte territoriale rideterminava in Euro 40.000 la sanzione pecuniaria irrogata dal primo giudice alla RAGIONE_SOCIALE, ritenuta responsabile ai sensi degli artt. 5, 6, 25-septies, comma 2, d.lgs n. 231 del 2001.
A seguito di ricorso del COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, tale pronuncia veniva annullata da questa Suprema Corte (Sez. 4, n. 24908 del 25/05/2021), con rinvio ad altra Sezione della Corte bolognese per nuovo esame, in ordine sia alla individuazione della misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare il rispetto dei criteri indicati dalla norma contestata; sia alla corretta individuazione e fornitura – in relazione al sistema di protezione prescelto – degli strumenti idonei a minimizzare i rischi di caduta del lavoratore; sia anche in ordine alla verifica del nesso causale tra le condotte antidoverose eventualmente accertate e il decesso del lavoratore.
In sede di rinvio, la Corte d’Appello ha per un verso dichiarato non doversi procedere nei confronti del COGNOME, a causa della sua irreversibile incapacità accertata con apposito approfondimento peritale. Per altro verso, la Corte territoriale ha confermato la sussistenza della responsabilità amministrativa della RAGIONE_SOCIALE, riducendo peraltro la sanzione pecuniaria ad Euro 30.000.
Avverso tale decisione, ricorre la RAGIONE_SOCIALE, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge con riferimento al principio affermato dalla sentenza rescindente, alla corretta interpretazione dell’art. 111 d.lgs. n. 81 e alla ricostruzione del nesso causale. Si censura la sentenza per aver ritenuto che la condotta omissiva ascrivibile alla RAGIONE_SOCIALE ricorrente, ed il nesso causale tra tale condotta ed il decesso del COGNOME, fossero già stati accertati dalla prima sentenza d’appello, divenuta irrevocabile per il COGNOME ed il COGNOME: in particolare, si deduce una macroscopica violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., nell’attribuzione alla condanna del COGNOME della qualifica di “primo titolo autonomo” per ravvisare la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE.
A tale ultimo riguardo, la difesa censura il percorso argomentativo della Corte d’Appello, la quale – anziché procedere agli accertamenti prescritti in sede rescindente – aveva confermato la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE utilizzando le argomentazioni già cassate dalla Suprema Corte: laddove invece l’accertata presenza della piattaforma elevatrice (dispositivo di sicurezza collettiva da ritenersi adeguato nel caso concreto), nonché l’attività di formazione dei lavoratori tra cui il COGNOME (accertata dal giudice di primo grado) circa l’utilizzo delle piattaforme, avrebbero dovuto indurre il giudice di rinvio a conclusioni opposte.
2.2. Violazione degli artt. 627 comma 3 cod. proc. pen., e 5 d.lgs. n. 231, con riferimento alla ritenuta sussistenza di un vantaggio ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE ricorrente. Si censura la valorizzazione sia del risparmio di spesa per l’acquisto delle “linee vita”, in quanto erano stati adottati strumenti di protezione collettiva ben più costosi (circa Euro 70.000) rispetto a quelli di protezione individuale; sia la valorizzazione del risparmio di tempo ottenuto facendo salire il lavoratore in quota con una scala in opera anziché con la piattaforma elevatrice, trattandosi di argomentazione meramente presuntiva, non sostenuta da parametri oggettivi quanto alla riduzione dei tempi di lavorazione.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO sollecita il rigetto del ricorso, ritenendo la sentenza adeguatamente motivata sotto tutti i profili denunciati.
Con memoria di replica, il difensore della ricorrente evidenzia che i profili denunciati con il ricorso attenevano non già all’art. 111, ma al mancato ossequio del giudice di rinvio alle indicazioni contenute nella sentenza rescindente.
