Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12696 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12696 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Cutro il DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Sersale il DATA_NASCITA
NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/01/2023 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi; uditi l’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO, difensori del COGNOME; l’AVV_NOTAIO, anche in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, difensori del COGNOME; nonché lo stesso AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO, difensori del RAGIONE_SOCIALE, che hanno concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza del 16 novembre 2020 la Corte di appello di Catanzaro riformava parzialmente la pronuncia di primo grado – assolvendo NOME COGNOME da alcuni reati, derubricando altri delitti e unificandoli con ulteriori illeciti; assolvendo NOME COGNOME da un reato e rideterminando la pena inflitta – e confermava nel resto la medesima pronuncia del 18 dicembre 2019 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato i tre odierni ricorrenti in relazione ai reati sotto indicati.
In base a tale decisione della Corte territoriale, risultava affermata la penale responsabilità di:
NOME COGNOME in relazione ai reati di cui all’art. 416-bis, commi dal primo al sesto e comma ottavo, cod. pen. (capo 1); di cui agli artt. 81 e 110 cod. pen., 12-quinquies decreto-legge n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992, 7 legge n. 203 del 1991 (capi 4-bis, 4-ter, 4-quater, 5, 7 e 7-bis); di cui agli artt. 81, 110, 513-bis e 416-bis.1 cod. pen. (capo 8-bis, ad esso unificato il fatto del capo 8 come riqualificato; capo 26-bis, ad esso unificato il fatto del capo 26 come riqualificato; e capo 29-bis, ad esso unificato il fatto del capo 29 come riqualificato); di cui agli artt. 81 e 110 cod. pen., 23, commi 1 e 3, legge n. 110 del 1975, 7 legge n. 203 del 1991; 81, 110 e 648 cod. pen., 7 legge n. 203 del 1991; 81 e 110 cod. pen., 1, 2 e 7 legge n. 895 del 1967, 7 legge n. 203 del 1991; 81 e 110 cod. pen., 10 e 14 legge n. 497 del 1974, 7 legge n. 203 del 1991; 81, 110 e 607 cod. pen. (capi 15-bis, 15-ter, 15-quater, 15-quinquies, 16, 16-bis, 16-ter, 16-quater e 16-quinquies); di cui agli artt. 629, comma secondo, cod. pen., 7 legge n. 203 del 1991; 81 e 110 cod. pen., 140 e 134 TULPS (capi 17 e 17-bis); di cui agli artt. 629, commi primo e secondo, cod. pen., 7 legge n. 203 del 1991 (capi 22 e 33-bis);
NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 416-bis, commi dal primo al sesto e comma ottavo, cod. pen. (capo 1);
NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 416-bis, comma primo, commi dal terzo al sesto e comma ottavo, cod. pen. (capo 1).
Rilevava la Corte di appello come dovesse ritenersi dimostrata – sulla base dei contributi conoscitivi offerti da numerosi collaboratori di giustizia e dei risulta delle attività di indagine, sostanziatesi soprattutto nell’effettuazione di intercettazioni di comunicazioni telefoniche e in ambientale – l’esistenza di una associazione per delinquere di stampo ‘ndranghetistico operante in una serie di comuni della provincia di Crotone, guidata da NOME COGNOME, che aveva
avuto il suo epicentro di attività nel comune di San Leonardo di Cutro, ma che in seguito aveva assunto una posizione di egemonia estendendo il suo controllo delle attività criminali anche in altre zone, raggiungendo alleanze con altre cosche ‘ndranghetistiche tra cui quella diretta da NOME COGNOME e NOME COGNOME, attiva nel territorio di Cropani Marina.
Tale pronuncia del 16 novembre 2020 veniva annullata con rinvio da questa Corte di cassazione con sentenza emessa il 9 marzo 2022, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, nonché nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alle aggravanti di cui all’art. 416-bis, commi quarto e sesto, cod. pen., e al trattamento sanzionatorio, con rigetto nel resto dei ricorsi presentati dai tre prevenuti.
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catanzaro, decidendo in sede di rinvio dall’annullamento della Cassazione, riformava parzialmente la pronuncia di primo grado, escludendo per il NOME le due innanzi indicate circostanze aggravanti e rideterminando la pena nei riguardi dei tre imputati, e confermava nel resto quella medesima pronuncia.
