Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 12001 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 12001 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/02/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE
in persona del legale rappresentante NOME COGNOME nata a Bedford il 24/05/196
avverso la ordinanza del 29/10/2024 del Tribunale di Lecce visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procura generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME difensore della società RAGIONE_SOCIALE che ha conc chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Lecce, in sed riesame, confermava l’ordinanza di sequestro conservativo emessa dal Tribunale di Lecce 23 settembre 2024 nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE qual responsabile civile, fino alla concorrenza della somma di euro 300.000.
Il sequestro è stato disposto dal Tribunale, nell’ambito di un più am procedimento penale pervenuto alla fase dibattimentale, su richiesta della pa civile NOME COGNOME costituitasi nella fase dell’udienza preliminare nei confro NOME COGNOME imputato per i reati di cui ai capi 1), 3 e 4), relativi ai
associazione a delinquere e abuso di ufficio ed alle contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche, tutti reati connessi alla edificazione di un vasto complesso immobiliare residenziale in assenza di legittimi permessi di costruire.
La richiesta di citazione quale responsabile civile della società RAGIONE_SOCIALE avanzata da plurime parti civili, e tra esse anche da NOME COGNOME è stata accolta dal Giudice dell’udienza preliminare che ne ha disposto la citazione a giudizio, ravvisandone i presupposti, essendo detta società la diretta beneficiaria dei reati commessi dal suo amministratore COGNOME coinvolto nella edificazione abusiva degli immobili offerti in vendita ad alcune delle parti civili costituite.
In particolare, la parte civile NOME COGNOME avendo invocato il risarcimento di un danno di circa 500 mila euro per l’acquisto dalla RAGIONE_SOCIALE di due unità immobiliari sottoposte a sequestro preventivo per i rilevati abusi edilizi, ha richiesto al Tribunale di Lecce, in composizione collegiale, competente per il giudizio, il sequestro conservativo dei beni di detta società, accolto fino alla concorrenza di 300 mila euro, sul presupposto del periculum in mora ravvisato nella intervenuta alienazione di alcuni cespiti immobiliari della RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE facente capo ai figli del COGNOME, con oggetto sociale (gestione di uno stabilimento balneare) eccentrico rispetto a detti acquisti immobiliari.
Avverso la suddetta ordinanza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, denunciando, a mezzo del difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., 12, d. Igs. n. 116 del 13 luglio 2017 e 407, comma 2, lett. a), n. 7-ter cod. proc. pen. evidenziando che faceva parte del Collegio che ha adottato il decreto di sequestro conservativo un giudice onorario di pace che, per divieto legislativo, non può comporre i collegi che giudicano dei reati indicati dall’art. 407 cit. fra i quali il reato di cui all’art. 615-ter cod. pen. ascritto ai capi 10, 12, 15, 44, 45 46.
La partecipazione del giudice onorario, in difetto di capacità, determina una nullità assoluta del provvedimento adottato, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del processo.
2.2. violazione di legge in relazione all’art. 316, comma 2, cod. proc. pen. per l’assenza di correlazione tra la richiesta risarcitoria avanzata dalla parte civile NOME COGNOME ed i reati per cui si procede nei confronti di COGNOME quale rappresentate legale della RAGIONE_SOCIALE, di cui agli artt. 416, 318 cod. pen., 44 lett. c), d.P.R. n. 280/2001 e 181 d. Igs. n. 42/2004.
Secondo la ricorrente, rispetto ai reati contestati, la parte civile non è persona offesa dal reato ma solo persona danneggiata non essendo contestate condotte truffaldine.
Ma il Tribunale non ha considerato che la costituzione di parte civile è relativa a reati edilizi rispetto ai quali il danno patrimoniale e non patrimoniale posto a base della richiesta risarcitoria prescinde dall’accertamento penale dei reati, ma presuppone la prova della buona fede della parte civile circa l’inconsapevolezza dell’esistenza delle presunte irregolarità edilizie, sicchè gli effetti lesivi derivan da reato e il danno civilistico non sono in rapporto diretto tra loro, ma si pongono in rapporto causale indiretto in violazione dei criteri richiesti dalla riforma Cartabia che presuppongono che il danno risarcibile discenda in modo diretto ed immediato dall’accertamento del reato.
