Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24422 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24422 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
Oggi,
– GLYPH 1116. 2025
Sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a Palermo il 08/07/1969
NOME
avverso la sentenza emessa 26/06/2024 dalla Corte d’Appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME a; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26/06/2024, la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa con rito abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di Palermo, in data 18/10/2022, nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME a lui ascritto in relazione al reato continuato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, nella qualità di titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla inutilizzabilità degli atti di indagine effettuati dopo la scadenza del termine
massimo delle indagini preliminari. Si lamenta il difetto di motivazione sul punto, nonostante la stessa Corte territoriale avesse fatto riferimento alla iscrizione del 06/08/2018.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alle informative in data 18/06/2021 e 17/08/2021. Si censura il travisamento in cui la Corte d’Appello era incorsa, dal momento che il P.M. non poteva iscrivere una nuova notizia di reato nel procedimento in cui il termine per le indagini (nel cui ambito erano state rilasciate le deleghe) era scaduto da tempo.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita una declaratoria di inammissibilità del ricorso, per la manifesta infondatezza delle censure prospettate.
Con motivi nuovi ritualmente depositati, la difesa del COGNOME lamenta – con ampi richiami alla giurisprudenza anche sovranazionale – la violazione del principio del ne bis in idem.
Con memoria tempestivamente trasmessa, il difensore replica alle argomentazioni del P.G., evidenziando che la illegittimità della nuova iscrizione, denunciata dalla difesa, derivava dalla identità del fatto investigato, in relazione al quale vi era stato un mero mutamento di qualificazione giuridica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Prescindendo dal fatto che la Corte territoriale ha disatteso le censure difensive con motivazione non adeguatamente confutata con i motivi principali (alle pagg. 8 segg. della sentenza impugnata, si chiarisce che l’iscrizione del settembre 2021 era relativa ad un fatto nuovo, ed aveva fatto seguito all’archiviazione per il reato di truffa alla luce dell’informativa del precedente mese di agosto, dalla quale era appunto emersa la configurabilità del reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000), assume rilievo assorbente il fatto che il COGNOME è stato condannato all’esito del giudizio abbreviato da lui richiesto.
Deve invero trovare applicazione il principio, del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui «la scelta del giudizio abbreviato preclude all’imputato la possibilità di eccepire l’inutilizzabilità degli at d’indagine compiuti fuori dai termini ordinari di inizio e fine delle indagin preliminari in quanto, non essendo equiparabile alla inutilizzabilità delle prove vietate dalla legge (all’art. 191 cod. proc. pen.), la stessa non è rilevabile d’uffici ma solo su eccezione di parte, sicché essa non opera nel giudizio abbreviato» (Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272196 – 01). Tale indirizzo interpretativo è stato ribadito, da ultimo, da Sez. 4, n. 30812 del 28/05/2024, Marzolari, la quale ha tra l’altro affermato che «secondo un consolidato
orientamento di legittimità, con cui il ricorrente non si confronta, il compimento di atti di indagine in violazione della disciplina sui termini non è equiparabile alla
inutilizzabilità delle “prove vietate” di cui all’art. 191 cod. proc. pen., e quindi n rilevabile di ufficio, ma solo su istanza di parte (Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017,
dep. 2018, COGNOME, Rv. 272196), e questo immediatamente dopo il compimento dell’atto o nella prima occasione utile (Sez. 1, n. 36671 del 14/06/2013, COGNOME
Rv. 272196; cfr., nel senso della rilevabilità solo su eccezione di parte, anche Sez.
2, n. 12423 del 23/01/2020, P., Rv. 279337 – 02; Sez. 5, n. 40500 del
24/09/2019, Barletta, Rv. 277345 – 01). Di certo non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità (Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, COGNOME
Rv. 274996 – 03). Inoltre, poiché l’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen., prevede la rilevabilità nel rito abbreviato delle sole inutilizzabilità “derivanti dalla violaz
di un divieto probatorio”, deve ritenersi che il tipo di inutilízzabilità dedotta non rilevabile una volta ammesso il rito (in tal senso, anche Sez. 6, n. 21265 del
15/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252853-10; conf. Sez. 6, n. 14146 del
7/02/2019, COGNOME, non mass.)».
È invero evidente che le censure dedotte con i motivi di ricorso presentano il tratto comune della prospettata inutilizzabilità degli atti di indagine, per ragion che peraltro non sono deducibili nell’ambito del giudizio abbreviato, come chiarito dai precedenti giurisprudenziali qui appena richiamati.
Quanto fin qui esposto, oltre ad evidenziare la manifesta infondatezza dei motivi principali, preclude la possibilità di valutare le censure dedotte con i motivi nuovi, dovendo trovare applicazione il disposto dell’art. 585, comma 4 ultima parte, cod. proc. pen. (sul punto, cfr. ad es. Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277850 – 01, secondo la quale «l’inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i moti originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione»).
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 2§. aprile 2025