Contro tale ultima sentenza ha presentato ricorso NOME COGNOMECOGNOME con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale ha dedotto il vizio di motivazione, pe avere la Corte distrettuale rideterminato, in sede di giudizio di rinvio, i trattamento sanzionatorio per il prevenuto senza effettuare una adeguata valutazione del disvalore dei reati per i quali era stata affermata la responsabilità penale rispetto a quello “proporzionale” dei quattro reati (di cui ai capi 28, 30, 31 e 32) dai quali il COGNOME era stato mandato assolto ovvero rispetto al reato del capo 26)per il quale vi era stata una riqualificazione giuridica dei fatti: motivazione che, così, non aveva rappresentato le modalità con cui era stata fatta concreta applicazione del principio dettato dall’art. 597, comma 4, cod. proc. pen.
Avverso la stessa sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale ha dedotto la violazione di legge e il vizi di motivazione, per mancanza, illogicità, contraddittorietà e apoditticità, per avere la Corte di merito negato all’imputato il riconoscimento delle attenuanti generiche travisando le prove acquisite, risultate idonee a smentire l’asserito “asservimento” della azienda del RAGIONE_SOCIALE agli interessi della RAGIONE_SOCIALE e la disponibilità da parte del ricorrente di parte delle armi del gruppo mafioso;
omettendo di considerare che il prevenuto è stato mandato assolto dal reato del capo d’imputazione 28; era titolare di ben tre licenze di porto d’armi rilasciategli sulla base di istruttorie degli organi di polizia che avevano escluso un pregresso coinvolgimento del predetto in alcuna vicenda criminale; era portatore di un unico risalente precedente penale per il quale aveva ottenuto la riabilitazione; aveva tenuto un buon comportamento durante il processo e post factum; ha ottime condizioni di vita individuali, familiari e sociali.
Contro la sentenza ha, altresì, presentato ricorso NOME COGNOME, con atto sottoscritto dai suoi difensori, il quale, con un unico punto, ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 133, 62-bis e 99 cod. pen., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di primo grado in ordine alla sussistenza della contestata recidiva specifica reiterata, benché il precedente penale per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. riguardasse una condotta partecipativa fermatasi al 2003 e per gli altri precedenti non era stato menzionato il periodo di commissione dei reati, né l’epoca della irrevocabilità delle relative sentenze di condanna; per avere errato nel calcolo della pena, indicata nel suo risultato finale in maniera difforme nella parte motiva rispetto al dispositivo; ed ancora, per avere ingiustificatamente negato all’imputato il riconoscimento delle attenuanti generiche, in ragione della intervenuta interruzione di ogni legame associativo nel 2014.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME vada accolto.
Il ricorrente, pur formulando la doglianza in termini di vizio di motivazione per apparenza, si è in sostanza doluto del mancato rispetto da parte della Corte di appello di Catanzaro della disposizione dettata dall’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., la quale stabilisce che «Il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa».
Nel caso di specie era accaduto che, con la sentenza rescindente del 9 marzo 2022, la Cassazione avesse censurato la motivazione della precedente pronuncia della Corte di appello di Catanzaro, osservando che «a fronte dell’ampia rivisitazione del compendio probatorio acquisito nei confronti dell’imputato NOME COGNOME, attestata dalla riqualificazione del reato di cui al capo 26)che veniva unificato al reato di cui al capo 26-b9 ex art. 513-bis cod. pen. – e
dell’assoluzione dai reati di cui ai capi 28) 30) 31)e 34 , la scarna motivazione dedicata al trattamento sanzionatorio irrogato a NOME COGNOME, esposta a pagina 569 della sentenza impugnata, appare inadeguata alla complessità del giudizio dosimetrico formulato nei suoi confronti». Il risultato finale – aveva evidenziato la Cassazione – era stato quello per cui «all’imputato NOME COGNOME era stata irrogata la stessa pena applicatagli dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, all’esito del giudizio di primo grado, quantificata in venti anni di reclusione, in violazione dell’art. 597, comma 4, cod. proc. pen.» (v. pagg. 94-95 sent. Cassazione).
