Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47678 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47678 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
GLYPH omissis
NOME l, nato al avverso la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Taranto del 18.1.2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 18.1.2024, la Corte d’Assise d’Appello di Taranto ha confermato la sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Taranto in data 17.3.2023, di condanna di GLYPH M.C. GLYPH alla pena di quattordici anni di reclusione per l’omicidio della moglie, previo riconoscimento del vizio parziale di mente prevalente sull’aggravante di cui all’art. 577, comma 1, cod. pen., con l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in REMS per tre anni.
1.2 La sentenza di secondo grado dà atto, in premessa, che l’imputato ha presentato quattro motivi di appello.
Con il primo motivo, è stato censurato l’omesso riconoscimento del vizio totale di mente ed è stata chiesta una nuova perizia psichiatrica.
Con il secondo motivo, è stato contestato il mancato accoglimento della richksta di giudizio abbreviato, a seguito della modifica tardiva dell’imputazione con la contestazione della circostanza aggravante della qualità di coniuge della vittima, che era nota sin dall’inizio delle indagini preliminari.
Con il terzo motivo, è stata contestata l’acquisizione da parte della Corte d’Assise di documentazione in copia prodotta dalla parte civile, senza alcuna certezza circa la sua riconducibilità all’imputato.
Con il quarto motivo, è stato contestato l’eccessivo ammontare della somma liquidata a titolo di provvisionale.
1.3 La Corte d’Assise d’Appello ha disatteso tutti i motivi.
Con riferimento al primo motivo, la sentenza di secondo grado richiama le valutazioni espresse dal perito nel suo elaborato tecnico e nella sua deposizione dibattimentale, per desumerne che questi abbia tenuto in debito conto le risultanze di una relazione del Reparto di Salute Mentale dell’Ospedale di omissis valorizzata dalla difesa dell’imputato e che invece le conclusioni dell’appellante, sfornite di argomentazioni tecnico-scientifiche a sostegno, si fondino su una valutazione incompleta delle risultanze processuali: di qui, anche il rigetto della richeista di disporre una nuova perizia.
Con riferimento al secondo motivo, la sentenza di appello osserva che la richiesta di giudizio abbreviato a seguito del decreto di giudizio immediato non determina l’automatica ammissione al rito e che, pertanto, nell’udienza fissata per la decisione sulla richiesta stessa non si applicano ancora le disposizioni del codice che limitano la possibilità per il pubblico ministero di procedere alla modifica del capo d’imputazione.
Con riferimento al terzo motivo, la sentenza di appello rileva innanzitutto la non decisiva rilevanza dei documenti prodotti dalla parte civile ai fini del giudizio di responsabilità dell’imputato; in ogni caso, disattende l’eccezione, in quanto, per un verso, è consentita l’acquisizione di documenti in copia benché non facenti parte originariamente del fascicolo del pubblici ministero in difetto di specifiche censure inerenti alla genuinità del documento stesso e, per l’altro, il disconoscimento dell’imputato non è da considerarsi credibile a fronte della convincente prova della provenienza dei manoscritti fornita dai suoi figli.
Con riferimento al quarto motivo, la sentenza di appello ritiene che la somma liquidata a titolo di provvisionale sia del tutto adeguata, anche in considerazione delle tariffe normalmente applicate per la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita parentale.
Avverso la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Taranto, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso, articolandolo in tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della totale incapacità di intendere e volere e al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento con nuova perizia.
Il ricorso evidenzia che la Corte d’Assise d’Appello, per rigettare la richiesta di nuova perizia, si sia richiamata, oltre che al giudizio del proprio perito, alle dichiarazioni dei testimoni dottori COGNOME e COGNOME che visitarono l’imputato nell’immediatezza dei fatti, con cui in realtà le conclusioni del perito collidono circa la parziale incapacità di intendere e volere.
In particolare, il primo dei due testimoni (in servizio al reparto di RAGIONE_SOCIALE. Mentale dell’ospedale di ornissis era giunto alla conclusione che versasse al momento dei fatti in uno stato mentale di crepuscolarità oniride con restringimento del campo di coscienza, conducendolo in uno stato sognante e lontano dalla percezione della realtà. Nel certificato rilasciato alle dimissioni, la diagnosi è di “demenza vascolare con delirium”: si tratta di una patologia che porta come conseguenza, tra le altre, la percezione distorta della realtà.
I giudici di secondo grado, invece, non hanno tenuto conto delle dichiarazioni di COGNOME e, di conseguenza, hanno errato a non disporre una nuova perizia.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale violazione di legge, con riferimento al rigetto dell’ammissione dell’imputato al giudizio abbreviato per effetto della contestazione dell’aggravante di cui all’art. 577, n. 1), cod. pen.
