Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22616 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22616 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 40902/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a VILLARICCA il 11/12/1972
COGNOME nato a CASAL DI PRINCIPE il 10/08/1969
avverso la sentenza del 14/06/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha
concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore, l’avvocato NOME COGNOME del foro di SANTA NOME COGNOME in difesa di COGNOME anche in qualità di sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME del foro di SANTA NOME COGNOME, che ha concluso insistendo nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
A seguito di giudizio disposto dalla Corte di Cassazione con sentenza in data 03/06/2009, che aveva annullato la sentenza emessa dalla Corte di assise di appello di Napoli in data 04/04/2008, la Corte di assise di appello di Napoli in diversa composizione, in sede di rinvio, con sentenza emessa in data 14/06/2024 ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per essersi i reati a lui ascritti estinti per morte dell’imputato; ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine ai reati, contestati ad entrambi, di detenzione e porto illegali di armi e al reato di soppressione di cadavere, contestato al solo COGNOME, perchØ estinti per prescrizione; ha poi confermato la sentenza della Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere in data 15-17/02/2006 nella statuizione che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME e NOME COGNOME per aver concorso nell’omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME per aver concorso anche all’omicidio di NOME COGNOME entrambi i reati commessi in Casal di Principe il 07/08/1995, condannandoli entrambi alla pena dell’ergastolo, e con riforma solo con riguardo all’isolamento diurno, già applicato a NOME COGNOME che veniva ridotto a sei mesi.
1.1 Il giudizio aveva ad oggetto due gravi episodi omicidiari avvenuti il 07/08/1995.
In quella data alle ore 15,30 in Bellona presso un cantiere dell’impresa RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, con numerosi colpi di arma da fuoco era stato ucciso NOME COGNOME, detto COGNOME. Lo stesso giorno, alle ore 16,30, NOME COGNOME, giovane nipote di NOME, si era allontanato da casa e non vi era piø rientrato; dopo la denuncia della sua scomparsa, il 14/08/1995 il suo cadavere in avanzato stato di decomposizione era stato rinvenuto in una vasca di depurazione dell’impianto Regi Lagni in Villa Literno.
NOME COGNOME, fratello di NOME e padre di NOME, era stato ucciso dal clan dei casalesi nel 1979. NOME, dopo essere evaso dal carcere dove era detenuto, aveva aderito al clan COGNOME, antagonista del clan di Casal di Principe, all’epoca rappresentato dai COGNOME, proprio perchØ attribuiva a questi ultimi l’assassinio del proprio fratello.
Noto per la sua pericolosità e le sue gesta eclatanti, quale ad esempio fu una strage in cui uccise tre persone in INDIRIZZO a Casal di Principe nel 1985, dopo un ulteriore periodo di detenzione, uscito dal carcere nel 1994, si era riavvicinato ai casalesi per iniziativa dei COGNOME, che gli avevano procurato uno stipendio mensile di lire 4.000.000, corrispostogli da NOME COGNOME per il tramite di NOME COGNOME, e un appartamento, invitandolo a tornare con loro, al
fine poi di ucciderlo.
Anche il nipote NOME era stato inserito nel gruppo RAGIONE_SOCIALE con una paga mensile che gli veniva corrisposta da NOME COGNOME.
In realtà tale riavvicinamento era funzionale al progetto di neutralizzare NOME COGNOME perchØ si temeva che prima o poi avrebbe vendicato il fratello; frattanto con il suo atteggiamento incontrollabile, manifestatosi in particolare nella iniziativa di praticare estorsioni per conto proprio, era sempre piø percepito nel clan come soggetto pericolo.
Il nipote NOME era sempre in contatto con lui e si temeva che egli potesse vendicarsi, qualora NOME fosse stato ucciso. Per questo maturò il progetto di assassinarlo contestualmente allo zio.
Il progetto delittuoso prevedeva che, mentre un primo commando di killer si recava al cantiere ad uccidere NOME COGNOME, un altro doveva rapire NOME; così si svolsero i fatti e, nell’ipotesi di accusa, NOME fu condotto in un luogo dove lo attendevano NOME COGNOME e i suoi uomini e dove fu strangolato; poi gli fu sparato un colpo di pistola e infine il suo cadavere fu gettato in un ‘fognone’ che passava vicino ad una masseria di proprietà di NOME COGNOME.
La ricostruzione della vicenda si basa sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e sui riscontri acquisiti a mezzo di perizie medico legali.
Erano state ritenute attendibili le dichiarazioni di NOME COGNOME, esponente di primo piano del clan diretto da NOME COGNOME. COGNOME, per conto di quest’ultimo, si era adoperato per convincere NOME COGNOME a rientrare a Casal di Principe; in seguito, aveva partecipato alla pianificazione della due parallele azioni omicidiarie prestando collaborazione agli esecutori materiali.
Erano state positivamente apprezzate anche le dichiarazioni di NOME COGNOME anch’egli reo confesso e partecipe della pianificazione dei delitti, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, pure coinvolti e che avevano ammesso le loro responsabilità, nonchØ di NOME COGNOME e di NOME COGNOME soggetti con ruoli di rilievo nell’organizzazione.
1.2.1 A seguito dei primi due gradi di merito e della decisione di annullamento con rinvio della Corte di Cassazione (Sez. 5, n. 38530 del 03/06/2009), era emerso che la decisione di uccidere NOME COGNOME era stata presa almeno un anno prima, nel 1994, per volere di NOME COGNOME e NOME COGNOME ma non era stata concretamente attuata per via di diverse difficoltà di esecuzione.
Costoro, imputati e condannati in primo grado quali mandanti, erano stati poi assolti dalla Corte di assise e tale decisione era stata confermata in via definitiva dalla Corte di Cassazione che aveva respinto il ricorso del Procuratore Generale.
Secondo la Corte di Cassazione non poteva considerarsi manifestamente illogica la motivazione con la quale costoro erano stati assolti: la decisione del clan, e dei due suoi esponenti di vertice, di colpire gli COGNOME era stata presa nelle sue linee generali ma la concreta deliberazione, sulla base della quale si giunse all’esecuzione di uno specifico articolato progetto omicidiario, era stata definitivamente presa nel 1995 dopo il comportamento arrogante di NOME. Ai fini dell’attuazione di quel progetto sarebbero state necessarie le opportune disposizioni da parte di esponenti di vertici, presenti sul territorio, mentre NOME COGNOME e NOME COGNOME erano in situazioni che non consentivano loro di intervenire. SicchŁ non sono stati considerati concorrenti dei due omicidi per cui si procedeva, in ragione della sola decisione presa tempo addietro.
1.2.2. A seguito del giudizio di Cassazione veniva definitivamente accertata la responsabilità di NOME COGNOME, ritenuto organizzatore ed esecutore dell’omicidio di NOME COGNOME, del connesso reato in materia di armi e del tentativo di soppressione del cadavere; reo confesso perchØ frattanto divenuto collaboratore, per le sue dichiarazioni NOME era stato considerato meritevole della speciale circostanza attenuante di cui all’art. 8 legge n. 203/91.
Veniva altresì definitivamente accertata – rigettando il suo ricorso avverso la sentenza di condanna a suo carico – la responsabilità di NOME COGNOME, quale mandante dei due omicidi, perchØ a lui facevano capo gli altri gruppi del territorio in cui era stato messo in esecuzione il progetto delittuoso, e cioŁ in particolare quelli di Abbate, Papa e Bidognetti .
I delitti non potevano essere ricondotti al contrapposto clan COGNOME nØ potevano essere stati autonomamente voluti da NOME COGNOME in relazione alle iniziative assunte nella zona di sua competenza dallo Scamperti.
La ricostruzione della sua responsabilità non veniva ritenuta contraddittoria con l’assoluzione del fratello NOME COGNOME perchØ, a differenza di quest’ultimo, egli aveva partecipato alla deliberazione piø specifica e correlata alla materiale esecuzione dei delitti.
1.2.3 La Corte di cassazione aveva invece ritenuto inesistente o comunque assertiva la motivazione su molti punti essenziali della ricostruzione della responsabilità di NOME COGNOME e di NOME COGNOME (ad analoghe conclusioni perveniva per la posizione di NOME COGNOME per il quale comunque l’azione penale Ł divenuta improcedibile per morte dell’imputato).