Inoltre, il Tribunale ha fatto direttamente riferimento, nella motivazione del fumus delicti, oltre ai reati contravvenzionali anche alle ulteriori contestazioni, in particolare l’ipotesi corruttiva, che “comunque lambisce in via indiretta gli interessi dell’acquirente dell’immobile”, reato rispetto al quale non è stata ammessa la costituzione di parte civile da parte del Giudice dell’udienza preliminare che ha fatto riferimento solo ai capi 1), 3) e 4).
La carenza di motivazione emerge anche in relazione alla ritenuta sussistenza del “periculum in mora” contraddetto dalla consistenza patrimoniale della società RAGIONE_SOCIALE e della sua floridezza economica, comprovate dalla relazione tecnicocontabile e dalla relazione del commercialista di parte.
Inoltre, si censura il riferimento alla vendita di due immobili, che si ritiene simulata per poter sottrarre la parte più rilevante del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE alle ragioni creditorie, vendite, viceversa, effettuate a favore di una società collegata alla RAGIONE_SOCIALE in altre consistenti operazioni di compravendita e avvenuta in esecuzione di un impegno ad acquistare – confermato dal versamento di caparra confirmatoria – risalente ad epoca precedente rispetto agli eventi processuali che hanno coinvolto la società.
E’ infondato anche il riferimento, ai fini della sussistenza del periculum, alla presenza di numerosi acquirenti di immobili che potrebbero vantare pretese civilistiche e di altre parti civili, non meglio indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato perché nel suo complesso infondato. Con riferimento al primo motivo di ricorso si osserva quanto segue.
Il divieto previsto dall’art. 12, d. Igs. n. 116 del 13 luglio 2017 che impedisce ai giudici onorari di comporre i collegi penali nei giudizi per i reati indicati nell’a 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen. è stato esteso anche al reato di cui all’art. 615-ter cod. pen. per effetto della modifica del citato articolo operata dall’art.17 della legge 28 giugno 2024, n.90, entrata in vigore dal 17 luglio 2024, che ha inserito alla lett. a) del secondo comma dell’art. 407, dopo il numero 7-bis), il numero 7-ter) che include nella stessa previsione di legge, in tema di termini di durata massima delle indagini preliminari, anche i delitti previsti dagli articoli 615ter, 615-quater, 617-ter, 617-quater, 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, 635ter, 635-quater, 635-quater.1 e 635-quinquies del codice penale, quando il fatto è commesso in danno di sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all’ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico.
Secondo la ricorrente la presenza di un giudice onorario nel collegio giudicante che ha emesso l’ordinanza di sequestro conservativo, sia pure in relazione ad una costituzione di parte civile per reati diversi da quello di cui all’art. 615-ter cod.pen. che risulta ascritto nel giudizio per cui si procede ai capi 10, 12, 15, 44, 45 e 46, avrebbe comportato la nullità assoluta di tale provvedimento perché emesso da un organo collegiale viziato per incapacità del giudice.
2. La questione è infondata per le seguenti ragioni.
Innanzitutto, deve ribadirsi quanto già osservato dalla giurisprudenza di legittimità circa la incidenza del divieto, non derogabile, di destinazione del giudice onorario di pace a comporre i collegi che giudicano i reati indicati nell’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., sulla capacità del giudice ai sensi dell’art. 33, comma 1, cod. proc. pen., la cui violazione è causa di nullità assoluta ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen., in relazione all’art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grad del procedimento (Sez. 6, n. 35857 del 10/09/2024, R., Rv. 286975; Sez. 3, n. 39119 del 06/07/2023, M., Rv. 285112 – 01; Sez. 6, n. 9383 del 09/03/2021, non massimata; analogamente, con riferimento al divieto di destinazione del giudice onorario di pace a comporre i collegi del tribunale del riesame, Sez. 4, n. 26805 del 29/05/2024, Cambio, Rv. 286678-01; Sez. 3, n. 9076 del 21/01/2020, COGNOME, Rv. 279942 – 01).
L’art. 12 del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, nel richiamare le regole per la destinazione dei giudici di pace onorari nei collegi civili e penali del tribunale che i presidenti devono osservare per supplire, alle condizioni e secondo le modalità
tassativamente specificate, all’assenza dei giudici professionali negli organici stabilisce, per la parte che qui interessa, che “La destinazione è mantenuta sino alla definizione dei relativi procedimenti. Del collegio non può far parte più di un giudice onorario di pace. In ogni caso, il giudice onorario di pace non può essere destinato, per il settore civile, a comporre i collegi giudicanti dei procedimenti in materia fallimentare e i collegi delle sezioni specializzate e, per il settore penale, a comporre i collegi del tribunale del riesame ovvero qualora si proceda per i reati indicati nell’ art. 407, comma 2, lett. a) del codice di procedura penale.”
L’art. 30, al comma 6, del d.lgs. n. 116/2017, entrato in vigore il 15 agosto 2017, stabilisce inoltre che: “Per i procedimenti relativi ai reati indicati nell’articol 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, iscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto, i divieti di destinazione dei giudici onorari di pace di cui al comma 5 nei collegi non si applicano se, alla medesima data, sia stata esercitata l’azione penale”.
Si tratta ora di stabilire se l’ampliamento del novero dei reati inclusi nel comma 2 dell’art. 407, comma 2, lett. a) del codice di procedura penale, per effetto della modifica operata con la legge 28 giugno 2024, n.90, entrata in vigore il 17 luglio 2024, sia applicabile ai processi in corso, in cui la destinazione dei giudici di pace onorari sia stata operata dai capi degli uffici giudiziari nel rispetto delle condizioni di legge previste al momento della formazione dei collegi giudicanti penali e delle assegnazioni dei processi secondo le regole tabellari vigenti.
Il problema si pone perché la legge n.90 del 2024 che ha inserito il reato di cui all’art. 615-ter cod. pen. nel novero dei reati per i quali il termine di durata massima delle indagini è quello massimo di due anni, non prevede una disciplina transitoria con la conseguente necessità per l’interprete di ricavare dal sistema la regola da seguire per l’applicazione del principio tempus regit actum, secondo i criteri fissati dalle Sezioni Unite n. 27614 del 29/03/2007, Lista, Rv. 236537 che impongono di individuare l’actus che deve costituire il riferimento per determinare il tempus cui occorre rifarsi per stabilire la legge da applicare.
Si deve ricordare che per giurisprudenza oramai costante (cfr. Sez. U, n. 48590 del 18/04/2019, COGNOME, Rv. 277304) per l’applicabilità della regola del tempus regit actum, è necessario, allorchè si tratti di modifiche processuali che non prevedono una espressa disciplina transitoria, che sia l’interprete a stabilire in relazione alla variegata tipologia degli atti processuali interessati quale sia di volta in volta la regola transitoria da applicare per disciplinare il passaggio tra la vecchia e la nuova normativa processuale.
È stato anche già affermato che la individuazione della regola intertemporale in concreto da applicare deve essere ispirata al rispetto dei principi generali
dell’ordinamento, in un’ottica di tutela da un lato delle aspettative e delle garanzie difensive cui fanno riferimento i criteri dell’affidamento e della previdibilità delle situazioni giuridiche tutelate (come affermato dalla citata sentenza delle Sez. U. Sacco in tema di modifica del regime delle impugnazioni ai soli effetti civili), ma anche della ragionevolezza della disciplina processuale ,che deve evitare esiti incoerenti con i principi fondamentali costituzionali, quali quelli fissati dagli artt 25 e 111 della Costituzione, ed in particolare della precostituzione del giudice naturale, della ragionevole durata dei processi e della immutabilità del giudice, secondo quanto stabilito in applicazione di detto principio dall’art. 525, comma 2, cod. proc. pen.
Non vi è dubbio che le disposizioni che regolano la destinazione dei giudici agli uffici giudiziari e l’assegnazione dei processi alle sezioni, collegi e giudici non attengono alla capacità del giudice secondo quanto espressamente stabilito dall’art. 33, comma 2, cod. proc. pen.
Tuttavia, con riguardo alla destinazione dei giudici onorari non professionali, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, la introduzione di uno specifico divieto inderogabile, stabilito per legge, a trattare i processi per determinati reati introduce una deroga a tale principio, determinando una preclusione che conduce ad una delimitazione della capacità del giudice, differenziata per categorie di reato.
Si tratta all’evidenza di una nozione di incapacità del giudice inedita, che si caratterizza per il riferimento non ai requisiti soggettivi richiesti dall’ordinamento giudiziario per assumere e svolgere in generale le funzioni giudicanti, ma che pone delle limitazioni correlate alla tipologia dei reati ed alla loro presumibile maggiore complessità di accertamento, che rappresenta una sottocategoria della capacità generale del giudice, qualificabile come capacità specifica o relativa.
Pertanto, la individuazione della regola intertemporale da applicare non può essere semplicisticamente individuata attraverso il richiamo ai precedenti giurisprudenziali che si sono formati con riguardo alla nozione di capacità del giudice, secondo il discrimine che distingueva i casi in cui la decisione possa essere stata adottata da “no iudex”, come nel caso del collocamento in pensione del magistrato dopo la deliberazione della sentenza ma prima del deposito della motivazione (cfr. Sez. 6, n. 1793 del 03/06/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 198561).
Se, infatti, appare indiscutibile che al fine di accertare i requisit di capacità generale del giudice bisogna avere riguardo alla data della sentenzadecisione, perché questa segna il momento centrale dell’esercizio della funzione giudiziaria, tuttavia } allorchè non si discuta dei requisiti soggettivi di capacità del giudice ma della capacità specifica, delimitata per effetto di divieti di legge a
determinate tipologie di reato, il criterio da seguire debba essere necessariamente diverso.
I principi costituzionali dell’immutabilità del giudice, della precostituzione del giudice naturale e della ragionevole durata dei processi rendono evidente come non si possa che fare riferimento, per l’individuazione di quella che andrebbe definita come “capacità relativa” del giudice, alla legge vigente al momento della destinazione dei magistrati ai collegi, o in alternativa, in ultima analisi, al momento dell’assegnazione del processo al giudice.
Un tale principio varrebbe anche per i magistrati professionali ove si dovessero introdurre limitazioni dello stesso tipo alla “capacità generale” del giudice , ad esempio con riguardo a profili di maggiore o minore esperienza professionale in rapporto a determinate categorie di reati.
A tale proposito l’aspetto inedito di tale forma di incapacità del giudice è chiaramente frutto di una scelta legislativa imposta dalla necessità di fronteggiare le ataviche carenze di organico degli uffici giudiziari con l’impiego dei giudici onorari, ponendo delle limitazioni a tale utilizzo per alcune categorie di reato, senza ricorrere al criterio della distribuzione degli affari secondo le regole della competenza per materia che rispondono proprio alla necessità di assegnazione dei processi secondo dei criteri di maggiore specializzazione, ferma restando la capacità del giudice.
Sebbene, quindi, solo per le modifiche sulla competenza valga il principio della cd. perpetuati° jurisdictionis, che impone di fare riferimento alla legge processuale vigente al momento dell’esercizio dell’azione penale, deve ricordarsi che anche per le disposizioni tabellari che regolano l’assegnazione dei processi trovano applicazione le regole della predeterminazione, dell’obiettività dei relativi criteri di distribuzione degli affari interna ai singoli uffici giudiziari e che per preci scelta del legislatore la violazione di detti criteri non incide sulla capacità generale del giudice (Corte Cost. sent. 419 del 1988) proprio per la finalità di escludere che da tali violazioni possano derivare cause di nullità assolute degli atti processuali.
La introduzione di espressi divieti per la destinazione dei giudici onorari ai collegi, trattandosi di norme di carattere eccezionale che limitano invece ora la capacità del giudice anche rispetto all’osservanza dei criteri di distribuzione interna degli affari negli uffici giudiziari, impone per un giusto contrappeso a tale innovazione, di mantenere ferme le assegnazioni dei processi operate dai presidenti dei tribunali nel rispetto della normativa ordinamentale vigente al momento della formazione dei collegi giudicanti.
In conclusione, si ritiene che la regola intertemporale da applicare nel caso di specie debba essere individuata in conformità alla disciplina transitoria prevista dalla legge che ha disciplinato le modalità e le condizioni di destinazione dei giudici
onorari alla composizione dei collegi penali (art. 30, comma 6, d.lgs. n. 116/2017), facendo salve le assegnazioni dei processi pendenti, stabilendo la non applicabilità dei divieti ai casi in cui l’azione penale risulti già esercitata alla data di entrata vigore della legge che ha ampliato il novero dei reati inclusi nel divieto di destinazione dei giudici onorari, in applicazione in via interpretativa di detta regola intertemporale che appare coerente ai principi generali del processo penale.
Nel caso di specie, poiché dagli atti allegati al ricorso si evince che il decreto di citazione a giudizio risulta emesso in data 25 giugno 2024, prima della data del 17 luglio 2024 di entrata in vigore del nuovo divieto di destinazione dei giudici onorari alla composizione dei collegi giudicanti penali con l’inserimento del reato di cui all’art. 615-ter cod. pen., per effetto della modifica dell’art. 407, comma 2, lett. a) del codice di procedura penale introdotta dall’art. 17 della legge 28 giugno 2024 n. 90, ne deriva che l’assegnazione del processo al collegio giudicante composto da un giudice onorario deve ritenersi operata legittimamente e che la destinazione del giudice onorario in quel collegio deve mantenersi ferma fino alla definizione del giudizio come per altro espressamente statuito dall’art. 12 del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, secondo cui “La destinazione è mantenuta sino alla definizione dei relativi procedimenti”.
Passando alla disamina dei residui motivi di ricorso, deve rilevarsi la inammissibilità delle questioni afferenti indirettamente alla legittimità della costituzione di parte civile e della citazione del responsabile civile perché decise nel corso dell’udienza preliminare con ordinanze che non sono suscettibili di autonoma impugnazione.
Si deve ricordare che l’ordinanza che ammette la parte civile come anche quella che ammette la citazione del responsabile civile non sono impugnabili autonomamente ma solo congiuntamente alla sentenza (Sez. 6, n. 15866 del 12/02/2004, COGNOME, Rv. 228812).
Pertanto, tutte le questioni dedotte con riferimento all’assenza di un nesso di causalità immediata tra i reati per cui si procede ed i danni invocati dalla parte civile, poiché attengono alla sussistenza dei presupposti che legittimano la costituzione di parte civile, fuoriescono dal perimetro di cognizione dell’impugnazione prevista dal combinato disposto degli artt. 318, 324 cod. proc. pen. in tema di riesame dei provvedimenti di sequestro e quindi anche da quello del ricorso per cassazione previsto dall’art. 325 cod. proc. pen.
Il richiamo operato dall’art 318 cod. proc. pen. per il sequestro conservativo al mezzo di impugnazione del riesame regolato dall’art. 324 cod. proc. pen. non consente di allargare l’ambito di cognizione di detto istituto che non può estendersi
al di là dei limiti segnati dalla natura del provvedimento impugnato, del tutto autonomo rispetto a quello dell’ammissione della costituzione di parte civile.
Ne consegue che il Tribunale in sede di riesame non può neppure rimettere in discussione la questione della sussistenza delle condizioni per la costituzione di parte civile o della citazione del responsabile civile, la cui ammissione o esclusione restano soggette alle decisioni del Giudice che procede nel rispetto delle preclusioni previste dall’art. 491 cod. proc. pen. per le decisioni sulle questioni preliminari.
Lo strumento del riesame dei provvedimenti di sequestro non può essere utilizzato impropriamente per denunciare vizi che afferiscono alla legittimazione della costituzione della parte civile, trattandosi di profili di valutazione la cu cognizione è riservata al giudice che procede, secondo le scansioni processuali del giudizio di merito e con i rimedi impugnatori previsti per la sentenza.
L’oggetto della valutazione riservata al riesame attiene soltanto alla verifica dei presupposti del sequestro costituiti dal fumus delicti e dal periculum in mora.
Con riguardo al fumus delicti deve darsi seguito all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, tale questione è preclusa se nel frattempo sia intervenuto il decreto che dispone il giudizio del soggetto interessato, in quanto, cristallizzando le imputazioni, esso presuppone una valutazione giudiziale sull’idoneità e sufficienza degli elementi acquisiti per sostenere l’accusa in giudizio e non può quindi essere privato della sua rilevanza per ragioni connesse al sistema impugnatorio delle misure reali (Sez. 2, n. 52255 del 28/10/2016, COGNOME, Rv. 268733; conf., ex plurimis e con specifico riferimento al sequestro preventivo, Sez. 2, n. 2210 del 05/11/2013 – dep. 2014, COGNOME, Rv. 259420; Sez. 5, n. 30596 del 17/04/2009, COGNOME, Rv. 244476, nonché, con riferimento al sequestro conservativo, Sez. 5, n. 26588 del 09/04/2014, COGNOME, Rv. 260569; Sez. 2, n. 805 del 12/11/2003 – dep. 2004, COGNOME, Rv. 227802).
Occorre tuttavia precisare, in conformità ad un orientamento già delineatosi nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 44899 del 09/07/2019, COGNOME, Rv. 277679) che la proponibilità della questione del fumus delicti non è però preclusa allorchè la parte civile non si si indentifichi con la persona offesa del reato ma con il danneggiato, imponendosi in tal caso ai fini della misura cautelare una verifica della non manifesta infondatezza della pretesa risarcitoria, atteso che la sufficienza degli elementi acquisiti per sostenere l’accusa in giudizio non implica una valutazione sulla fondatezza o meno dell’azione risarcitoria.
Sotto tale profilo il motivo di ricorso è però inammissibile perché investe la motivazione dell’ordinanza del riesame che ha verificato come dalla fondatezza
delle ipotesi di reato di associazione a delinquere e delle connesse contravvenzioni urbanistiche e paesaggistiche sia emersa la prova della sussistenza di un grave danno patrimoniale cagionato alla parte civile per effetto di tali condotte di reato.
Il riferimento al necessario accertamento della buona fede circa l’ignoranza delle presunte violazioni urbanistiche e paesaggistiche dell’immobile acquistato in questa sede cautelare è manifestamente infondato, dovendosi tale buona fede presumere in assenza di prova contraria.
È evidente, infatti, attesa la natura cautelare e provvisoria del provvedimento, che il sindacato sulla non manifesta infondatezza della pretesa risarcitoria non può spingersi sino a valutare la fondatezza della domanda risarcitoria, poiché tale accertamento resta affidato al giudizio di cognizione.
Quanto al peri culum in mora le censure sono inammissibili atteso che il controllo di legittimità in sede di impugnazione cautelare reale ex art. 325 cod. proc. pen. è volto solo a stabilire se l’ordinanza impugnata sia immune da violazione di legge essendo incensurabile sotto il profilo della completezza e logicità della motivazione.
A tale riguardo si deve rilevare che il Tribunale ha desunto il pericolo di depauperamento del patrimonio del debitore da elementi indiziari specificamente indicati, dando conto di avere ritenuto non sufficiente il patrimonio della società in ragione anche dei numerosi soggetti danneggiati costituitisi parti civili e quindi dell’entità complessiva delle pretese risarcitorie tali da giustificare il pericolo che anche la vendita di alcune unità immobiliari possa rendere incapiente la garanzia patrimoniale del credito vantato.
Conseguentemente, non ricorre alcuno dei vizi radicali della motivazione denunciabili con ricorso poiché il Tribunale del riesame reale ha verificato con argomenti logici e conducenti la legittimità del sequestro analizzandone i presupposti del fumus e del periculum in mora.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il giorno 28 febbraio 2025