Il ricorso rileva che, alla notifica del decreto di giudizio immediato, M.C. aveva chiesto nei termini la definizione del procedimento con il rito abbreviato. All’udienza fissata per la decisione, il pubblico ministero aveva modificato l’imputazione con la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 577, n. 1), cod. pen, e per questo il g.i.p. aveva rigettato la richiesta di giudizio abbreviato. L’imputato ha poi reiterato la richiesta alla prima udienza dinanzi alla Corte d’Assise, che pure l’ha rigettata.
Se è vero che la fissazione dell’udienza per la decisione sul rito alternativo non equivale ancora all’ammissione del rito stesso, nondimeno le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 5788/2020) hanno affermato che il pubblico ministero non può modificare l’imputazione laddove il fatto oggetto di integrazione della contestazione fosse noto già prima della conclusione delle indagini: e la circostanza aggravante del rapporto di coniugio con la vittima era conosciuta sin da subito.
2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento alla errata valutazione di documenti prodotti in copia, ma disconosciuti dall’imputato.
I giudici di merito hanno posto a fondamento della dichiarazione di responsabilità anche copie di scritti rinvenuti nel cassetto della scrivania dell’abitazione dell’imputato, il quale ha contestato che fossero genuini e a lui riconducibili.
La Corte d’Assise d’Appello ha richiamato il principio di non tassatività dei mezzi di prova e ha ritenuto idonea la copia, anche perché M.C. non ha fatto questione di discordanza tra copia e originale. Ma la copia è stata prodotta dai figli dell’imputato, i quali hanno fotografato gli originali, che poi – hanno detto – sono andati smarriti.
In questa situazione, la prova della riconducibilità degli scritti all’imputato avrebbe dovuto essere desunta da altri elementi, che tuttavia non sono stati acquisiti.
Con requisitoria scritta del 14.9.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso sulla base delle seguenti ragioni: il primo motivo è infondato, perché nel giudizio di legittimità l’accertamento peritale può essere oggetto di esame solo in caso di travisamento della prova; il secondo motivo è infondato, perché la contestazione suppletiva è avvenuta in un momento precedente alla instaurazione del rito speciale e, in ogni caso, la prevalenza del vizio parziale di mente sull’aggravante rende privo di interesse il motivo di ricorso; il terzo motivo è infondato, perché i documenti non sono stati allegati al ricorso e perché il ricorrente non ne ha spiegato la concreta influenza sulla decisione.
In data 18.9.2024, il difensore dell’imputato ha depositato conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato, per le ragioni che saranno di seguito esposte.
Quanto al primo motivo, occorre tenere conto, innanzitutto, dei limiti di sindacabilità della valutazione, operata nel giudizio di merito, della perizia psichiatrica.
L’accertamento della capacità di intendere e di volere dell’imputato, infatti, costituisce questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se esaurientemente motivata, anche con il solo richiamo alle valutazioni della perizia, in modo immune da vizi logici e conforme ai criteri scientifici di tipo clinico e valutativo (Sez. 1, n. 11897 del 18/5/2018 dep. 2019, Rv. 276170 – 01; Sez. 1, n. 42996 del 21/10/2008, Rv. 241828 – 01).
In tema di prova scientifica, la Corte di cassazione deve stabilire, non la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito, ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica; essa, infatti, non è giudice delle acquisizioni tecnico-scientifiche, essendo solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al relativo sapere, con la conseguenza che non può operare una differente valutazione degli esiti della prova suddetta, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità se congruamente argomentato (Sez. 1, n. 58465 del 10/10/2018, Rv. 276151 – 01; Sez. 5, n. 6754 del 7/10/2014, dep. 2015, Rv. 262722 – 01).
Così delineato il perimetro del sindacato di legittimità in materia di perizia, va osservato che il ricorso denuncia, essenzialmente, un travisamento della prova, e cioè censura che il perito non abbia preso in considerazione, ovvero abbia male interpretato, circostanze di fatto emerse dalle deposizioni dibattimentali o dai documenti acquisiti nel dibattimento, in tal modo pretermettendo dalla propria valutazione elementi che invece avrebbero potuto influire sul suo giudizio finale.