Con memoria del 27/08/2024, la difesa del COGNOME – dopo aver richiamato l’avviso ricevuto dalla Cancelleria per l’odierna udienza – sollecita l’annullamento della sentenza, richiamando le pregresse vicende processuali in sede di rinvio, tra cui la richiesta di applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. per il proprio assistito e la mancata citazione del COGNOME e del COGNOME, nonostante l’estensibilità, a questi ultimi, del motivo che aveva determinato l’annullamento della precedente sentenza di secondo grado nei confronti del COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE.
A tale ultimo proposito, l’AVV_NOTAIO – precisando di aver assistito nel processo anche il COGNOME e il COGNOME, oltre al COGNOME – rappresenta di aver proposto, nell’interesse dei predetti coinnputati non citati nel giudizio di rinvio, incidente di esecuzione tuttora pendente dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Per una migliore comprensione delle considerazioni che verranno svolte a sostegno della necessità di disporre un nuovo annullamento con rinvio, si ritiene anzitutto opportuno richiamare, in via di estrema sintesi, le vicende processuali che hanno preceduto la proposizione dell’odierno ricorso.
2.1. Come già accennato nell’esposizione che precede, sia la responsabilità penale del COGNOME, del COGNOME e del COGNOME (nelle rispettive qualità sopra ricordate), sia la responsabilità amministrativa della RAGIONE_SOCIALE ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, erano state affermate con “doppia conforme” (sentenze del Trib. Rimini in data 21/04/2016, e della Corte d’Appello di Bologna in data 25/06/2019) in relazione al delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle disposizioni in tema di sicurezza del lavoro, contestato con riferimento al decesso di COGNOME NOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE, il quale aveva perso la vita in conseguenza delle lesioni riportate scivolando, e cadendo dall’altezza di circa sei metri, mentre era intento a misurazioni propedeutiche al posizionamento di alcune travi, all’interno di un cantiere sito in Sant’Arcangelo di Romagna; altezza che il COGNOME aveva raggiunto utilizzando una scala, per poi spostarsi lungo una passerella larga circa 60 cm., senza indossare dispositivi anticaduta.
In particolare, i giudici di merito erano stati concordi nell’affermare la responsabilità penale degli imputati in relazione ai profili di colpa omissiva specificamente individuati nel capo di accusa: quanto al COGNOME e al COGNOME (rispettivamente, datore di lavoro e dirigente della RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE), in relazione alla mancata predisposizione del “previsto sistema di protezione individuale per consentire al lavoratore di ancorarsi durante il lavoro in quota”, ovvero degli “elementi di fissaggio e fune di trattenuta alla quale assicurare l’imbragatura che gli operai in quota avrebbero dovuto indossare” ai sensi dell’art. 115, comma 3, d.l.vo n. 81 del 2008. Quanto al COGNOME, direttore tecnico della appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, la “doppia conforme” di condanna aveva fatto riferimento alle contestazioni relative alla omessa verifica della presenza dei dispositivi “linea vita” sugli elementi prefabbricati, nonchè alla mancata adozione di provvedimenti nei confronti della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (oltre che alla omessa informativa al coordinatore).
I giudici di merito avevano poi ritenuto, altrettanto concordemente, che la RAGIONE_SOCIALE fosse responsabile in via amministrativa, con riferimento a quanto compendiato nel capo di accusa, ai sensi degli artt. 5 e 6 del decreto 231 (commissione del reato di omicidio colposo nel suo interesse e a suo vantaggio, avendo gli imputati omesso di adottare le misure previste dalla legge allo scopo di eseguire i RAGIONE_SOCIALE in modo più rapido e meno costoso, in assenza dell’adozione dei modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati quale quello verificatosi).
2.2. Si è già accennato anche al fatto che la prima sentenza della Corte bolognese, confermativa della condanna in primo grado, era stata impugnata con ricorso per cassazione solo dal COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE, non anche dal COGNOME
e dal COGNOME: in particolare, la Quarta Sezione di Questa Suprema Corte (sent. n. 24908 del 25/05/2021) aveva annullato con rinvio la sentenza d’appello, accogliendo il primo motivo di ricorso con cui il COGNOME aveva contestato l’affermazione della sua penale responsabilità, alla luce dei dispositivi presenti in cantiere, e ritenendo che le ragioni dell’annullamento incidessero anche sulla posizione della RAGIONE_SOCIALE.
