Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19193 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19193 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME COGNOME n. in Tunisia il 4/8/1975
avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia in data 24/5/2024
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del Cons. NOME COGNOME
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sost. Proc.Gen.NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte rassegnate dal difensore, Avv. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Perugia, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento della Sesta Sezione di questa Corte disposto con sentenza n. 4004222 del 28/9/2022, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Teramo del 29/11/2018, riduceva ad anni undici di reclusione ed euro 55mila di multa la pena inflitta all’imputato per
i delitti di cui all’art. 73 Dpr 309/90 ascrittigli, avvinti in continuazione esterna con gli omologhi fatti irrevocabilmente giudicati dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza resa il 30/9/2016.
Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi, enunziati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.att. cod.proc.pen.:
2.1 la violazione degli artt. 132,133 cod.pen., 546 cod.proc.pen. 111 Cost., 73, comma 1, Dpr 309/90.
Il difensore sostiene che la Corte d’appello, chiamata in sede di rinvio a rimodulare la pena alla luce della più favorevole cornice edittale conseguente alla pronunzia della Corte Costituzionale n. 40/2019, ha reso una motivazione gravemente insufficiente, limitandosi a ritenere congrua la determinazione della pena base in misura di anni otto di reclusione ed euro 30mila di multa. Aggiunge che la qualificazione dell’imputato come spacciatore di alto livello non è idonea a giustificare il trattamento sanzionatorio irrogato, avendo la sentenza impugnata tenuto conto esclusivamente delle pronunzie di merito e delle condotte contestate, omettendo di confrontarsi con le risultanze processuali e valorizzando il dato ponderale dei quantitativi di stupefacenti movimentati senza alcun ulteriore riferimento ad elementi indicativi della gravità del fatto. In conclusione, il difensore denunzia che la motivazione rassegnata dai giudici d’appello è generica ed apodittica poiché non argomenta in ordine alla misura della pena né circa lo scostamento dal minimo edittale;
2.2 la nullità della sentenza impugnata per effetto della mancata notificazione del decreto di citazione in appello all’imputato; violazione degli artt. 161 e 601 cod.proc.pen.
Il difensore rappresenta che la citazione dell’imputato per il processo d’appello è stata effettuata presso il difensore indicato quale domiciliatario sulla base di un atto risalente al 26/1/2015 senza considerare che successivamente all’arresto per i fatti a giudizio, avvenuto il 24/11/2015, il ricorrente aveva dichiarato il proprio domicilio in INDIRIZZO di Martinsicuro, luogo in cui doveva essere effettuata o quantomeno tentata la notificazione. Segnala, altresì, che -poiché non ha più contatti professionali con l’imputato da anni- l’elezione di domicilio presso il proprio studio non può ritenersi idonea a informare l’imputato della data di celebrazione del giudizio d’appello;
2.3 la violazione degli artt. 601 cod.proc.pen., 23 D.L. 149/2020 convertito nella L. 117/2020, 23 bis D.L. 137/2020 per avere la Corte d’Appello erroneamente proceduto nelle forme della trattazione scritta sebbene la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila, annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, fosse stata emessa a seguito di trattazione in pubblica udienza, circostanza che vincolava il giudice di rinvio senza che l’imputato fosse tenuto a rinnovare la richiesta di discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Risulta logicamente preliminare lo scrutinio dell’eccezione processuale formulata con il secondo motivo rispetto al quale l’accesso agli atti, giustificato dalla natura della doglianza, conduce ad esiti di manifesta infondatezza.