In particolare con riguardo alla posizione di NOME COGNOME non erano state superate le contraddizioni in cui era incorso NOME COGNOME quando aveva raccontato che sarebbe stato lo stesso NOME ad affrontare NOME COGNOME al momento in cui lo avevano portato da lui, dicendogli che era morto suo zio e che doveva morire anche lui, poi prendendolo alla gola con un laccio od una corda e strangolandolo.
Non era stato spiegato perchØ era stata ritenuta conciliabile l’assoluzione di suo padre NOME COGNOME con la responsabilità del figlio NOME.
Non erano state confrontate le ricostruzioni dell’esecuzione del delitto con i risultati della perizia sui resti del cadavere di NOME COGNOME, ritenuti apoditticamente irrilevanti senza esame punto per punto, specie con riguardo al fatto che il perito non aveva rilevato segni di strangolamento ed
essendo certo solo il colpo di pistola. Era stata ritenuta riscontro dello strangolamento la rigidità del cadavere, peraltro ricavata dal mero esame della documentazione fotografica, della quale pure si dava atto della cattiva qualità.
Poco motivate erano poi le affermazioni sulle caratteristiche del flusso dell’acqua nel tombino nel quale fu gettato il corpo, sull’irrilevanza dell’assenza di fratture dell’osso ioide, che invece dovrebbero conseguire dallo strangolamento, sul fatto che la fuoriuscita della lingua fosse stata provocata dallo strangolamento, sulla valenza di riscontro rivestita dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, che erano state rese dopo la sentenza di primo grado, che coincidevano con quelle precedenti di NOME e che non erano accompagnate da altri elementi di conferma.
1.2.4 Con riguardo alla posizione di NOME COGNOME la Corte di Cassazione riteneva la motivazione in piø punti mancante e illogica e pertanto da annullare con rinvio.
Non erano state valutate nØ confutate le svariate argomentazioni contenute nella memoria depositata dalla difesa nel giudizio di appello, della quale peraltro non si faceva nemmeno menzione.
Inoltre COGNOME era stato ritenuto essere stato il coordinatore dei due omicidi nella fase esecutiva ma non era stato precisato in che modo si sarebbe concretizzata tale attività di coordinamento.
Non era stata specificamente valutata l’eccezione relativa al diverso giudizio di attendibilità formulato sui collaboratori di giustizia diverso da quello contenuto nell’ordinanza del tribunale del riesame che li aveva valutati negativamente e aveva annullato l’ordinanza cautelare; i giudici di appello si erano limitati ad affermare la diversa natura del giudizio cautelare senza spiegare le ragioni del diverso esito della valutazione svolta in dibattimento.
La difesa aveva inoltre evidenziato alcune discrasie nelle dichiarazioni di NOME COGNOME e la motivazione della sentenza non le aveva esaminate, e neppure individuate, pur essendo afferenti a punti rilevanti.
Nella sentenza non erano state nemmeno riportate le spiegazioni che il collaboratore COGNOME avrebbe dato nel corso delle varie udienze in dibattimento e che i giudici di appello avevano ritenuto del tutto soddisfacenti, peraltro richiamando – secondo la formulazione testuale contenuta nella sentenza – “altre risultanze dibattimentali” (pag. 81) che sarebbero state adeguatamente e specificamente illustrate dai giudici di prime cure, ma che non sono state individuate in modo specifico.
La Corte di cassazione rilevava anche la contraddittorietà della sentenza che in piø punti sosteneva che COGNOME non sarebbe stato informato del proposito complessivo che comprendeva anche l’uccisione di NOME COGNOME, mentre in altri si menzionavano, come riferite da COGNOME, varie riunioni nelle quali COGNOME, a nome di COGNOME, avrebbe esposto che i COGNOME si sarebbero dovuti occupare dell’omicidio di NOME.
L’attendibilità del collaboratore NOME COGNOME veniva desunta dal fatto che aveva accusato anche se stesso, ma ciò non poteva ritenersi sufficiente; nØ poteva ritenersi sufficiente per ritenere attendibile il collaboratore COGNOME il fatto che costui non avrebbe avuto interesse a formulare false accuse.
Infine anche per la posizione di Panaro la Corte di cassazione riteneva viziata la motivazione che aveva ritenuto attendibile la versione dei fatti resa da NOME COGNOME.
1.3 Nel disposto giudizio di rinvio, la Corte di Assise di appello di Napoli aveva proceduto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ed erano stati escussi i collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME.
All’esito il giudice del rinvio ha emesso sentenza con la quale ha sostanzialmente confermato la statuizione di responsabilità penale a carico di NOME COGNOME e NOME COGNOME per i fatti a ciascuno rispettivamente ascritti.
Dopo aver individuato rispetto alla precedente decisione annullata i punti della ricostruzione confermati dalla Corte di cassazione (la riconducibilità dei due omicidi al clan dei casalesi, la decisione omicidiaria assunta per grandi linee molto tempo prima ma definitivamente presa nel 1995 a seguito del comportamento arrogante di NOME, lo stretto legame tra i due delitti, la credibilità generale dei fratelli NOME e l’esclusione di elementi significativi di un accordo tra i collaboratori sulle propalazioni da offrire in dibattimento), i giudici del rinvio avevano partitamente esaminato le dichiarazioni rese da ciascun collaboratore a carico di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
1.3.1 Veniva prima esaminata la posizione di NOME COGNOME imputato per entrambi gli omicidi.
Venivano valutate le dichiarazioni di NOME COGNOME che aveva riferito di essere stato convocato da NOME COGNOME e di avere discusso con lui e con COGNOME riguardo alle modalità da seguire per eliminare NOME COGNOME così apprendendo del coinvolgimento di NOME COGNOME e di NOME COGNOME nonchØ poi di essere stato raggiunto il giorno dell’omicidio dopo pranzo da NOME COGNOME che gli aveva detto di avere incontrato NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali a bordo di una moto gli avevano riferito di avere ucciso NOME COGNOME.
Secondo il giudice del rinvio, le accuse a carico di COGNOME non erano state formulate per la prima volta in dibattimento, dopo avere ascoltato le propalazioni di altri collaboratori e il racconto di NOME doveva considerarsi coerente e fermo, privo di contraddizione e di divergenze sostanziali con quello reso dagli altri collaboratori.
Quanto alle dichiarazioni di NOME COGNOME che aveva riferito di avere ascoltato un colloquio di COGNOME con NOME COGNOME presso la sede dell’Albanova Calcio in cui si lamentava dell’inerzia di COGNOME e delineava il progetto del duplice omicidio, il giudice di rinvio le riteneva coerenti e disattendeva le osservazioni difensive che attenevano ad elementi di dettaglio sull’epoca in cui era
stata presa l’iniziativa omicidiaria e sull’epoca in cui era avvenuto questo colloquio, aggiungendo che sotto altro profilo le marginali discrasie erano irrilevanti in assenza di elementi di smentita alle parole che egli aveva udito proferire a Panaro.
Le piø articolate dichiarazioni di NOME COGNOME che ha riferito del ruolo di COGNOME a lui noto anche per le confidenze successivamente ricevute da lui stesso, erano state oggetto di serrata critica nella memoria difensiva, ma la Corte ha esaminato tali argomenti concludendo per la loro infondatezza, alla luce della coerenza interna del narrato e anche di quanto statuito dalla Corte di cassazione, che aveva ritenuta illogica – con riguardo alla posizione di COGNOME – la tesi secondo la quale COGNOME avesse agito per interessi propri.
Sul collaboratore NOME COGNOME che aveva prestato su sua richiesta una moto a Panaro, il quale solo poi gli confidò di averla fatta utilizzare ad altri per uccidere NOME COGNOME il giudice di rinvio apprezzava quali indici di attendibilità il qualificato rapporto tra lui e Panaro, le plausibili spiegazioni da lui fornite in sede di contestazione, la specificità del particolare di dettaglio narrato (il prestito della moto avvenuto senza sapere – se non a cose fatte – quale impiego avrebbe avuto) che rendeva giustificabile il fatto di non aver riferito la notizia, non riguardando delitto in cui era coinvolto e che non poteva essere smentito da altre dichiarazioni.