Ciò premesso, va detto che la questione posta con il ricorso oggi in esame è fondata, in quanto nel giudizio rescissorio la Corte di appello di Catanzaro, pur determinando una pena finale inferiore di un anno a quella che era stata irrogata dal giudice di primo grado, si è limitata a giustificare le sue scelte fissando in un mese di reclusione l’aumento, rispetto alla pena base del reato più grave, per ciascuno dei ventidue reati satellite posti in continuazione (v. pagg. 9-10 sant. impugn.): omettendo, però, di effettuare quella valutazione comparativa – che era stata espressamente richiesta dalla Cassazione – tra il «disvalore delle condotte illecite per le quali veniva formulato un giudizio di responsabilità (…) e di quelle per le quali l’imputato era stato assolto», valutazioni i cui esit avrebbero potuto giustificare le scelte in ordine alla determinazione della misura della necessaria “corrispondente diminuzione della pena complessiva”, richiesta in applicazione del citato art. 597 del codice di rito.
La sentenza impugnata va, dunque, annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro che, nel nuovo giudizio, si dovrà uniformare alle indicazioni dettate nella prima sentenza rescindente, la cui valenza è in questa sede ribadita.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME non supera il vaglio preliminare di ammissibilità, essendo il motivo dedotto manifestamente infondato.
Il ricorrente ha preteso che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito aveva esercitato il potere discrezionale concesso dall’ordinamento ai fini dell’eventuale riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero de giudice in ordine all’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.
Nella specie, legittimamente la Corte di merito – dando atto di aver valutato tutti gli elementi fattuali segnalati dalla difesa, compreso quello dell’assoluzione dell’imputato dal reato del capo 29 e la esclusione della contestata recidiva – ha ritenuto ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche la posizione di rilevo assunta dal COGNOME nella associazione mafiosa diretta dal COGNOME; la significativa gravità delle condotte accertate a suo carico, tenuto conto anche della conferma della sussistenza delle aggravanti della partecipazione ad un sodalizio criminale armato e dedito al controllo di attività economiche finanziate anche in parte con i proventi di delitti: trattandosi di parametri considerati dall’art. 133 cod. pen., applicabile anche ai fini della operatività dell’art. 62 -bis cod. pen. (
Generiche sono le doglianze difensive formulate in termini di travisamento della prova, in quanto il ricorrente ha omesso di confrontarsi con quei passaggi del percorso argomentativo seguito dalla Corte distrettuale nei quali è stato valorizzato il contenuto delle precise dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia e il tenore delle conversazioni intercettate dagli inquirenti (v. pagg. 13-14 sent. impugn.), di cui significativamente non vi è alcun riferimento nell’atto di impugnazione.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
3.1. Manifestamente infondate sono le censure formulate dalla difesa con riferimento al riconoscimento a carico del prevenuto della contestata recidiva reiterata e specifica.
La motivazione offerta sul punto dalla Corte di appello di Catanzaro è congrua e resta esente da qualsivoglia censura di illegittimità, essendo stati indicati i numerosi precedenti penali, anche specifici, per i quali il COGNOME era stato condannato con sentenze divenute irrevocabili – come si evince dal certificato del casellario giudiziale in atti – in epoca precedente alla data di commissione del reato associativo oggetto del presente processo.
3.2. Del tutto priva di pregio è la doglianza in ordine all’errore di calcolo della pena inflitta al ricorrente, essendo corretto il computo eseguito dai giudici di merito (pena base anni sette di reclusione, aumentata di due terzi per la recidiva qualificata, fino ad anni undici mesi otto di reclusione; ridotta di un terzo per il rito speciale, ad anni sette, mesi nove e giorni dieci di reclusione, così come indicata anche nel dispositivo – v. pagg. 17-18 sent. impugn.).
3.3. Generico è il motivo con riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti di cui all’art. 62 -bis cod. pen., avendo il ricorrente contestato in forma indeterminata le scelte valutative compiute dai giudici di merito, senza in alcun
modo dialogare con gli articolati passaggi della motivazione posti a fondamento di quella decisione (v. pagg. 16-17 sent. impugn.).
Segue la condanna dei due ricorrenti il cui ricorso è stato dichiarato inammissibile al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, Così deciso il 07/03/2024