A sostegno di tale decisione, la Quarta Sezione aveva invero affermato all’esito di una dettagliata analisi delle disposizioni contenute nell’art. 111 d.lgs. n. 81 del 2008 – che i dispositivi di sicurezza collettiva costituivano lo strumento di maggior tutela, e dovevano pertanto essere ritenuti prioritari, tra i criteri da seguire nella scelta delle attrezzature di lavoro, rispetto a quelli di protezione individuale e ai sistemi di accesso e posizionamento mediante funi: questi ultimi, infatti, erano indicati dalla legge “quale scelta subordinata nel caso in cui, per la durata dell’impiego e per le caratteristiche del luogo, non sia logico adottare un’attrezzatura di lavoro più sicura” (pag. 9 della sentenza rescindente).
Su tali basi ermeneutiche, la Quarta Sezione aveva quindi posto in evidenza l’errore interpretativo in cui erano incorsi i giudici di primo e di secondo grado, nell’apprezzamento della condotta tenuta dagli imputati ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 111 d.lgs. n. 81.
In particolare, la sentenza rescindente aveva per un verso osservato che “compito del giudice di merito era, dunque, in primo luogo, stabilire quale fosse la misura di protezione scelta nel caso concreto dal datore di lavoro, onde verificare se in tale scelta il datore si fosse attenuto ai criteri indicati dalla norma la cui violazione gli era contestata. Le sentenze dei due gradi di merito hanno, invece, sviluppato in via prioritaria la questione inerente alla carenza di dispositivi di sicurezza individuale come se la norma contestata (art. 111, comma 1 lett. a) fornisse un criterio di scelta del tutto opposto a quello desumibile dal tenore letterale della disposizione” (pag. 9, cit.).
La Quarta Sezione aveva poi evidenziato una ulteriore criticità, osservando che “in secondo luogo, era compito del giudice di merito verificare se, in relazione al tipo di sistema di protezione prescelto e alla attrezzature adottate, il datore avesse correttamente individuato e fornito gli strumenti idonei a minimizzare i rischi per i lavoratori contro le cadute”; tuttavia, si era criticamente osservato, “la Corte territoriale, in linea con l’impostazione seguita nella sentenza di primo grado, non si è attenuta allo schema logico-motivazionale indicato e la pronuncia risulta viziata per aver incentrato il giudizio circa la violazione da parte del datore di lavoro della regola cautelare idonea a prevenire il rischio poi concretizzatosi sulla assenza di dispositivi di protezione individuale, quali sono le linee vita, senza avere, in primo luogo, esaminato se la predisposizione delle piattaforme elevatrici, strumento di protezione collettiva, fosse la scelta privilegiata nel caso concreto per consentire al lavoratore di operare in condizioni di massima sicurezza” (pag. 9-10 della sentenza rescindente).
In buona sostanza, e conclusivamente, la Quarta Sezione aveva riscontrato una carenza “nell’esame della condotta omissiva del datore di lavoro; i giudici di merito avrebbero dovuto analizzare la violazione della regola cautelare ascrivibile al datore di lavoro secondo il diverso schema sopra indicato e solo all’esito di tale, completo, esame procedere a valutare l’incidenza causale della violazione accertata sull’evento concretizzatosi”. La sentenza rescindente aveva infine sottolineato che la fondatezza delle doglianze del COGNOME, “incidendo sull’elemento materiale del reato, condiziona anche la decisione inerente all’illecito amministrativo dipendente da reato”: su tali basi, era stato disposto l’annullamento della sentenza anche quanto alla RAGIONE_SOCIALE, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna, per nuovo esame alla luce dei criteri ermeneutici enunciati (pag. 10, cit.).