Quanto alle dichiarazioni di NOME COGNOME che ha riferito di avere appreso da piø fonti del coinvolgimento di COGNOME, il giudice di rinvio ne apprezzava la coerenza, la rispondenza al ruolo svolto dal collaboratore nel gruppo criminale, la compatibilità logica dei particolari riferiti con il ruolo svolto da COGNOME e dai soggetti con cui si rapportava, la convergenza con quanto riferito da NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Venivano poi esaminate le dichiarazioni di NOME COGNOME, cugino di NOME, acquisite nel giudizio di rinvio. Egli ha riferito che per accordo di Papa e COGNOME l’incarico di organizzare i due omicidi (che dovevano essere eseguiti contestualmente) fu dato a NOME COGNOME ma l’autorizzazione gliela conferì NOME COGNOME; venne a conoscenza della decisione e poi delle successive modalità di esecuzione perchØ stava sempre da NOME COGNOME.
Il giudice del rinvio disattendeva le censure difensive sull’attendibilità del collaboratore, argomentando circa l’insussistenza di specifici elementi che potessero avvalorare il mendacio e anche evidenziando l’insussistenza di significative discrasie con il racconto di COGNOME con il quale anzi presentava convergenze.
Quindi valutava congiuntamente tutte le dichiarazioni dei collaboratori che riteneva autonome e convergenti e concludeva ritenendo dimostrata la responsabilità penale di Panaro per i reati contestati.
1.3.2 Con riguardo alla posizione di NOME COGNOME, la sua responsabilità penale veniva ritenuta dimostrata dalle convergenti dichiarazioni accusatorie di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, nonchØ di NOME COGNOME, fratello dell’imputato, sentito a seguito di rinnovazione istruttoria.
NOME COGNOME ha raccontato che, mentre si trovava presso l’impresa di pompe funebri Concordia, nel pomeriggio, lo aveva raggiunto NOME COGNOME che dalla sua auto in tutta fretta gli aveva detto di salire e gli aveva raccontato di aver incontrato NOME COGNOME e NOME COGNOME, che gli avevano detto di avere ucciso NOME COGNOME e che avrebbero dovuto adesso fare sparire il nipote. NOME aveva allora contattato NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e tutti si erano ritrovati in casa sua, dove NOME COGNOME dette incarico a COGNOME di trovare NOME COGNOME e portarlo lì; giunto NOME COGNOME, NOME COGNOME gli disse che doveva morire anche lui come suo zio e gli mise una corda al collo, NOME gli mise la mano sulla bocca e ognuno si adoperò per tenerlo fermo e strangolarlo. Poi il cadavere fu caricato su una Opel Astra station wagon e tutti lo portarono alla masseria di Bifulco, dove, non volendosi affaticare a scavare una buca per occultarlo, lo gettarono in un tombino dopo che COGNOME gli sparò un colpo alla testa.
La stessa dinamica era stata riferita da NOME COGNOME che la aveva appresa da NOME COGNOME.
NOME COGNOME, esponente di spicco del gruppo di Parete, alle dipendenze del clan COGNOME, aveva ricevuto incarico da NOME COGNOME di eseguire l’omicidio di COGNOME, ma fu preceduto dal gruppo COGNOME e apprese delle modalità di esecuzione dei due delitti da NOME COGNOME.
NOME COGNOME ha confermato di avere partecipato alla fase in cui a casa di NOME fu strangolato NOME COGNOME e poi fu occultato il corpo in un tombino.
Il giudice di rinvio aveva respinto la contestazione difensiva riguardo la causa della morte di NOME COGNOME che sarebbe stata provocata non dallo strangolamento ma dal corpo di arma da fuoco; esaminato l’esito dell’accertamento legale disposto in primo grado e della rinnovazione istruttoria sul punto disposta in secondo grado dal precedente giudice di appello, si concludeva che l’unica cosa evidente – in considerazione dello stato di decomposizione del cadavere, rimasto per molti giorni in una vasca di impianto di depurazione delle fognature – era la frantumazione della cassa cranica, attribuibile ad un colpo di arma da fuoco corta, ma che non poteva escludersi che fosse stato sparato dopo la morte della vittima e che la morte della vittima fosse imputabile anche ad altre cause. Lo stato putrefattivo non consentiva di verificare se vi era stata la rottura dell’osso ioide, la cui mancata rilevazione secondo la difesa doveva valere a smentire lo strangolamento.
In ogni caso la morte per strangolamento non presenta necessariamente come elemento rivelatore l’osso ioide e può essere determinata in linea generale senza lasciare tracce.
SicchŁ anche i successivi rilievi del dott. COGNOME che escludevano la frattura dell’osso ioide, non potevano valere a dimostrare il mendacio di NOME.
L’avanzata condizione putrefattiva rendeva anche irrilevanti altre questioni poste dalla difesa,
su circostanze che non avrebbero potuto accertarsi.
Alla luce di questi elementi la Corte di assise di appello di Napoli riteneva di poter superare le carenze motivazionali stigmatizzate dalla Corte di cassazione e quindi di confermare la responsabilità anche di NOME COGNOME
Avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Napoli, emessa a seguito di giudizio di rinvio hanno proposto ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME
2.1 il ricorso di Panaro propone un unico articolato motivo per violazione di legge ex artt. 628 e 627, comma 3, cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, cod. proc. pen., e motivazione apparente e violazione degli artt. 187 e 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. in relazione all’art. 110 e 575 cod. pen.
La sentenza riproporrebbe gli stessi vizi di motivazione della sentenza annullata e ometterebbe di analizzare le censure della difesa in tema di mancata analisi dell’attendibilità dei collaboratori di giustizia e di mancata individuazione degli elementi fattuali che avevano condotto il Tribunale del riesame ad una diversa valutazione sulla loro credibilità.
Era stata omessa l’analisi degli elementi probatori acquisiti a prova contraria ex art. 495, comma 2, cod. proc. pen. e in sede di rinnovazione probatoria ex art. 603, comma 2, cod. proc. pen., cioŁ le dichiarazioni di NOME COGNOME in uno alla sentenza di assoluzione per l’omicidio COGNOME e ancora l’accertamento sugli eventuali periodi di comune detenzione di NOME COGNOME con COGNOME.
Sarebbe rimasta priva di concretizzazione l’attribuzione a COGNOME del ruolo di coordinatore, perchØ manca l’indicazione del contributo da lui prestato alla commissione del delitto. Era stata poi tralasciata l’incidenza sulla ricostruzione dei fatti dell’assoluzione di NOME COGNOME cioŁ di colui che avrebbe dato incarico a COGNOME e a COGNOME di commettere l’omicidio.
Era mancata l’analisi della credibilità soggettiva di NOME COGNOME verifica inevitabile visto che il perito aveva escluso la rottura dell’osso ioide e quindi smentito il racconto dello strangolamento. Era pure mancato l’esame delle censure mosse al narrato di NOME COGNOME.
Era stato immotivatamente affermato che non vi erano divergenze sostanziali delle dichiarazioni di NOME COGNOME con quelle di NOME COGNOME e con quelle di NOME COGNOME nelle quali si indicano riunioni deliberative diverse e diversi concorrenti ed esecutori.
Anche le nuove dichiarazioni di NOME COGNOME non si potevano logicamente conciliare con quelle di NOME, visto che il primo si attribuiva un ruolo nell’esecuzione del delitto che non Ł contemplato per lui nel racconto del secondo.
Illogico era il giudizio di attendibilità di NOME COGNOME, visto che in ordine all’epoca in cui fu assunta l’iniziativa di uccidere NOME COGNOME era stato smentito da NOME e da COGNOME e visto che COGNOME e NOME danno una descrizione non sovrapponibile del colloquio cui entrambi avrebbero partecipato presso la sede dell’Albanova.
Su COGNOME non sono state affrontate le censure motivazionali in ordine alla sua inaffidabilità intrinseca, che erano state invece valutate dal Tribunale del riesame, nØ Ł stato spiegato quali siano i nuovi elementi emersi in dibattimento, idonei a superare il giudizio negativo sulla sua attendibilità cui era giunto il giudice della cautela. Non sono state esaminate le risultanze dei precedenti verbali resi dal collaboratore nel processo per l’omicidio COGNOME, dai quali emergeva che in passato egli aveva escluso la partecipazione di COGNOME agli omicidi degli COGNOME e dell’informativa della Direzione Distrettuale antimafia che dimostravano che COGNOME e COGNOME non si erano potuti piø incontrare in carcere e che quindi egli non avrebbe potuto acquisire da lui le confidenze di cui ha parlato.