1.1 Deve innanzitutto escludersi che nella specie possa porsi un problema di mancata conoscenza del processo da parte del ricorrente il quale, detenuto per i fatti contestati dal 24/11/2015 al 22/6/2016, risulta essere stato presente nel corso del giudizio di primo grado, svoltosi mentre si trovava ristretto presso il Carcere di Chieti per altro titolo e nel quale fu assistito fiduciariamente da due legali (sent. Trib. di Teramo n.1911/2018). Consta, inoltre, che l’imputato aveva eletto domicilio presso lo studio dell’Avv.COGNOME che lo assisteva fiduciariamente, in sede di interrogatorio reso al Gip di Ascoli Piceno il 26/1/2015 e che detta elezione fu ribadita nella richiesta di ammissione al gratuito patrocinio presentata al Tribunale di Teramo il 16/3/2017. Non si rinviene in atti in epoca successiva alcuna dichiarazione di domicilio o atto di revoca del domicilio eletto. E’ bensì vero che la Corte d’Appello di L’Aquila in data 25 ottobre 2021 disponeva la citazione dell’imputato presso il luogo di residenza in Martinsicuro, INDIRIZZO indicandolo come domicilio dichiarato, ma dalla relata di notifica del 2/11 successivo risulta che a detto indirizzo l’imputato non fu rinvenuto e che dalle informazioni assunte sul posto si apprese che aveva cambiato residenza da almeno quattro anni.
Ciò posto, attesa l’inidoneità del domicilio che il difensore assume dichiarato senza alcuna specificazione ed allegazione al riguardo, la notifica effettuata presso il suo studio deve ritenersi rituale quantomeno ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod.proc.pen.
A tanto deve aggiungersi che, in ogni caso, non vertendosi in ipotesi di omessa notifica ma di notifica in luogo diverso da quello dichiarato o eletto, nella specie si configurerebbe una nullità a regime intermedio che il difensore avrebbe dovuto dedurre prima della conclusione del giudizio d’appello e non per la prima volta in sede di legittimità (Sez. 2, n. 2332 del 24/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285795 – 01; Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, COGNOME, Rv. 284810 – 01).
La censura svolta nel terzo motivo è manifestamente infondata. Il difensore assume che la Corte d’Appello di Perugia in sede di rinvio avrebbe dovuto procedere a trattazione orale dando continuità al rito richiesto ed adottato dalla Corte di Appello di L’Aquila, la cui sentenza era stata oggetto d’annullamento esclusivamente con riguardo al trattamento sanzionatorio. La difesa omette di considerare che il giudizio di rinvio costituisce una fase processuale del tutto autonoma rispetto alle precedenti in relazione alla quale il codice di rito prescrive l’integrale osservanza delle norme volte alla costituzione del rapporto processuale e dei connessi adempimenti delle parti circa la scelta delle modalità di trattazione.
L’assunto difensivo secondo cui l’opzione per la trattazione orale effettuata dinanzi la Corte aquilana avrebbe dovuto osmoticamente valere anche per il giudizio di rinvio è, dunque, destituita di fondamento in quanto priva di conforto normativo e contrastata dalla indispensabile autosufficienza della fase introdotta dalla pronunzia rescindente.
Il primo motivo che lamenta il vizio di motivazione in ordine alla nuova determinazione del trattamento sanzionatorio è manifestamente infondato. La Corte territoriale, mantenuta ferma la struttura del reato continuato, non attinta da rilievi in sede di annullamento, ha fissato la pena base in anni otto di reclusione ed euro 30mila di multa, tenuto conto delle risultanze delle sentenze di merito relative ai reati addebitati che qualificano il prevenuto come spacciatore di alto profilo in ragione della frequenza delle condotte illecite e dei quantitativi di stupefacente trattati. Ha di seguito quantificato in mesi sei di reclusione ed euro 2.500,00 di multa gli aumenti per ciascuno dei reati ascritti ai capi C) ed E) della rubrica e in complessivi anni due la pena, già ridotta per il rito, relativa ai delitti irrevocabilmente giudicati dalla Corte d’appello di Napoli e precisamente anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 15mila di multa per il capo V), mesi quattro ed euro 2500,00 di multa per ciascuno dei reati contestati ai capi AB) e AC), con determinazione finale pari a anni undici di reclusione ed euro 55mila di multa.
La valutazione della Corte di merito in punto di dosimetria della pena risulta incensurabile in questa sede in quanto rispettosa delle indicazioni dettate in sede rescindente e sottesa da una adeguata valutazione dei criteri dosimetrici ex art. 133 cod.pen.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguenti statuizioni ex art. 616 cod.proc.pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, 9 Maggio 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME