Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9913 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9913 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Campi Salentina il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce in data 20/3/2023 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che il ricorrente è stato ammesso alla richiesta trattazione orale in presenza; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME, udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, udite le conclusioni dellAVV_NOTAIO difensore di COGNOME NOME il quali ha chiesto l’annullamento della sentenza
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 20/3/2023, la Corte di appello di Lecce ha riformato la sentenza del Tribunale di Lecce in data 10/6/2019; in particolare ha dichiarato estinto per prescrizione il delitto lesioni volontarie ascritto al COGNOME e ad altr
imputati, ha assolto i coimputati COGNOME e COGNOME dal delitto di rapina a loro ascritto e, per quel che qui interessa, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME per i delitti di rapina aggravata ed estorsione.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione COGNOME NOME il quale, con il primo motivo, deduce vizio di motivazione e violazione di legge in particolare dell’art. 43 bis, co. 1 e 2, del D.P.R. 12/1941 per l’asserita illegittima dell composizione del collegio giudicante di primo grado, dovuta alla presenza di un giudice onorario.
Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alli utilizzo dell’istituto delle contestazioni ex art. 500 c.p.p., ai dell’accertamento dei fatti. Il giudice di merito avrebbe dato lettura delle dichiarazioni precedentemente rese dai testi, svilendo la funzione delle contestazioni, secondo il ricorrente volte esclusivamente a mettere in dubbio la credibilità della persona che rende le dichiarazioni in dibattimento e non a sanare i “non ricordo” della stessa.
Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità del COGNOME per i delitti di rapina e di estorsione. La Corte di appello come il primo giudice avrebbero valorizzato solo le dichiarazioni della p.o., selezionando alcuni passaggi della sua testimonianza.
Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato COGNOME è basato su motivi infondati va rigettato.
Con il primo motivo il difensore lamenta che pur avendo eccepito la nullità della sentenza di prime cure e dell’intero procedimento di primo grado perché il collegio giudicante era stato integrato, per l’intero giudizio, da un giudice onorario in violazione dell’art. 43 bis d.p.r. 12/1941, la Corte territoriale non ha adeguatamente risposto sul punto limitandosi a riprodurre il testo normativo e a richiamare alcuni precedenti giurisprudenziali.
Rileva il collegio che la questione della nullità è infondata se solo si pone mente alla data nella quale è stata esercitata l’azione penale ed alla disposizione transitoria di cui all’art. 30, comma 6, d.lgs.116/2017, applicabile nel caso di specie.
Il tema della integrazione del collegio giudicante con un componente non togato è stato di recente affrontato da questa Corte alla luce della disciplina introdotta
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dal d.lgs. 116/2017 che ha modificato lo statuto del giudice onorario. In particolare, la Sez. 3, con sent. n. 39119 del 06/07/2023, Rv. 28511, ha affermato che “il divieto, non derogabile, di destinazione del giudice onorario di pace a comporre i collegi che giudicano i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., introdotto dall’art. 12 cl.lgs. 13 luglio 2017, n. 1 determina una limitazione alla capacità del giudice ex art. 33 cod. proc. pen., la cui violazione è causa di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto viziata da nullità derivata ex art. 185 cod. proc. pen. la decisione della corte di appello, in ragione della nullità di quella di primo grado).
Altre pronunce si sono espresse nei medesimi termini affermando che il divieto di destinazione del giudice onorario di pace a comporre i collegi del tribunale del riesame ovvero qualora si proceda per i delitti indicati nell’art. 407, comma. 2, lett.a) c.p.p., introdotto dall’art. 12 del D.Igs. 116/2017, integra una limitazione alla capacità del giudice ex art. 33 c.p.p., la cui violazione è causa di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 c.p.p. (in tal senso Sez. 3, n. 9076/2020, Rv. 279942 ; Sez. 6, n.9383/2021 non mass; Sez. 20202/2021 non mass.).
E’ stato precisato che il mutato quadro normativo con l’introduzione di una disciplina organica della magistratura onoraria nelle parti nelle quali ha modificato l’assegnazione dei giudici onorari ed ha disciplinato l’assegnazione di questi nei giudizi penali e civili, impedisce di richiamare il precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’integrazione di un collegio da parte di un giudice onorario in veste di supplente, non viola l’art. 43 bis del R.D. 12/1941, che si riferisce all’esercizio delle funzioni del tribunale in composizione monocratica, né è causa di nullità processuale, atteso che detta previsione introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione di procedimenti tra i giudici ordinari e quel onorari ( Sez. 5 , n. 47999 del 27/5/2016 , Rv. 268465) e che la trattazione da parte del giudice onorario di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall’art. 43 bis co.3 lett. b) del R.D. 1271941, ossia in relazione ai reati non previsti dall’art. 550 c.p.p., non è causa d nullità, in quanto la disposizione ordinamentale introduce un mero criterio organizzativo dell’assegnazione del lavoro tra giudici ordinari e giudici onorari (Sez. 4, n. 9323 del 14/12/2005, Rv. 233011), indirizzo interpretativo che si fondava sulla disposizione dell’art. 43 bis cit., ora espressamente abrogata dall’art. 33 del d.lgs.116/2017.
Tanto premesso, nel caso di specie, tuttavia, non è dato ravvisare la dedotta nullità poiché al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo 116/17 (15/8/2017), era stata già esercitata l’azione penale, pertanto trova applicazione la disciplina transitoria di cui all’art. 30, comma 6, del d.lgs.116/2017 che
esclude che per i procedimenti in corso si applichino i divieti introdotti dalla riforma: “Per i procedimenti relativi ai reati indicati nell’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, iscritti alla data di entrata i vigore del presente decreto, i divieti di destinazione dei giudici onorari di pace di cui al comma 5 nei collegi non si applicano se, alla medesima data, sia stata esercitata l’azione penale”.
Per quanto detto la prima doglianza difensiva va rigettata.
Il secondo motivo di ricorso è pure infondato.
La giurisprudenza di legittimità con indirizzo unanime riconosce valore probatorio alla conferma del testimone immemore, nel corso della deposizione dibattimentale ed a seguito di contestazione, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari (Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, Rv. 270091; Sez. 2, Sentenza n. 35428 del 08/05/2018, Rv. 273455; Sez. 1, n. 23012 del 14/05/2009, Rv. 244451). E ciò sia quando il teste rimandi al più vivido ricordo dei fatti in occasione delle informazioni rese in fase di indagini, sia quando si limiti all’affermazione che quanto in precedenza dichiarato risponda al vero, giacchè la risposta alla contestazione per difetto di ricordo veicola nel dibattimento quanto già dichiarato in precedenza (Sez. 2, n.31593 del 13/07/2011, Rv. 250913; Sez. 2, n. 13927 del 04/03/2015, Rv. 264014).
Al riguardo, come ricordato nella sentenza impugnata, il ricorso all’istituto delle contestazioni di cui all’art. 500 c.p.p., è stato effettuato come strumento di ausilio alla memoria e non come mezzo di ricerca della prova atteso che i testi non hanno negato di avere reso quelle dichiarazioni ma hanno affermato, da un lato, di non ricordare nulla dall’altro, di confermare quanto in precedenza riferito in sede di denuncia.
Secondo la Corte d’appello, dunque, la persona offesa ha confermato in dibattimento quanto dichiarato in sede di indagine, così che il conclusivo giudizio di responsabilità del ricorrente si fonda su dichiarazioni dibattimentali e non sulle contestazioni.
Infondato è anche il terzo motivo con il quale si contesta la ricostruzione dei fatti e la mancata derubricazione del reato di estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La Corte di appello ha legittimamente fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato per il delitto di tentata estorsione e di rapina aggravata, sulle dichiarazioni delle persone offese delle quali è stata accuratamente vagliata la credibilità anche alla luce dei plurimi riscontri oggettivi ed ha escluso che potesse ravvisarsi l’ipotesi meno grave di cui all’art. 393 c.p., per l’insussistenza di una pretesa lecita giudizialmente azionabile ( cfr. pagg. 10 e segg. della sentenza impugnata).
Quanto al diniego delle attenuanti generiche il giudice di appello, con motivazione logica e non contraddittoria, ha ritenuto di non potere riconoscere le dette circostanze alla luce della gravità dei fatti contestati, caratterizzati d violenza gratuita e, a volte, quasi efferata, con condotte protrattesi per lungo tempo nel corso della giornata del 20/6/2014.
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che eg faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez.6, n. 34364 del 16/6/2010, Rv. 248244; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549).
Il rigetto del ricorso comporta la condanna dell’imputato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Roma, 2/2/2024