Secondo la difesa era stata pretermessa la valutazione della circostanza che Abbate negli interrogatori resi il 15/03/2000 e il 04/03/2002 e nel corso dell’esame e del controesame in dibattimento aveva dichiarato di essere stato lui il mandante dell’omicidio di NOME COGNOME con una causale diversa, e cioŁ perchØ si era reso responsabile della tentata estorsione in danno dell’imprenditore COGNOME (con ciò smentendo la diversa versione del collaboratore COGNOME che collegava il movente all’estorsione di altro imprenditore a nome COGNOME).
COGNOME aveva affermato di non conoscere l’altro collaboratore valorizzato in sentenza, COGNOME, di non avere ricevuto direttive da NOME COGNOME e di non essere a conoscenza di un coordinamento tra i due omicidi di zio e nipote COGNOME.
La difesa contestava, dunque, come illogiche e assertive tutte le affermazioni in cui si escludevano contraddizioni significative tra le dichiarazioni di COGNOME e degli altri collaboratori. Il narrato di COGNOME trova smentita nelle dichiarazioni di NOME COGNOME che non parla mai di COGNOME e riferisce di aver saputo da NOME COGNOME che l’omicidio era stato eseguito da NOME COGNOME, soggetto del cui coinvolgimento parla anche COGNOME aggiungendo anche la partecipazione di NOME COGNOME. Altra smentita al racconto di COGNOME si ricaverebbe dal fatto che, quando egli era detenuto nel carcere di Santa Maria ed avrebbe avuto il monito di non parlare con NOME COGNOME da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (dal 05/09/1992 al 22/04/1993), costoro erano invece detenuti al carcere di Carinola. Inconciliabile poi Ł il suo racconto con quello di NOME COGNOME riguardo all’arrivo in motocicletta di altri esecutori materiali dell’omicidio e anche sulla successiva destinazione della motocicletta utilizzata.
Si lamenta ancora che le valutazioni sulle dichiarazioni di NOME COGNOME sono carenti ed apodittiche e non affrontano le contraddizioni interne al suo narrato già rilevate dal Tribunale del riesame. Elusive risultano poi le motivazioni sul racconto di NOME COGNOME assai sospetto perchØ tardivo e del tutto coincidente con quello dell’omicidio di NOME COGNOME avvenuto nello stesso contesto territoriale.
Per tutte queste carenze motivazionali, sarebbe rimasto inevaso l’obbligo posto dalla sentenza
di annullamento con rinvio di analizzare adeguatamente le fonti probatorie per attribuire a NOME COGNOME uno specifico ruolo nei fatti oggetto dell’imputazione.
2.2 Il difensore di NOME COGNOME propone ricorso affidandolo a due motivi.
2.2.1 Con il primo denuncia violazione degli artt. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., 627, comma 3, 192, commi 3 e 4, e 546 lett. e), cod. proc. pen., ripercorrendo le statuizioni della sentenza di annullamento con rinvio e lamentando che, rispetto ai moniti impartiti dal giudice di legittimità, la Corte di assise di appello di Napoli aveva trascurato l’indagine sulla fonte del racconto di NOME COGNOME aveva utilizzato impropriamente il racconto di NOME COGNOME come parametro di riscontro, avendo costui come fonte lo stesso NOME COGNOME (che poteva essere fonte di NOME e che doveva già essere autonomamente valutato), aveva offerto una replica apodittica all’incongruenza logica evidenziata dalla Corte di cassazione tra l’assoluzione di NOME COGNOME e la condanna del figlio (che legava la non manifesta illogicità della ricostruzione solo all’assoluzione del padre ma al contempo cancellava l’elemento centrale nelle dichiarazioni di NOME COGNOME, cioŁ la concreta deliberazione dell’omicidio da parte di NOME COGNOME).
Inoltre i giudici di merito non avevano affrontato alcuno degli elementi di legittimo sospetto sull’affidabilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME già processato per questo fatto e assolto in via definitiva prima di rendere le sue propalazioni; la motivazione Ł inesistente perchØ basata sul riferimento all’indipendenza e all’autonomia del suo narrato rispetto aquello degli altri collaboratori.
Del tutto carente poi la motivazione sull’accertamento delle cause della morte di NOME COGNOME. I giudici di merito non hanno infatti tenuto conto che l’esito delle perizie non consente di offrire alcun riscontro positivo alla descrizione di NOME COGNOME e quindi non consente di superare le lacune segnalate dai giudici di legittimità.
2.2.2 Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., 577 n. 3 e 4 cod. pen., 627, 597 e 546 lett. e), cod. proc. pen. per l’omessa motivazione sull’invocata esclusione delle aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti e futili.
Tali questioni non potevano considerarsi assorbite dalla sentenza di annullamento con rinvio, in assenza di specifica indicazione della Suprema Corte.
L’assenza di riscontri sul fatto che NOME COGNOME avrebbe organizzato l’omicidio su mandato del padre rende del tutto incerto il suo coinvolgimento precedente al giorno in cui si dette esecuzione al delitto di NOME COGNOME.
In ogni caso il movente non poteva considerarsi abietto o futile in assenza di alcun riferimento nell’imputazione per questo omicidio – a differenza dell’omicidio di NOME COGNOME – alla finalità di affermazione della supremazia criminale.
Il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso depositando memorie scritte e chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi.
Il difensore ha chiesto la trattazione orale.
In sede di discussione orale il Procuratore Generale si Ł riportato alle memorie scritte e il difensore ha insistito nei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
PoichØ viene censurata una sentenza emessa in seguito a giudizio di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione dopo avere rilevato carenze e contraddizioni nella decisione annullata ed entrambi i ricorsi premettono tra le censure la violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., occorre ricordare che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, «nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice che, adeguatamente motivando rispetto ai singoli punti specificati nella sentenza rescindente e con il limite dell’avvenuta formazione progressiva del giudicato in relazione ai diversi capi della decisione, pervenga nuovamente all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sulla base di argomenti differenti da quelli censurati dalla Corte di cassazione, potendo egli non solo procedere all’esame completo del materiale probatorio ma anche compiere eventuali nuovi atti istruttori necessari per la decisione» (Sez. 2, n. 37407 del 06/11/2020, Rv. 280660).
2.1 Quando l’annullamento, come nel caso di specie, Ł stato disposto per vizio di motivazione, «il giudice del rinvio Ł chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza Ł stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla legge consistenti nel non ripetere il percorso logico già censurato, spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova» (Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, Rv. 271345 01); e in ogni caso «non Ł vincolato nØ condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente» (Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Rv. 278629 – 02).
Il giudice di rinvio Ł, infatti, «investito di pieni poteri di cognizione e, salvi i limiti derivanti da un eventuale giudicato interno, può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento e autonomia di giudizio, sicchØ non Ł vincolato all’esame dei soli punti indicati nella sentenza di annullamento, ma può accedere alla piena rivalutazione del compendio probatorio, in esito alla quale Ł legittimato ad addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito» (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285801 – 02); ma «può anche condividerne le conclusioni, pervenendo ad identico epilogo decisorio, purchØ motivi il suo convincimento sulla base di argomenti diversi da quelli ritenuti illogici o carenti in sede di illegittimità» (Sez. 5, n. 41085 del 03/07/2009, Rv. 245389 – 01).
2.2 Orbene la sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi sin qui ricordati, avendo proceduto, anche a seguito di rinnovazione istruttoria, ad una complessiva rivalutazione di tutti gli elementi acquisiti, articolando argomenti nuovi, diversi e soprattutto ulteriori rispetto a quelli che si rinvengono nella motivazione della sentenza annullata, rispetto alla quale non presenta alcuna somiglianza di impostazione metodologica e di apparato argomentativo (val la pena ricordare che, a proposito della sentenza annullata, nella decisione della Corte di cassazione di annullamento con rinvio si annotava che «la motivazione della sentenza, che pure si svolge lungo 120 pagine di scrittura molto fitta, non Ł di facile lettura; gli argomenti relativi ad un singolo punto non sempre sono esposti secondo un ordine logico e si ritrovano sovente affastellati e sparsi in modo disorganico lungo l’intera motivazione; in molti punti la motivazione si risolve in mere asserzione»).
A fronte della ricchezza argomentativa che, a differenza di quella annullata, presenta la motivazione della sentenza impugnata, entrambi i ricorsi formulano una serie di severe censure circa la plausibilità di larga parte di essi e individuano ulteriori carenze motivazionali.
Tuttavia Ł ben noto che «l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si Ł avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione Ł, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piø adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 – 01).
PoichØ «la cognizione della Corte di cassazione Ł funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, nØ condividerne la giustificazione» (Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504 – 01), il giudice di legittimità «deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento: ciò in quanto l’art. 606, comma primo, lett. e) del cod. proc. pen. non consente alla Corte di una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchØ Ł estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali» (Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Rv. 229369 – 01).
SicchŁ dinanzi alla rinnovata valutazione degli elementi di prova da parte del giudice del rinvio la verifica alla quale questa Corte Ł chiamata sulla tessitura argomentativa della decisione emessa a seguito di annullamento per vizio di motivazione deve essere operata mediante confronto tra le censure formulate dai ricorrenti e la nuova sentenza impugnata, mentre le considerazioni cassatorie contenute nella sentenza di annullamento possono essere ancora rilevanti ove venga denunciato che il giudice del rinvio si sia avvalso dei medesimi argomenti già considerati viziati nel precedente giudizio di legittimità per giustificare analoghe statuizioni.
Quando invece il ricorrente lamenti che su un profilo motivazionale ritenuto mancante dai giudici dell’annullamento nemmeno la motivazione della sentenza di rinvio contenga sufficienti ed esaustivi approfondimenti, la doglianza non può essere considerata per ciò solo ammissibile; occorre, infatti, ricordare che, anche in tal caso, vale il principio secondo il quale «in tema di motivazione della sentenza, Ł necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del proprio convincimento, così da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata, essendo irrilevante il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame ove essa sia disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, posto che non Ł necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese, ma Ł sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione, senza lasciare spazio a una valida alternativa» (Sez. 3, n. 3239 del 04/10/2022, dep. 2023, T., Rv. 284061 – 01).
3. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME censura la motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo della violazione di legge, perchØ non avrebbe rispettato gli artt. 628 e 627, comma 3, cod. proc. pen. e l’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e avrebbe riproposto gli stessi vizi motivazionali stigmatizzati dal giudice di legittimità che aveva annullato la precedente sentenza della Corte di Assise di appello di Napoli, riaffermando la responsabilità dell’imputato e dando non corretta applicazione delle norme processuali di cui agli artt. 187 e 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e delle norme sostanziali di cui agli artt. 110 e 575 cod. pen.
3.1 In particolare la difesa di Panaro lamenta che la Corte territoriale non ha analizzato gli elementi acquisiti a prova contraria ai sensi dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen. in sede di rinnovazione probatoria in data 12/01/2024, cioŁ le precedenti dichiarazioni di NOME COGNOME e la sentenza di assoluzione per l’omicidio COGNOME, nonchŁ quelli acquisiti in data 16/02/2024, cioŁ l’accertamento dei periodi di comune detenzione di Panaro con COGNOME in epoca successiva al suo arresto.
Su questa piø specifica denuncia di omessa valutazione della prova occorre osservare che tali elementi erano stati dedotti al fine di mettere in dubbio l’attendibilità del collaboratore di giustizia COGNOME ma che sulle sue dichiarazioni e sulle loro asserite contraddizioni e carenze la motivazione della sentenza impugnata svolge un’ampia disamina valutativa rilevabile sia nell’analisi delle propalazioni rese nel presente giudizio (pagg. 21 e seguenti, dove si esamina anche la memoria difensiva alla quale il ricorso si richiama) sia nel confronto di esse con quelle rese in precedenza
(pagine 32 e seguente) sia ancora nella valutazione dei profili di convergenza con le altre risultanze istruttorie e con tutti i dati che vengono indicati quali riscontri (pagine 57 e seguente). NØ la Corte napoletana ha mancato di evidenziare che già le critiche difensive alla precedente sentenza relative alle dichiarazioni di COGNOME, che aveva parlato solo dell’omicidio di NOME COGNOME, e alla loro asserita inconciliabilità con quelle del collaboratore NOME COGNOME che invece aveva parlato solo dell’omicidio di NOME COGNOME erano state ritenute prive di incidenza sull’assetto ricostruttivo del quadro probatorio da parte della sentenza di annullamento con rinvio della Corte di cassazione (pagina 14).
La mancata esplicita menzione in motivazione di uno o piø ulteriori singoli elementi di prova, che possono essere divenuti recessivi o del tutto irrilevanti rispetto ad altri già adeguatamente esaminati, non può integrare vizio della motivazione, laddove il ricorrente non adduca dati o argomenti dimostrativi dell’essenzialità dei singoli principi di prova asseritamente pretermessi. Tanto piø nel caso di specie, dove si discute di precedenti dichiarazioni dello stesso collaboratore piø volte sottoposto ad esame e controesame, di esiti di altri giudizi e di dati estrinseci e non necessariamente legate ai fatti oggetto delle imputazioni, come i periodi di comune detenzione.
3.2 Infondata Ł la critica secondo la quale la Corte territoriale, nella funzione di giudice del rinvio, sarebbe incorsa nel medesimo errore rilevato dalla Corte di cassazione nella sentenza annullata, laddove evidenziava che non era stata descritta la concreta attività svolta dal Panaro e non era stati indicati elementi idonei a giustificare l’attribuzione a costui del ruolo di coordinatore degli omicidi.
La sentenza impugnata ha proceduto ad un serrato e ampio esame delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che hanno reso dichiarazioni su NOME COGNOME dopo aver correttamente considerato acquisito il dato del movente comune che sosteneva i due delitti commessi in tempi e modalità coordinate, anche alla luce di quanto statuito con la stessa sentenza di annullamento con rinvio, nella parte in cui aveva reso irrevocabili le dichiarazioni di responsabilità penale di NOME COGNOME NOME NOME e di NOME COGNOME e le assoluzioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
In particolare la definitività della sentenza di condanna a carico di NOME COGNOME ha consacrato l’accertamento coperto dal giudicato che i due omicidi furono conseguenza di una decisione unitaria riconducibile al clan dei casalesi, di cui NOME COGNOME era all’epoca il capo, libero di operare sul territorio perchØ in stato di latitanza.
Coperto dal giudicato Ł anche l’accertamento che la decisione di uccidere NOME COGNOME risalisse a molto tempo prima e fosse stata poi attualizzata nell’ambito di un complessivo disegno che non era stato voluto autonomamente da NOME COGNOME come la difesa di COGNOME ha ipotizzato nel corso del giudizio e continua ad ipotizzare.
Per confermare la condanna di NOME COGNOME la Corte di cassazione ha escluso qualsivoglia vizio nella ricostruzione che ha disatteso questo assunto difensivo e ha condivisibilmente sottolineato una circostanza asseverata da tutti gli altri convergenti elementi, propalatori e logici, che non possono essere intaccati dalle trascurabili discrasie delle dichiarazioni di COGNOME, plausibilmente spiegate con la sua prospettiva di conoscenza parziale dei fatti; e cioŁ che per il ruolo ricoperto COGNOME non avrebbe potuto agire senza il consenso di COGNOME e che la contemporaneità degli omicidi dei due congiunti rende del tuto inverosimile l’autonomia delle iniziative delittuose.
3.3 Quanto poi all’assoluzione di NOME COGNOME e di NOME COGNOME va ricordato che la ricostruzione coperta dal giudicato non smentisce il loro coinvolgimento nella preparazione dei delitti, ma considera accertata oltre ogni ragionevole dubbio una loro partecipazione ad una deliberazione omicidiaria risalente e poi non messa in esecuzione per l’insorgere di varie difficoltà; mentre ha ritenuto non immune da vizi logici l’assunto per il quale la mancata prova di una loro specifica manifestazione di adesione alla successiva deliberazione e programmazione, avvenuta quando non vi era prova che fossero stati interpellati, lascia incompleto il quadro probatorio a loro carico per l’ipotesi di concorso morale nei delitti contestati.