2.3. Nel giudizio di rinvio – instaurato nei confronti del COGNOME e della COGNOME, ma senza la citazione del COGNOME e del COGNOME, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 627, comma 5, cod. proc. pen. – la Corte felsinea ha, da un lato, preso atto degli esiti della perizia disposta a seguito della sopravvenuta incapacità del COGNOME, dichiarando non doversi procedere nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 72-bis cod. proc. pen., per il carattere irreversibile dell’incapacità stessa.
D’altro lato, con riferimento alla posizione della residua ricorrente RAGIONE_SOCIALE e al contenuto della sentenza rescindente, la Corte territoriale ha anzitutto osservato che i giudici di merito si erano “principalmente” confrontati con il capo di imputazione relativo agli imputati-persone fisiche, imperniato sulla mancata predisposizione dei sistemi di protezione individuale.
Tanto premesso, la Corte d’Appello ha poi affermato che “in questa sede si fa – doverosamente – applicazione dei canoni indicati dalla Corte di cassazione laddove si dispone la cassazione con rinvio della sentenza gravata, osservando come si confermi il giudizio di responsabilità dell’ente in relazione al profilo di responsabilità ad essa ascritto, il quale è differente rispetto a quello ascritto alle persone fisiche, e si fonda su una generale omissione delle misure di prevenzione al fine di ‘eseguire i RAGIONE_SOCIALE in modo più rapido e meno costoso -(pag. 9 della sentenza impugnata).
In tale prospettiva – e dopo aver richiamato il principio secondo cui la responsabilità amministrativa dell’ente non postula il necessario e definitivo accertamento della responsabilità penale individuale, potendo ritenersi sufficiente una verifica incidentale ed autonoma della sussistenza del reato, ove ricorrano i presupposti di cui agli artt. 5 segg. del d.lgs. n. 231 – la Corte d’Appello ha affermato che il delitto di omicidio colposo per cui è causa era stato comunque “accertato con sentenza n. 4099/19 della Corte di appello di Bologna, divenuta irrevocabile il 31/12/2019, la quale ha confermato in ordine a tale delitto la responsabilità di COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente in qualità di dirigente nonché direttore di cantiere della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE e di direttore tecnico di cantiere della RAGIONE_SOCIALE In tal modo, la suddetta sentenza ha altresì accertato la sussistenza del nesso causale tra l’azione doverosa che è stata omessa, ossia la mancata predisposizione di idonei dispositivi di sicurezza e il mancato controllo sul loro corretto utilizzo. In definitiva sul punto, la condanna accertante la responsabilità del COGNOME costituisce un primo titolo autonomo per ravvisare la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei termini che seguono” (pag. 10 della sentenza impugnata).
Nel prosieguo, la Corte territoriale ha preso in specifica considerazione i termini del coinvolgimento nella vicenda del COGNOME, da un lato sottolineando che la sua posizione dirigenziale, con un proprio livello di gestione e responsabilità, consentiva di ritenere sussistente il rapporto di immedesimazione organica richiesto dall’art. 5 d.lgs. n. 231 (pag. 11 della sentenza impugnata). D’altro lato, la Corte territoriale ha richiamato la posizione del COGNOME anche con riferimento al criterio soggettivo di ascrizione della responsabilità dell’ente ex art. 6, valorizzando il fatto che egli, “persona fisica autrice del reato presupposto, rivestiva un ruolo di soggetto apicale all’interno della RAGIONE_SOCIALE” (pag. 16), e precisando altresì che alle medesime conclusioni di sussistenza della responsabilità dell’ente si sarebbe pervenuti, senza alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, “anche laddove volesse ritenersi che il COGNOME rivestiva una qualifica di soggetto in posizione subordinata per il fatto che ricopriva anche il ruolo di preposto – essendo il direttore di cantiere – e che quindi era deputato a vigilare sullo stesso”, risultando integrato il presupposto di cui all’art. 7 d.lgs. n. 231 (pag. 18 della sentenza impugnata).
Le scansioni processuali fin qui sintetizzate evidenziano la piena fondatezza dei rilievi critici formulati nel ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, con specifico riferimento alle plurime violazioni dell’art. 627 cod. proc. pen.
3.1. Si è visto che la Quarta Sezione di questa Suprema Corte aveva annullato la prima sentenza d’appello, in accoglimento del ricorso del COGNOME, avendo riscontrato una erronea applicazione dell’art. 111 d.lgs. n. 81 del 2008, ed avendo rinviato ad altra Sezione della Corte bolognese per un nuovo esame delle risultanze acquisite, che il giudice di rinvio avrebbe dovuto effettuare secondo la specifica “progressione valutativa” indicata nella sentenza rescindente: individuazione del sistema di protezione in concreto prescelto, tra quelli di protezione collettiva e quelli di protezione individuale; valutazione della congruenza della scelta in relazione al caso concreto; apprezzamento della idoneità delle attrezzature effettivamente approntate con riferimento al sistema di protezione prescelto; valutazione, all’esito, della sussistenza del nesso causale tra la condotta antidoverosa eventualmente accertata e il decesso del lavoratore (cfr. supra, § 2.2)
Si è visto poi che l’annullamento, anche nei confronti dell’altra ricorrente RAGIONE_SOCIALE, è stato motivato facendo leva sulla erronea applicazione dell’art. 111 che,
“incidendo sull’elemento materiale del reato, condiziona anche la decisione inerente l’illecito amministrativo dipendente da reato” (cfr. pag. 10 della sentenza della Quarta Sezione).
3.2. Appare superfluo soffermarsi, in questa sede, sul carattere pienamente vincolante del principio di diritto affermato in sede rescindente, al quale il giudice di rinvio è tenuto ad attenersi in ogni caso, anche nell’ipotesi in cui tale principio collida con un successivo intervento delle Sezioni Unite (Sez. 6, n. 14433 del 14/01/2020, COGNOME, Rv. 278848 – 01. V. anche Sez. 3, n. 46971 del 10/05/2018, COGNOME, Rv. 274215 – 01, secondo la quale «in caso di annullamento con rinvio, il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione acquista valore vincolante, sicchè, qualora la stessa successivamente accerti che il giudice di rinvio non vi si è uniformato, deve annullarne la decisione, anche qualora, diversamente interpretando la norma, ritenga più esatta la tesi giuridica accolta da quest’ultimo»).
Altrettanto pacifico può ritenersi il fatto che il motivo che aveva determinato l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata dal COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE, costituito dalla erronea applicazione dell’art. 111 d.lgs. n. 81, non può in alcun modo essere considerato “esclusivamente personale”, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 587 cod. proc. pen. E’ stata del resto la stessa sentenza rescindente, come già ricordato, ad evidenziare sia la diretta incidenza del vizio riscontrato sull’accertamento del reato ascritto agli imputati, sia il condizionamento sull’affermazione della responsabilità amministrativa della RAGIONE_SOCIALE, sia la conseguente necessità di annullare la sentenza d’appello anche nei confronti di quest’ultima (cfr. supra, § 3.1).
3.3. In tale complessivo contesto, risulta evidente che la Corte bolognese, in sede di rinvio, avrebbe dovuto attenersi ai criteri valutativi indicati, dalla sentenza rescindente, nel solco di una corretta esegesi delle disposizioni contenute nell’art. 111 d.lgs. n. 81 del 2008.
Inoltre – anzi prima ancora di procedere alla nuova valutazione delle risultanze acquisite – il giudice di rinvio avrebbe dovuto integrare il contraddittorio citando il COGNOME ed il COGNOME, che non avevano proposto ricorso per cassazione, secondo quanto disposto dal connma 5 dell’art. 627 cod. proc. pen., ai sensi del quale l’annullamento pronunciato rispetto al ricorrente giova anche al non ricorrente, salvo che il motivo di annullamento sia esclusivamente personale: sicchè “l’imputato che può giovarsi di tale effetto estensivo deve essere citato e ha facoltà di intervenire nel giudizio di rinvio”.
3.4. Dalla lettura della sentenza impugnata, emerge con chiarezza che – come prospettato nell’odierno ricorso dalla RAGIONE_SOCIALE – il giudice di rinvio non si è attenuto a quanto esposto nel precedente paragrafo.
Oltre a non aver citato il COGNOME e il COGNOME, la Corte d’Appello ha infatti tracciato un percorso argomentativo del tutto avulso dalle indicazioni contenute nella sentenza rescindente.
3.4.1. Pur prestando formalmente ossequio a quest’ultima, la Corte territoriale ha ritenuto di poter procedere ad un autonomo accertamento incidentale, quanto alla sussistenza del reato di omicidio colposo aggravato, prescindendo del tutto dalle “scansioni interpretative” fissate dalla Quarta Sezione con riferimento all’art. 111 d.lgs. n. 81: il giudice di rinvio ha invero fatto esplicito ed esclusivo riferimento al tenore del capo di accusa che peraltro, quanto alla TARGA_VEICOLO, presenta connotazioni del tutto generiche. Infatti, dopo aver dettagliatamente individuato i profili di colpa rispettivamente ascritti agli imputatipersone fisiche, l’imputazione ipotizza la responsabilità amministrativa della RAGIONE_SOCIALE, ai sensi degli artt. 25-septies, 5 e 6 d.lgs. n. 231 del 2001 “essendo state omesse le misure di prevenzione previste dalla legge allo scopo di eseguire i RAGIONE_SOCIALE in modo più rapido e meno costoso da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME” (quest’ultimo separatamente giudicato).
3.4.2. È necessario poi porre nel massimo rilievo il fatto che, in tale valutazione incidentale e (nonostante i vincoli dettati dal giudice di rinvio) dichiaratamente autonoma, la Corte territoriale ha ritenuto di poter valorizzare addirittura quale “primo titolo autonomo” della responsabilità della COGNOME – il fatto che il COGNOME e il COGNOME erano stati ritenuti responsabili del reato di omicidio loro ascritto con una sentenza ormai divenuta irrevocabile, non avendo costoro proposto ricorso per cassazione: sentenza che, tra l’altro, aveva “altresì accertato la sussistenza del nesso causale tra l’azione doverosa che è stata omessa, ossia la mancata predisposizione di idonei dispositivi di sicurezza e il mancato controllo sul loro utilizzo, e l’evento verificatosi” (pag. 11 della sentenza impugnata).
In altri termini, oltre ad avere del tutto ignorato i principi affermati dalla Quarta Sezione circa la corretta interpretazione dell’art. 111, e la conseguente necessità di riesaminare le risultanze probatorie alla luce di quei principi, la Corte territoriale ha conferito una primaria rilevanza alle conclusioni di condanna raggiunte dalla precedente decisione di appello nei confronti del COGNOME e del COGNOME.
Tale argomento è stato peraltro esposto e sviluppato sorvolando sorprendentemente sul fatto che, a quelle conclusioni, i giudici erano pervenuti all’esito di un percorso argomentativo circa la sussistenza del reato che la Quarta Sezione, investita dei ricorsi del COGNOME e della COGNOME, aveva radicalmente censurato, con rilievi inequivoci la cui applicabilità anche al COGNOME e al COGNOME avrebbe dovuto essere apprezzata attraverso l’integrazione del contraddittorio ex art. 627 comma 5, cod. proc. pen., cui si è già più volte accennato (dalla documentazione prodotta dalle parti, è emerso che costoro hanno instaurato un procedimento dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna quale giudice dell’esecuzione, non ancora definito: cfr. sul punto Sez. 1, n. 1454 del 14/10/2013, dep 2014, Lipari, Rv. 258390 – 01).
3.4.3. Si è visto poi che la motivazione della sentenza impugnata, prendendo le mosse da tale “primo titolo autonomo” di responsabilità della RAGIONE_SOCIALE ricorrente, ha ritenuto di potersi soffernnare sulla posizione del COGNOME (dipendente della RAGIONE_SOCIALE) nella prospettiva degli artt. 5 segg. d.lgs n. 231.
Appare peraltro superfluo evidenziare che anche tali ulteriori considerazioni risultano irrimediabilmente vulnerate, non solo dal fatto che gli argomenti spesi dai giudici di merito, su cui si era fondata la condanna del COGNOME, erano stati travolti dalla sentenza rescindente, ma anche dal fatto che tale imputato non aveva avuto alcuna possibilità di intervenire nel giudizio di rinvio, al fine di prospettare un effetto favorevole anche nei suoi confronti della decisione di annullamento della Quarta Sezione, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 587 cod. proc. pen.
3.5. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, deve ritenersi ampiamente accertata la fondatezza dei rilievi difensivi volti a prospettare la violazione dell’art. 627 cod. pen., risultando evidentemente assorbite le ulteriori censure formulate nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE ricorrente.
La sentenza deve quindi essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna per nuovo esame, che sarà effettuato sulla scorta dei principi affermati dalla sentenza pronunciata dalla Quarta Sezione di questa Suprema Corte, previa valutazione in ordine alla instaurazione del contraddittorio nei confronti del COGNOME e del COGNOME (ovvero degli imputati che non avevano proposto ricorso per cassazione avverso la prima sentenza d’appello), tenuto conto di quanto rappresentato nella memoria dell’AVV_NOTAIO in ordine alla pendenza di un incidente di esecuzione proposto, da questi ultimi, dinanzi alla medesima Corte felsinea (cfr. supra, § 5 del “ritenuto in fatto”).
Ritiene infine il Collegio che non vi sia luogo a provvedere sulle richieste formulate dal difensore del COGNOME, la cui irreversibile sopravvenuta incapacità è stata accertata dalla Corte territoriale in sede di rinvio, con conseguente declaratoria di non doversi procedere nei confronti del predetto imputato, ai sensi dell’art. 72-bis cod. proc. pen. (decisione non impugnata dalla difesa del COGNOME, che anche nella sede odierna non ha mosso alcun rilievo critico sul punto).
Assume invero rilievo assorbente la necessità di dar seguito, con riferimento alla fattispecie in esame, all’indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte secondo cui «la sentenza che, a seguito di impugnazione, accerti l’incapacità irreversibile dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, dichiarando l’improcedibilità ex art. 72-bis cod. proc. pen., comporta, quale conseguenza ex lege, la caducazione di tutte le statuizioni della pronuncia di primo grado, ivi comprese quelle eventualmente relative all’esercizio dell’azione civile nel processo penale» (Sez. 3, n. 23790 del 19/02/2019, B., Rv. 275976 – 01. In motivazione, tale pronuncia ha posto in rilievo che la modifica dell’art. 345 cod. proc. pen., ad opera della legge n. 103 del 2017 – con l’inserimento, quale ulteriore causa di riproponibilità dell’azione penale, del venir meno o della erroneità
dell’accertamento dell’incapacità irreversibile dichiarata con sentenza ex art. 72bis cod. proc. pen. – «ha configurato la capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo come una sorta di condizione di procedibilità, la cui mancanza, ove sia accertata come irreversibile, impone la definizione del procedimento penale, potendo l’azione penale essere esercitata nuovamente solo ove l’incapacità della persona da giudicare venga meno, o sia provato che era stata dichiarata in modo erroneo»).
In tale cornice ermeneutica, del tutto condivisibile, è evidente che ogni questione relativa al coinvolginnento del COGNOME nella vicenda per cui è causa potrà essere nuovamente presa in considerazione, ad ogni effetto, solo a seguito di una eventuale riproposizione dell’azione penale nei suoi confronti, ai sensi del novellato art. 345 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna.
Così deciso il 10 settembre 2024
Il Consigli e
1Østensore
Il Pr sidente