Il riferimento è alle dichiarazioni dei medici che sottoposero l’imputato a visita nell’immediatezza del fatto e all’esito del loro accertamento, il quale collide secondo quanto sostenuto dal ricorrente – con le conclusioni del perito in ordine alla parziale incapacità di intendere e di volere di NOME
Ma, in realtà, la Corte d’Assise d’Appello ha diffusamente motivato circa il fatto che il perito abbia invece tenuto conto, nella sua relazione, delle valutazioni dei medici dell’ospedale richiamate nel ricorso e che, anche nel corso del suo esame dibattimentale, abbia reso adeguatamente ragione del motivo per cui le condizioni dell’imputato riscontrate in occasione del primo accesso in ospedale non fossero contrastanti con la sua diagnosi finale (in quanto effetto di una “modalità reattiva all’evento”).
Non solo, ma i giudici di secondo grado hanno dettagliatamente riportato le dichiarazioni dibattimentali degli stessi medici indicati dal ricorrente, i quali hanno infine fornito una spiegazione delle proprie iniziali valutazioni in termini nient’affatto incompatibili o contrastanti con il giudizio del perito, che, anzi, “trova conferme proprio nelle risposte che i dottori COGNOME e COGNOME hanno reso nel corso della loro deposizione”.
Tanto basta a escludere che si possa ravvisare, nel caso di specie, il lamentato vizio di travisamento della prova, che è suscettibile di esame critico da parte del giudice di legittimità solo quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilità” (Sez. 1, n. 51171 dell’11/6/2018, Rv. 274478 – 01; Sez. 1, n. 47252 del 17/11/2011, Rv. 251404 – 01).
In effetti, l’atto di appello aveva avversato le conclusioni del perito più che altro sulla base di proprie personali considerazioni dell’appellante e anche il
successivo ricorso per cassazione propone non più che una interpretazione diversa dei documenti sanitari e delle risultanze dibattimentali, sovrapponendola alla valutazione del perito della Corte d’Assise.
Ma in questo modo il motivo travalica la cognizione del giudice di legittimità, che, in tema di travisamento della prova, è circoscritta alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, in funzione della evidenziazione di una eventuale distorsione del “significante”, ma non anche del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 9/6/2022, Rv. 283370 – 01).
Alla luce di tali osservazioni, altrettanto adeguatamente la Corte d’Assise d’Appello ha, di conseguenza, rilevato che le affermazioni dell’appellante fossero sprovviste “di qualunque argomentazione tecnico-scientifica a sostegno” e che si basassero “su disquisizioni mediche che non risultano fondate su alcuna legge scientifica in grado di sostenerle”.
Né è derivata in modo del tutto congruo la decisione del rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, tenuto conto che nel giudizio di appello la rinnovazione di una perizia può essere disposta solo se il giudice ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti e che il rigetto della relativa richiesta, se logicamente e congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità, trattandosi di un giudizio di fatto (Sez. 1, n. 11168 del 18/2/2019, Rv. 274996 – 02; Sez. 2, n. 34900 del 7/5/2013, Rv. 257086 – 01).
2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Esso riguarda una censura di violazione di legge che era stata oggetto di esame sin dal giudizio di primo grado e che, riproposta in sede di appello, è stata risolta nei medesimi termini anche dai giudici di secondo grado, i quali hanno ribadito che, ai sensi dell’art. 458 cod. proc. pen., la richiesta di giudizio immediato non determina l’automatica instaurazione del rito, sicché, fino a quando il g.i.p. non emette l’ordinanza di ammissione, non vi sono limiti alla facoltà del pubblico ministero di modificare l’imputazione.
Non vi sono ragioni per discostarsi ora da questo epilogo della questione, che peraltro è conforme ad un indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, rispetto a cui il ricorrente sostiene una soluzione opposta ma senza addurre motivi nuovi o diversi.
Questa Corte ha più volte affermato che il giudizio abbreviato, richiesto dall’imputato a seguito della notificazione del decreto di giudizio immediato, non può essere considerato già instaurato a seguito del decreto di fissazione dell’udienza, ma si apre soltanto con l’ordinanza di ammissione, con la
conseguenza che, fino alla adozione di quest’ultima, non è precluso al pubblico ministero il potere di effettuare contestazioni suppletive indipendentemente dai casi previsti dall’art. 441-bis, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 23573 dell’8/7/2020, Rv. 279481 – 01; Sez. 3, n. 14433 del 4/12/2013, dep. 2014, Rv. 259719 – 01).
Questo orientamento, muovendo da quanto affermato da Sezioni Unite n. 30200 del 28/4/2021, ha evidenziato che, nell’ipotesi in cui la richiesta di rito abbreviato si innesti su una richiesta di giudizio immediato, vi è un vaglio di ammissibilità, operato dal giudice che ha emesso il decreto di giudizio immediato, concernente i requisiti formali della richiesta; tale vaglio è seguito, in caso di ritenuta ammissibilità, dall’udienza fissata con decreto de plano, in cui si procede, da parte di un diverso giudice e in contraddittorio, al vaglio della fondatezza della richiesta con l’eventuale adozione dell’ordinanza ammissiva del rito abbreviato. Con il decreto di fissazione dell’udienza per il rito abbreviato, dunque, il giudice non procede ancora all’instaurazione del giudizio abbreviato, il quale si apre soltanto con l’emanazione, in udienza, della relativa ordinanza ammissiva.
Ne discende che il decreto di fissazione dell’udienza e l’ordinanza ammissiva del rito hanno due funzioni diverse e che prima dell’ordinanza di ammissione non trovano applicazione gli artt. 438, comma 4, e 441-bis, comma 5, cod. proc. pen., che disciplinano la modifica dell’imputazione nei casi di integrazione probatoria nel corso del giudizio abbreviato già ammesso.
Alla luce di questa premessa, si può vieppiù valutare come inconferente il richiamo operato nel ricorso, con il dichiarato scopo di superare la costante interpretazione di legittimità sopra riassunta, alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5788 del 18/4/2019 (dep. 2020), COGNOME, che in realtà si inscrive esattamente nel solco della precedente giurisprudenza.
La pronuncia in questione afferma, infatti, che nel corso del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria a norma dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. o nel quale l’integrazione probatoria sia stata disposta a norma dell’art. 441, comma 5, dello stesso codice è possibile la modifica dell’imputazione solo per i fatti emergenti dai predetti esiti istruttori ed entro i limiti previsti dall’ 423 cod. proc. pen.
Si tratta, con tutta evidenza, di una situazione diversa da quella scrutinata nel giudizio in esame e che, peraltro, è del tutto in linea con quanto affermato dalla precedente giurisprudenza sopra riassunta con riferimento al giudizio abbreviato già ammesso e connotato da successiva attività di integrazione probatoria.
Ma, sebbene il tema non rientri a rigore nella questione di diritto che era stata loro rimessa, le Sezioni Unite ribadiscono testualmente il principio secondo cui «qualora, successivamente alla ammissione del giudizio abbreviato c.d. “secco”
vengano in evidenza fatti (reati connessi o circostanze aggravanti) desumibili dagli atti processuali, ma non ricompresi nell’imputazione, in linea generale il pubblico ministero non potrà procedere alla formulazione di contestazioni suppletive>.
Dunque, la limitazione della facoltà del pubblico ministero di modificare l’imputazione è circoscritta alla fase successiva all’ammissione del giudizio abbreviato e non si estende anche alla fase della emissione del decreto di giudizio immediato e della fissazione dell’udienza per decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato, ma ancora precedente alla ammissione del rito alternativo.
La ragione la ricorda efficacemente la stessa sentenza COGNOME in questo passaggio, al quale si può conclusivamente fare integrale richiamo: «è legittima la formulazione di una contestazione suppletiva da parte del pubblico ministero anche successivamente alla richiesta dell’imputato di ammissione al rito speciale, quando questa non sia stata ancora disposta dal giudice con ordinanza; infatti, prima della formale instaurazione del rito speciale deve ritenersi che (…) l’imputato può pur sempre revocare la scelta processuale precedentemente compiuta».
Quanto, infine, al terzo motivo, la Corte d’Assise d’Appello, a fronte della contestazione difensiva relativa alla provenienza dei documenti prodotti dai figli dell’imputato, ha osservato, in modo decisivo e ben argomentato, che anche l’eventuale espunzione dei documenti in questione dal compendio probatorio non sarebbe suscettibile di intaccare il giudizio di responsabilità di RAGIONE_SOCIALE già fondato sulle altre prove a carico, che sono idonee a fornire una univoca ricostruzione dei fatti contestati.
Il ricorso non si confronta con questo segmento della motivazione della pronuncia impugnata e rinnova in sede di legittimità la doglianza, senza prendere atto del giudizio di non decisività dei documenti e senza spiegare, di contro, la rilevanza dell’eventuale accoglimento del motivo sulla tenuta di una sentenza che invece ha espressamente escluso l’argomento dall’orizzonte degli elementi su cui ha fondato la decisione del processo.
A ciò consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso (cfr. Sez. 5 , Sentenza n. 31823 del 6/10/2020 Ud., Rv. 279829 – 01; sez. 2, n. 30271 dell’11/5/2017, Rv. 2703093 – 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv. 269218 – 01).
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso, in quanto complessivamente infondato, deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deve disporsi, altresì, che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla
legge.
Così deciso il 4.10.2024