SicchØ non ha pregio la doglianza difensiva secondo la quale la sentenza impugnata avrebbe tralasciato il dato dell’assoluzione irrevocabile di NOME COGNOME che sarebbe stato invece colui che aveva dato l’incarico a NOME COGNOME e a NOME COGNOME e che sarebbe stato la fonte di NOME COGNOME.
Nella ricostruzione del giudice del rinvio, immune da vizi argomentativi e basata su convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (a cominciare da quelle di NOME COGNOME, dei dubbi sull’attendibilità del quale la Cassazione aveva già escluso la consistenza logica), l’originario progetto della cui realizzazione si era assunto il compito NOME COGNOME sin dal 1987, era stato lentamente coltivato avvicinando NOME COGNOME; era stato ancora ripreso in conversazioni del clan del 1991 e del 1993; gli era stato poi ricordato da NOME COGNOME per sottolineare come esso non avesse avuto piø corso e per informarlo che aveva fatto in modo di riattualizzarlo rivolgendosi al gruppo Abate-Papa; successivamente l’impegno era stato assunto da NOME COGNOME e NOME COGNOME e loro avevano curato le fasi successive.
PoichØ l’assoluzione di NOME COGNOME non si fonda sulla smentita dei fatti così ricostruiti dal giudice del rinvio e poichØ la sentenza impugnata dà atto che la Corte di cassazione aveva ritenuto NOME COGNOME uno degli originari promotori del progetto poi risultato nella fase piø prossima alla concreta pianificazione e all’esecuzione, l’asserito vizio di motivazione, denunciato dal ricorrente, può dirsi insussistente.
3.4 Smentisce l’assunto difensivo dell’assenza di qualsivoglia analisi della credibilità soggettiva di NOME non solo la decisione che ha disposto il giudizio di rinvio (una delle censure contenute
nei ricorsi, anche in quelli accolti, del tutto disattesa Ł stata proprio quella che lamentava la mancata valutazione dell’attendibilità soggettiva di tale collaboratore), ma anche la decisione impugnata che ampiamente dà conto prima alle pagine 16 e seguenti e poi alle pagine 49 e seguenti delle ragioni di coerenza intrinseca ed estrinseca del suo racconto. Particolarmente approfondita Ł poi la tessitura argomentativa su tutti gli elementi che lo rendono affidabile propalatore di notizie attendibili sulla vicenda, passate in rassegna alle pagine 55 e 56 della sentenza impugnata, dove si ricorda che egli Ł stato indicato anche da altri soggetti come persona coinvolta nei delitti, ma che aveva per primo fornito particolari sino allora rimasti ignoti agli inquirenti e poi confermati dalle indagini successive (la disponibilità di una masseria da parte della famiglia COGNOME, a limitata distanza dalla casa di Diana dove avvenne l’omicidio, l’esistenza di un canalone prossimo a quei luoghi che poteva consentire al cadavere di essere trasportato dalle acque reflue fino alle vasche di depurazione di Villa Literno dove fu ritrovato, i dettagli sulle caratteristiche del pozzetto e del tombino).
A fronte di queste solide motivazioni appaiono recessive le censure riguardo all’asserita svalutazione da parte dei giudici di merito del fatto che NOME COGNOME abbia solo nel corso dell’esame dibattimentale fornito dettagli specifici sul coinvolgimento di Panaro, utilizzando – secondo la difesa – notizie ricavabili dalle propalazioni del Frascogna e di altri collaboratori di giustizia. La Corte ha evidenziato che la prova si forma nel contraddittorio e ne ha esaminato i contenuti, alla luce del serrato controesame nel quale il COGNOME ha dato conto delle successive precisazioni e integrazioni.
Le censure pertanto valicano la soglia che impedisce il sindacato riservato al giudice di legittimità
3.5 Inoltre sulla questione relativa agli esiti della perizia medico legale in ordine alla rottura dell’osso ioide di NOME COGNOME, la Corte ha articolato un’argomentata valutazione delle risultanze tecniche, spiegando che da esse non può trarsi alcuno specifico elemento di smentita alle dichiarazioni di NOME COGNOME
Era difatti emerso che lo stato di decomposizione del cadavere del giovane era talmente avanzato, anche in ragione della sua permanenza per piø giorni in un impianto di depurazione delle fognature, da determinare l’alterazione di tutti i possibili segni di violenza e di non avere acquisito elementi con certezza indicativi della rottura dell’osso ioide; la sentenza impugnata ha tenuto conto del fatto che, secondo il medico legale dott. COGNOME, nonostante i segni del passaggio sicuro di un proiettile e dello scoppio della teca cranica, idonei a determinare la morte, non poteva escludersi che il decesso di NOME COGNOME avesse avuto altre cause, esplicitamente precisando che tra queste non potesse escludersi lo strangolamento e che la morte per soffocamento, impiccagione o strangolamento non presenta necessariamente come elemento rivelatore la rottura dell’osso ioide.
Ha quindi spiegato che per queste ragioni l’affermazione del perito dott. COGNOME che aveva escluso tracce della frattura dell’osso ioideo, non poteva apportare ulteriori elementi decisivi a smentita dell’attendibilità di Diana e della sua ricostruzione circa la dinamica della sequenza criminosa rapimento, strangolamento, successivo colpo di pistola alla testa della vittima dopo lo strangolamento e poi abbandono del cadavere nel canalone. Ciò in quanto ragionevolmente e con un percorso argomentativo insindacabile in sede di legittimità si Ł ritenuto che l’assenza di elementi di conferma circa la frattura dell’osso ioide integrasse prova positiva contrastante con la dinamica dello strangolamento descritto da NOME
Inoltre con analisi ampiamente argomentata delle dichiarazioni di NOME COGNOME altro esecutore dell’omicidio già indicato sin dalle prime dichiarazioni da parte di NOME COGNOME la Corte territoriale ha evidenziato le plurime convergenze delle ricostruzioni dei due coimputati proprio sulle modalità con le quali NOME COGNOME era stato ucciso, in ciò confermando anche il ruolo di COGNOME
3.6 La difesa di COGNOME critica la sentenza impugnata perchØ non avrebbe fornito adeguata risposta alle censure formulate rispetto alla valutazione del narrato di NOME COGNOME le cui dichiarazioni tuttavia non sono specificamente valorizzate dalla sentenza medesima nella ricostruzione degli elementi a carico di tale ricorrente, ma solo per la conferma del complessivo scenario criminale – peraltro già asservato dalla precedente decisione di legittimità – in cui erano maturati i delitti.
La difesa di COGNOME lamenta inoltre che la sentenza impugnata trascura le divergenze tra le dichiarazioni di NOME COGNOME e quelle di NOME COGNOME e di NOME COGNOME ma propone argomenti di merito inerenti a dettagli in ordine a luoghi e tempi dei plurimi e variegati incontri in cui si discusse e si prepararono gli omicidi, riferiti da diversi collaboratori di giustizia, alcuni per averne appreso de relato altri per avere partecipato a qualcuna di esse.
Sul punto la Corte territoriale ha ragionevolmente ritenuto trascurabili le divergenze suddette, applicando il canone secondo il quale «le dichiarazioni accusatorie rese da piø collaboranti possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi» (Sez. 1, n. 17370 del 12/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286327 – 01).
La Corte territoriale ha evidenziato, infatti, la piena convergenza in ordine ai gruppi coinvolti nella pianificazione degli omicidi, al movente di essi e al progressivo accrescimento delle ragioni e degli interessi che hanno sorretto la deliberazione omicidiaria, alle modalità di esecuzione dei due delitti nell’oculatissima cura della loro contestualità per evitare che l’uno avesse il tempo di vendicare l’altro.
3.7 La difesa di COGNOME chiede poi un’inammissibile rivalutazione dell’attendibilità di NOME
COGNOME basata sulla circostanza che egli ha ammesso il coinvolgimento nell’omicidio, approfittando del fatto che era stato assolto in via definitiva per questo fatto e avvalendosi di notizie apprese nel processo a suo carico; per questo non sarebbe dovuto essere ritenuto credibile quando descriveva il suo contributo all’omicidio di NOME COGNOME partecipando al suo strangolamento.
Si tratta di elemento niente affatto decisivo, di cui comunque la Corte mostra di tenere conto, ma che non apprezza come incidente sulla sua credibilità; e d’altronde avrebbe potuto essere al contrario valorizzato in suo favore, visto che oramai egli avrebbe ben potuto fare a meno di confessare la sua condotta e che comunque ai fini della collaborazione con la giustizia ha ammesso altri fatti a suo carico.
