Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5951 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5951 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MAGIONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/11/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette:
– la requisitoria scritta presentata – ex art. 23, comma 8, decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modif. dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 – dal Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
le conclusioni rassegnate, ai sensi della stessa norma, dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME che, nell’interesse dell’imputato, ha confutato quanto esposto dal Procuratore generale e ha insistito nell’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 novembre 2022 la Corte di appello di Perugia, all’esito del gravame interposto da NOME COGNOME, ha confermato la pronuncia in data 3 febbraio 2021 con la quale il G.u.p. del Tribunale di Perugia, all’esito di giudizio abbreviato, (per quel che qui rileva) a affermato la responsabilità dell’imputato per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazi e preferenziale e, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta, lo aveva condanNOME alle pene ritenute di giustizia
Avverso la sentenza di secondo grado è stato proposto ricorso per cassazione dal difensore dell’imputato, che ha articolato due motivi (di seguito esposti, nei limiti di cui a 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo sono stati denunciati la violazione della legge penale (indicat negli artt. 415-bis e 192 cod. proc. pen.), la violazione di norme processuali poste a pena d inutilizzabilità e il vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta utilizzabilità (l’interrogatorio del coimputato NOME COGNOME, le sommarie informazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME) compiuti dal Pubblico ministero dopo la notifica al COGNOME dell’avviso conclusione delle indagini, che avrebbero avuto un’incidenza decisiva sulla decisione, cui non ha fatto seguito né la notifica di un nuovo avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. né l’avviso di deposito di essi (conformemente a quanto, invece, chiarito dalla giurisprudenza, secondo cui pure in tali ipotesi potrebbe configurarsi una nullità assoluta per violazione del diritto di dif La Corte territoriale avrebbe reso al riguardo una motivazione viziata, nell’erroneo presupposto che nella specie sia stato disposto il giudizio immediato e, dunque, chiesto il giudizio abbreviat iter smentito dagli atti processuali. Inoltre, la difesa avrebbe avuto cognizione di tali atti dopo la sentenza di primo grado (poiché quando ha verificato il contenuto del fascicolo T.I.A.P. essi non erano presenti né annotati); e l’inutilizzabilità in parola sarebbe patologica.
2.2. Con il secondo motivo sono stati prospettati la violazione della legge penale (richiamando sia gli artt. 216, 219 e 223 legge fall. sia gli artt. 192, comma 2, e 530, comm 22, cod. proc. pen.) e il vizio di motivazione in relazione all’attribuzione all’imputato qualifica di amministratore di fatto della fallita RAGIONE_SOCIALE, di cui difetterebbero nella indici sintomatici: tale qualifica sarebbe stata ritenuta sulla scorta di un erroneo apprezzament delle dichiarazioni in atti, inidonee a tal fine (segnatamente quelle di COGNOME, COGNOME e coimputato NOME COGNOME, quantunque si imponesse un più attento vaglio della sua credibilità), violando le norme in tema di onere della prova e nonostante i negozi intercorsi t RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avessero valenza neutra (rispetto ai fatti di cui ai capi d ed h) e non vi fosse l prova che la seconda società fosse amministrata di fatto dal ricorrente; ancora, sarebbero state ritenute erroneamente generiche le allegazioni contenute nell’atto di appello (quanto ai capi e ed i), disattendo il gravame (che aveva evidenziato l’errore logico in cui era incorso il pr Giudice, il quale – pur avendo escluso la responsabilità del ricorrente per fatti relativi al per
in cui erano amministratori di COGNOME e COGNOME NOME COGNOME ha condanNOME per altri fatti relativi allo st periodo)
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e deve essere rigettato.
1. Il primo motivo è infondato.
Anzitutto, in relazione alla censura dedotta non può rilevare il vizio di motivazione (cf Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 05: «in tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata da giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge»).
Inoltre, si premette che, ad avviso del Collegio, deve essere ribadito l’orientamento ampiamente maggioritario espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’omesso deposito di atti delle indagini preliminari può venire in rilievo sub specie dell’inutilizzabilità di essi e non anche della nullità (cfr. Sez. 2, n. 5408 del 20/10/2020 – dep. 2021, COGNOME, Rv. 280646 – 01; Sez. 4, n. 7597 del 08/11/2013 – dep. 2014, COGNOME, Rv. 259121 – 01), atteso che la legge processuale non prevede tale ultimo vizio (cfr. art. 416, comma 1, cod. proc. pen., a mente del quale «la richiesta di rinvio a giudizio è nulla se non è preceduta dall’avviso previs dall’articolo 415 bis, nonché dall’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai s dell’articolo 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini abbia chiesto di essere sottoposta ad interrogatorio entro il termine di cui all’articolo 415 bis, comma 3») ed anz contempla espressamente la facoltà delle parti di trasmettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art. 419, comma 3, cod. proc. pen.); non è, invece, condivisibile al riguardo il richiamo alla violazione del dirit difesa, fondato sul generale disposto dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., compiuto da questa Corte allorché ha ravvisato nell’ipotesi in discorso una nullità di ordine generale regime intermedio (non assoluta, come assunto dalla difesa) e non una inutilizzabilità (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 20125 del 10/04/2018, Apice, Rv. 272901 – 01): tale ultima prospettiva, infatti, non si concilia con il complessivo ordito codicistico appena richiamato né con la centra considerazione che l’interessato può interloquire sugli elementi de quibus (sotto il profilo della ritualità, e in particolare della loro utilizzabilità, prima ancora che sul contenuto; cfr. Sez. 24979 del 22/12/2017 – dep. 2018, F., Rv. 273527 – 01), per quel che qui rileva, in udienza preliminare (quando ancora le scelte processuali dell’imputato possono ben essere compiute). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ciò posto, è dirimente considerare che – contrariamente a quanto asserito dalla difesa, senza per vero argomentare sul punto – la denunciata inutilizzabilità non può dirsi patologica, tale essendo quella «inerente agli atti probatori assunti contra legem, il cui impiego è vietato in modo assoluto non solo nel dibattimento ma in qualsiasi altra fase del procedimento, ivi comprese le indagini preliminari, l’udienza preliminare, le procedure incidentali cautelari
quelle negoziali di merito», categoria nella quale «rientrano tanto le prove oggettivamente vietate quanto le prove comunque formate o acquisite in violazione – o con modalità lesive dei diritti fondamentali della persona tutelati dalla Costituzione e, perciò, assolu irrinunciabili, a prescindere dall’esistenza di un espresso o tacito divieto al loro impiego procedimento contenuto nella legge processuale» (così Sez. U, n. 16 del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246 – 01, cui si sono uniformate le successive pronunce di legittimità; cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 42917 del 27/06/2019, Bitonti, Rv. 277891 – 01); ragion per cui – come già chiarito dalla giurisprudenza e come oggi previsto dall’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen. – «la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la saNOMEria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabil salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio»; con la conseguenza che la prospettazione difensiva non merita accoglimento.
Non occorre, infine, dilungarsi per osservare:
che la difesa ha solo asserito di aver avuto contezza degli atti cui inerisce la censur dopo la deliberazione della sentenza di primo grado, facendo riferimento del tutto generico alla mancata inclusione di essi nel fascicolo quando lo ha consultato (non indicando neppure l’epoca della consultazione);
e che anche la nullità a regime intermedio sarebbe sanata in forza dell’art. 438, comma 6-bis, cit.
Il secondo motivo è inammissibile.
Esso:
non si è confrontato compiutamente con la motivazione del provvedimento impugNOME (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, NOME, Rv. 254584 – 01), che ha attribuito al COGNOME il ruolo di effettivo amministratore della società fallita, anche quando egli non rivestiva più una formal carica gestoria, sulla scorta della convergenza delle dichiarazioni dei dipendenti della società fallita (RAGIONE_SOCIALE e COGNOME) trovando in esse il riscontro del narrato dello stesso coimputato COGNOME COGNOMEevidenziando, altresì, il difetto in capo a lui delle competenze per gestire l’ente); e rimarcan come l’ultimo (in ordine di tempo) formale amministratore dell’impresa (NOME COGNOME) sia risultato il cameriere di una pizzeria, la cui nomina è stata appresa dai dipendenti solo i occasione della procedura di licenziamento;
ha inteso denunciare il travisamento della prova senza la necessaria specificità (al più offrendo un compendio delle dichiarazioni de quibus); ha prospettato irritualmente, peraltro con assedi generici, il difetto della prova, il che non è consentito in questa sede di legitti Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 – 01).
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condanNOME al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/11/2023.