Giudizio di Equivalenza: Quando il Giudice d’Appello Può Confermare la Pena
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale del diritto penale: il giudizio di equivalenza tra circostanze attenuanti e aggravanti nel processo d’appello. La decisione chiarisce i poteri del giudice di secondo grado quando, pur escludendo un’aggravante, decide di non ridurre la pena, sollevando questioni sul divieto di reformatio in peius.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine dalla condanna di un imputato per vari delitti di furto. In primo grado, l’imputato era stato condannato con il riconoscimento di diverse circostanze aggravanti, tra cui la recidiva.
L’imputato ha proposto appello e la Corte territoriale ha parzialmente accolto le sue richieste: ha escluso l’aggravante della recidiva ma, operando un nuovo bilanciamento tra le circostanze residue, ha confermato il giudizio di equivalenza già espresso in primo grado. L’effetto è stato una riduzione della pena, ma non nella misura sperata dall’imputato, che ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione.
Il ricorrente sosteneva che, una volta eliminata un’aggravante così significativa come la recidiva, le circostanze attenuanti generiche avrebbero dovuto prevalere su quelle aggravanti rimaste, portando a una diminuzione più consistente della sanzione.
Il Giudizio di Equivalenza e il Divieto di Reformatio in Peius
Il nodo centrale della questione legale riguarda l’applicazione dell’articolo 69 del codice penale e il rispetto del divieto di reformatio in peius. Questo principio fondamentale stabilisce che, se a impugnare la sentenza è solo l’imputato, il giudice dell’appello non può peggiorare la sua posizione.
L’imputato, nel suo ricorso, ha implicitamente sostenuto che la conferma del giudizio di equivalenza, nonostante la rimozione di un’aggravante, costituisse una forma mascherata di peggioramento della sua posizione. A suo avviso, la logica avrebbe imposto un giudizio di prevalenza delle attenuanti.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. I giudici hanno richiamato un principio consolidato, definito ius receptum, supportato da una precedente sentenza delle Sezioni Unite (la nota sentenza “Papola” del 2013).
Secondo questo orientamento, il giudice di appello che esclude un’aggravante o riconosce un’ulteriore attenuante non è obbligato a ridurre la pena. Può, infatti, confermare la pena applicata in primo grado, a condizione di rinnovare e motivare adeguatamente il giudizio di equivalenza tra le circostanze residue. L’importante è che la pena finale non sia più grave di quella decisa in primo grado. In questo caso, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione adeguata per la sua decisione, rendendo la scelta legittima e non in violazione del divieto di reformatio in peius.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un punto fermo della giurisprudenza: l’esclusione di un’aggravante in appello non comporta un automatico diritto alla prevalenza delle attenuanti e a una conseguente riduzione della pena. Il giudice di appello mantiene un potere discrezionale nel ribilanciare tutte le circostanze del caso, potendo legittimamente confermare il giudizio di equivalenza. La condizione essenziale è che questa scelta sia supportata da una motivazione logica e congrua, come avvenuto nel caso di specie. La decisione, quindi, consolida la discrezionalità del giudice nel delicato compito di commisurazione della pena nel rispetto dei principi fondamentali del processo penale.
Se in appello viene esclusa un’aggravante, la pena deve essere sempre diminuita?
No. Secondo la Corte, il giudice d’appello può, senza violare il divieto di “reformatio in peius”, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, a patto che questa decisione sia accompagnata da un’adeguata motivazione.
Cosa si intende per divieto di “reformatio in peius”?
È il principio secondo cui il giudice dell’impugnazione non può emettere una decisione più sfavorevole per l’imputato se è stato solo quest’ultimo a impugnare la sentenza. Nel caso specifico, confermare la pena (già ridotta in appello per altri motivi) non è considerato un peggioramento.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché il motivo presentato era manifestamente infondato. La decisione della Corte d’Appello di confermare il giudizio di equivalenza, pur dopo aver escluso la recidiva, è conforme a un principio giuridico consolidato (ius receptum) e non viola alcuna norma di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7956 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7956 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESAGNE il 18/05/1979
avverso la sentenza del 18/06/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputato NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, ha confermato la condanna per vari delitti di furto e di cui all’art. 493 ter cod. pen., ma ha escluso la recidiva e, confermando il giudizio di equivalenza tra opposte circostanze, ha ridotto l’entità della pena della pena inflitta;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che invoca un giudizio di prevalenza ex art. 69 cod. pen. delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti facendo leva sulla esclusione della aggravante della recidiva e sui caratteri della condotta, è manifestamente infondato, poiché, secondo ius receptum, il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto di “reformatio in peius”, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purché, come nella specie (cfr. pag. 2), questo sia accompagnato da adeguata motivazione (Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola, Rv. 255660 – 01);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/01/2025