E’ invece irrilevante la doglianza che lamenta che non si sarebbe tenuto conto del fatto che riguardo al coinvolgimento di COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME abbiano avuto la stessa fonte, cioŁ NOME COGNOME. In realtà NOME COGNOME riferisce fatti confidatigli da NOME COGNOME e NOME parla di discussioni avute con NOME COGNOME.
3.8 Ampi argomenti di censura, ma non meritevoli di miglior sorte, vengono proposti con riguardo alla parte della motivazione delle dichiarazioni rese dal collaboratore NOME COGNOME anch’egli da considerarsi, secondo la difesa, dichiarante mendace, de relato e fonte propalatoria del tutto in contrasto con NOME COGNOME.
In realtà la difesa ripropone argomenti già utilizzati nelle precedenti fasi del giudizio e in parte condivisi nella prima fase del procedimento dal Tribunale del riesame, ma senza confrontarsi con l’articolata motivazione della sentenza impugnata, che rivalutando ex novo tutti gli elementi, anche nuovi perchØ acquisiti nel giudizio, non può essere piø confrontata con gli argomenti articolati in un risalente provvedimento cautelare.
La Corte territoriale ritiene attendibile il racconto dell’incontro avvenuto nella sede dell’Albanova calcio, squadra di Casal di Principe, con NOME COGNOME, con NOME COGNOME e con NOME COGNOME in cui costui si lamentava del comportamento delle persone messe a disposizione da COGNOME per commettere l’omicidio di NOME COGNOME e veniva rassicurato da COGNOME e COGNOME sul fatto che si sarebbero coordinate e impegnate di piø con lui.
La collocazione temporale dell’incontro dopo la sua scarcerazione del gennaio 1995 (mentre nelle prime dichiarazioni lo aveva collocato in epoca antecedente e comunque nel suo primo interrogatorio non aveva fatto alcun riferimento all’omicidio COGNOME) Ł stato considerato particolare trascurabile a fronte degli altri elementi di conferma e sul punto la difesa si limita a formulare un mero dissenso su tale valutazione.
Quanto agli altri elementi oggetto di critica difensiva, occorre evidenziare che COGNOME Ł fonte diretta rispetto all’episodio dell’incontro e alle affermazioni fatte da COGNOME, rivelatrici di un suo diretto e convinto coinvolgimento nelle operazioni di pianificazione dei due delitti, peraltro con un espressamente rivendicato ed espressamente riconosciuto (dai suoi autorevoli interlocutori del clan) ruolo di coordinatore delle operazioni, così come delineato anche da altre fonti propalatorie.
La sentenza impugnata valorizza questi dati acquisiti in via diretta e non gli altri profili della dinamica esecutiva di cui egli non Ł stato protagonista e le cui imprecisioni non possono assumere alcuna rilevanza.
3.9 Anche con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni di NOME COGNOME le censure del ricorrente COGNOME si risolvono in mere critiche sul merito; esse si appuntano sul modello della moto che il collaboratore dice di aver consegnato al COGNOME, all’epoca dei fatti non ancora sul mercato (particolare ritenuto non decisivo dai giudici di merito), sul fatto che di tale suo contributo all’esecuzione del delitto non era stato riferito da NOME COGNOME che conosceva tutto dell’omicidio (e tuttavia lo stesso ricorrente dà atto che COGNOME dichiarante de relato, mentre le dichiarazioni di COGNOME sono utilizzate solo con riguardo al fatto di sua diretta esperienza) e infine su asserite contraddizioni di sue dichiarazioni su colloqui avuti in carcere che non sono stati valorizzati ai fini della ricostruzione dei fatti nella sentenza impugnata.
La difesa ha insistito in particolare sul fatto che COGNOME aveva riferito di avere prestato a Panaro una motocicletta che lui aveva usato per preparare un altro agguato, citando un episodio avvenuto nel 1995, ma al di là dell’imprecisione su quale fosse il veicolo consegnato all’odierno ricorrente, la Corte territoriale ha evidenziato che non sussiste alcuna specifica ragione che possa giustificare il prospettato proposito del collaboratore di riferire una circostanza falsa e sul punto il ricorrente non deduce alcuna circostanza concreta che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare per giungere ad una conclusione opposta.
Con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni di NOME COGNOME si lamenta che non sono state prese in considerazione le contraddizioni intrinseche e l’incostanza nel descrivere le sue fonti di conoscenza e il ruolo in concreto svolto nei delitti da NOME COGNOME ma la Corte territoriale aveva evidenziato che le sue propalazioni valevano a confermare scenario, movente e coinvolgimento del COGNOME, perchØ egli stesso aveva ammesso di aver avuto informazioni da piø soggetti, in tempi diversi e in maniera non del tutto precisa.
Il suo contributo propalatorio era stato quindi utilizzato come generica conferma estrinseca degli altri piø specifici e dettagliati contributi, espressamente sottolineando la prefetta compatibilità logica di quanto da egli indicato sul ruolo di NOME COGNOME
Infine non vizi di motivazione ma mere considerazioni svalutative deduce il ricorso con riguardo all’analisi svolta dai giudici di merito in ordine alle dichiarazioni di NOME COGNOME, cugino del ricorrente e inserito nello stesso clan, che aveva riferito del ruolo di NOME all’epoca dei fatti e di episodi di diretta esperienza avendo assistito ad incontri tra il cugino, COGNOME, COGNOME e COGNOME aventi ad oggetto le richieste di portare a termine il duplice omicidio in maniera coordinata.
I profili che vengono dedotti in ricorso e che la Corte territoriale non avrebbe preso in esame,
con ciò incorrendo nel vizio di omessa motivazione, sono in realtà del tutto trascurabili; il fatto che egli racconti in maniera sovrapponibile le riunioni per l’omicidio COGNOME e quelle per gli omicidi degli COGNOME Ł dato di mera suggestione, trattandosi di vicende simili e non essendo dedotto quale sarebbe il carattere di genericità del racconto, visto che comunque la Corte territoriale ha ancorato la valutazione di attendibilità alle descrizioni di contesto offerte dal collaboratore.
E d’altro canto contraddittoria diventa la censura nel momento in cui, dopo avere sostenuto che il racconto Ł generico si ritiene di doverne smentire la convergenza con il racconto di NOME COGNOME perchØ questi non ha citato NOME COGNOME tra le persone presenti ai suoi incontri con NOME COGNOME. Con ciò dimenticando che dalla ricostruzione della sentenza sono emersi una serie molto articolata e non facilmente distinguibile di incontri tra gli associati che avevano ad oggetto la lunga elaborazione del piano che avrebbe portato al compimento dei due contestuali omicidi.
3.10 E’ noto l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale «la chiamata in correità o in reità “de relato” può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purchØ siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del “thema probandum”; d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse» (Sez. 1, n. 36065 del 03/05/2024, COGNOME, Rv. 286948 – 01; analogamente Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134 – 01)
Le dichiarazioni di chiamata in reità o in correità a carico di NOME COGNOME sono state formulate da fonti dichiarative delle quali la sentenza impugnata ha compiutamente valutato l’attendibilità intrinseca, evidenziando che si trattava di soggetti tutti provenienti dall’organizzazione criminale con accertata militanza all’epoca dei fatti e con qualificati rapporti con i soggetti dei quali hanno descritto le condotte.
Con argomenti agganciati ad elementi di fatto ed argomentazioni immuni da vizi logici ne Ł stata valutata l’autonomia e il concreto apporto probatorio.
Sul ruolo nell’organizzazione di NOME COGNOME la Corte territoriale ha ampiamente motivato, evidenziando la convergenza delle dichiarazioni di tutti i collaboratori sui suoi compiti di tramite tra gli esponenti delle fazioni alleate.
Il ruolo di coordinamento nella pianificazione delle operazioni delittuose e nella sollecitazione dei soggetti coinvolti ad attivarsi nello svolgimento delle mansioni esecutive loro affidate e nel riferire a lui delle rispettive attività emerge da diversi contributi propalatori, sia di quelli che riferiscono frammenti della lunga fase preparatoria sia di quelli che descrivono la materiale attuazione delle condotte omicidiaria.
Il coerente quadro che risulta dalla ricostruzione contenuta nella motivazione della sentenza impugnata, pertanto, resiste a tutte le contestazioni della difesa.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si affida a censure in parte sovrapponibili a quelle già esaminate e comunque tutte infondate.
4.1 Anche NOME COGNOME sostiene che il giudice del rinvio non si sia attenuto alle direttive impartite dalla sentenza di annullamento, ma le sue censure non intaccano la solidità della motivazione della sentenza impugnata.
Si lamenta che sono state utilizzate a riscontro delle dichiarazioni di NOME COGNOME le dichiarazioni di NOME COGNOME senza valutare l’attendibilità della fonte primaria di quest’ultimo.
Tuttavia la sentenza impugnata (pag. 37) valuta il racconto di NOME COGNOME con riguardo a piø fonti: i suoi familiari dai quali gli arriva la notizia del coinvolgimento del fratello nell’omicidio di NOME COGNOME, senza potervisi sottrarre perchØ se lo avesse avvisato per salvarlo sarebbe stato ucciso anche lui; lo stesso imputato NOME COGNOME che, avendo saputo che egli si era arrabbiato per l’uccisione di NOME COGNOME, gli aveva riferito come si erano svolti i fatti; infine il fratello NOME COGNOME che gli aveva confermato quanto gli aveva riferito NOME COGNOME.
Si tratta di confidenze incastonate nell’ambito di un articolato racconto puntualmente analizzato e apprezzato dalla Corte territoriale e la cui principale fonte rimane lo stesso NOME COGNOME. Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, «le confidenze autoaccusatorie dell’imputato ad un collaboratore di giustizia, che ne abbia successivamente riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria, di talchØ, una volta positivamente vagliata l’attendibilità del collaboratore ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., dispiegano piena efficacia probatoria alla sola condizione che se ne apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da potersene escludere la riconducibilità a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori» (Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, Grande, Rv. 281603 – 02; cfr. anche Sez. 1, n. 9891 del 04/06/2019, dep. 2020, Campana, Rv. 278503 – 01).
E ricordando che «le dichiarazioni “de relato” aventi ad oggetto le confidenze ricevute dall’imputato sono idonee a costituire unico riscontro alla chiamata in reità o correità del medesimo» (Sez. 1, n. 18019 del 11/10/2017, dep. 2018, Calabria, Rv. 273301 – 01) deve osservarsi che correttamente la Corte napoletana ha valutato il contributo propalatorio di NOME COGNOME non solo unitamente alle dichiarazioni accusatorie del fratello NOME ma anche a quelle di NOME COGNOME, fratello di NOME.
Nemmeno fondate sono le doglianze riguardo alle dichiarazioni di NOME COGNOME che non
potrebbero essere considerate utile riscontro perchØ la sua fonte sarebbe stata NOME COGNOME ed invero, come evidenzia la sentenza impugnata alla pagina 38, egli era venuto a conoscenza del progetto omicidiario e del coinvolgimento di NOME COGNOME perchØ costui e altri componenti del suo gruppo gli avevano dato incarico di trovare un’abitazione a Bellona come base logistica per l’omicidio di NOME COGNOME. Si tratta pertanto di contributo propalatorio di fatti di diretta esperienza e nessuna pertinenza riveste la doglianza circa la mancata verifica dell’autonomia genetica tra la sua versione e quella di NOME COGNOME.
Quanto alla denunciata incongruenza logica tra l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME e l’assoluzione di NOME COGNOME valgono le stesse considerazioni svolte per l’assoluzione di NOME COGNOME al superiore par. 3.3, essendo divenuto irrevocabile l’accertamento di una sua partecipazione ad una prima fase preparatoria dei delitti e non essendovi soltanto prova sufficiente del contributo istigatorio al progetto definitivo effettivamente posto in esecuzione.
Gli elementi di sospetto che, secondo il ricorrente, la Corte avrebbe dovuto valutare prima apprezzare come attendibili le dichiarazioni di NOME COGNOME sono gli stessi che sono stati addotti dalla difesa di COGNOME e l’infondatezza delle censure va affermata per le medesime considerazioni già svolte al superiore par. 3.7.
Attinge al merito anche la censura relativa ai vizi di motivazione sull’accertamento delle cause di morte di NOME COGNOME, censura che si sovrappone a quella articolata dal difensore di Panaro e già ampiamente esaminata.
La difesa di NOME COGNOME insiste sul fatto che la Corte in ogni caso la Corte avrebbe dovuto prendere atto che gli accertamenti medico legali non erano di riscontro alle dichiarazioni di NOME COGNOME e in ogni caso le modalità di esecuzione dello strangolamento da costui descritte erano talmente cruente che dovevano far ritenere inverosimile che da esse non fosse derivata la rottura dell’osso ioide.
Tuttavia quella sin qui esposta non appare censura ammissibile.
Seppure si volesse accogliere la prospettazione secondo la quale gli accertamenti medico legali non hanno dato riscontro alle modalità di esecuzione del delitto, descritte da NOME COGNOME allora al piø dovrebbero considerarsi elemento neutro e a fronte dei numerosi altri elementi di riscontro estrinseci, anche individualizzanti a carico di NOME COGNOME non potrebbe valere ad inficiare la ricostruzione contenuta nella sentenza impugnata.
Quanto all’elevata verosimiglianza dell’ipotesi che le modalità descritte da NOME COGNOME comportassero la rottura dell’osso non riscontrata, essa si propone come plausibile valutazione di merito, ma meramente controvalutativa a fronte delle argomentate valutazioni della Corte napoletana che ha tenuto conto del fatto che, a fronte delle condizioni di deterioramento del cadavere della vittima, poteva essere non agevolmente rilevabile con certezza l’assenza di lesioni compatibili con quella violenta modalità di soffocamento.
4.2 Infondata Ł anche la censura in ordine all’omessa motivazione circa l’invocata esclusione delle circostanze aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti e futili. La questione non era stata trattata e non poteva considerarsi preclusa dalla sentenza di annullamento con rinvio.
Sostiene il ricorrente che non vi era prova di un apprezzabile lasso di tempo tra decisione ed esecuzione con riguardo ad NOME COGNOME e che il movente non potesse considerarsi abietto o futile, visto che egli si sarebbe limitato a dare esecuzione ad una volontà espressa dal padre per prevenire vendette, mentre nell’imputazione per l’omicidio di NOME COGNOME contestato al ricorrente non Ł richiamata la finalità di affermare la supremazia criminale sul territorio, a differenza di quanto si rileva nell’imputazione riguardante l’omicidio di NOME COGNOME.
La motivazione della sentenza dà conto degli elementi che attestano lo stretto legame, noto al ricorrente, tra l’omicidio di NOME COGNOME e quello di NOMECOGNOME sicchŁ nessun rilievo assume il fatto che nell’imputazione, a fronte della contestazione delle aggravanti, non sia richiamata la finalità di affermare la supremazia della cosca, perseguita certamente con entrambi i delitti. Finalità di cui lo stesso NOME COGNOME era ben consapevole e condivideva visto che ad NOME COGNOME ebbe a dire che anche se egli avesse manifestato la sua contrarierà all’uccisione di NOME COGNOME, l’omicidio sarebbe stato portato egualmente a termine dalla cosca.
SicchŁ il motivo abietto deve considerarsi sussistente a carico di NOME COGNOME poichŁ «ricorre quando il proposito di vendetta, pur non suscitando negli appartenenti ad un’associazione il senso di ripugnanza e di disprezzo che caratterizza la circostanza, si accompagni alla finalità di affermazione del potere di un sodalizio criminoso e della capacità di sopraffazione dell’agente» (Sez. 1, n. 24950 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284829 – 01).
Dalla ricostruzione contenuta in sentenza emerge altresì che NOME COGNOME partecipò all’omicidio sapendo che era stato oggetto di lunga precedente preparazione e ciò basterebbe a ritenere configurabile a suo carico l’aggravante della premeditazione che «si applica anche al concorrente che non abbia direttamente premeditato il reato nel caso in cui lo stesso abbia acquisito, prima che si sia esaurito il proprio apporto volontario all’evento criminoso, l’effettiva conoscenza della altrui premeditazione» (Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, C., Rv. 285761 – 02).
5. I ricorsi devono essere, pertanto, rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME