Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7512 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7512 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Bari il 14/07/1995, avverso l’ordinanza del 09/09/2024 del Gip Tribunale di Bari. Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto rigettarsi il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME formulava al giudice dell’esecuzione istanza ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., chiedendo riconoscersi il vincolo della continuazione tra i reati giudicati con le seguenti sentenze:
sentenza del Tribunale di Bari del 4 novembre 2014, irrevocabile l’8 gennaio 2016, di applicazione della pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed € 1.400 di multa per i reati di cui agli articoli 648 cod. pen., 2 e 4 l. 2 ottobre 1967, n. 895, 23, comma 3, l. 18 aprile 1975, n. 110, e della pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione ed € 2.700 di multa per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, reati accertati in Bari il 5 agosto 2014, allorquando il COGNOME fu arrestato in flagranza essendo state rinvenute nella sua disponibilità un’arma clandestina e sostanza stupefacente del tipo hashish e marijuana ;
sentenza del Tribunale di Bari del 20 aprile 2018, irrevocabile il 17 ottobre 2023, che, riconoscendo la continuazione tra il reato contestato nell’ambito di quel procedimento (il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso in Bari dal 2014 all’attualità) e «quelli giudicati dalle sentenze emesse 2) Gip del Tribunale di Bari in data 4.11.2014, emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., irrevocabile l’8.1.2016», aveva condannato il COGNOME, alla complessiva pena di anni 10 di reclusione.
Il COGNOME rappresentava che, a fronte di un dispositivo che non lasciava spazio a dubbi, nella motivazione della sentenza sopra indicata sub 2) il giudice aveva fatto riferimento ai soli delitti in materia di armi giudicati con la sentenza sopra indicata sub 1), pur non potendo dubitarsi che il
delitto di cui all’art. 73, comma 4, del Testo Unico sugli stupefacenti, accertato il 5 agosto 2014, fosse stato commesso in esecuzione del programma dell’associazione dedita al narcotraffico della quale il COGNOME aveva fatto parte fin dal 2014.
Chiedeva, pertanto, «di voler riconoscere la sussistenza del vincolo e, per l’effetto, applicare la disciplina del reato continuato. In subordine, vi chiedo di voler precisare che il disegno criminoso e, quindi, il relativo aumento pari ad anni 1 e mesi 3 di reclusione si intendono riconosciuti anche in relazione al reato di cui all’art. 73 DPR 309/90 giudicato con la sentenza sub 1)».
Il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Bari, con il provvedimento oggi impugnato, rigettava l’istanza, rilevando sinteticamente che «lo stesso accordo delle parti, posto a base della sentenza di patteggiamento in data 4.11.2014, non contemplava l’applicazione della disciplina del reato continuato tra i reati in materia di armi e quello in materia di stupefacenti, determinando la pena in modo autonomo per i primi e per il secondo», e che «l’esclusione del predetto reato in materia di stupefacenti dal medesimo disegno criminoso riconosciuto tra i reati giudicati nel 2014 e quello associativo contestato nel procedimento RAGIONE_SOCIALE Ł frutto di una valutazione compiuta in fase di cognizione, tenuto conto della circostanza innanzi dedotta e della tipologia, tempo e circostanze delle singole violazioni».
Il difensore di fiducia di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME ha impugnato l’ordinanza in oggetto, deducendo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 81 e 671 cod. pen., dolendosi tanto del fatto che il giudice dell’esecuzione abbia «omesso di colmare la contraddizione interna alla sentenza di cui al punto 2», riconoscendo prevalenza al dispositivo, quanto della motivazione solo apparente dell’impugnata ordinanza, che, del tutto illogicamente, ha ritenuto il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 avvinto da un medesimo disegno criminoso con delitti in materia di armi, e non anche con il reato fine dell’associazione, quello di detenzione a fine di spaccio di sostanze stupefacenti, peraltro commesso in un periodo (agosto 2014) nel quale l’associazione dedita al narcotraffico alla quale apparteneva il COGNOME era pienamente operativa.
Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso, richiamando il principio in base al quale «Nell’ipotesi in cui la discrasia tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore materiale relativo all’indicazione della pena nel dispositivo e dall’esame della motivazione sia chiaramente ricostruibile il procedimento seguito dal giudice per pervenire alla sua determinazione, la motivazione prevale sul dispositivo, con conseguente possibilità di rettificare l’errore secondo la procedura prevista dall’art. 619 cod. proc. pen.» (Sez. 2, n. 35424 del 13/07/2022, COGNOME, Rv. 283516 – 01), concludendo nel senso che, nel caso di specie, occorre dare prevalenza alla motivazione, nella parte in cui Ł stato escluso il riconoscimento della continuazione, con conseguente preclusione in fase esecutiva di detto riconoscimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato, e deve dunque essere accolto.
Le motivazioni che il provvedimento impugnato ha posto a fondamento del rigetto della prima parte dell’istanza del condannato (quella di «voler riconoscere la sussistenza del vincolo e, per l’effetto, applicare la disciplina del reato continuato») sono ineccepibili, poichØ, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, «L’applicazione della disciplina della continuazione in sede di esecuzione ha carattere sussidiario e suppletivo ed Ł subordinata alla circostanza che non
sia stata esclusa dal giudice della cognizione» (Sez. 4, n. 10113 del 21/02/2012, Rahem, Rv. 251993 – 01): nel caso di specie il tema relativo alla continuazione Ł stato espressamente oggetto di entrambe le sentenze di merito, sicchØ era certamente precluso al giudice dell’esecuzione il riesame di una questione sulla quale il giudice della cognizione si era già espresso.
Il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto, tuttavia, vagliare con maggiore attenzione la seconda richiesta formulata dal ricorrente («precisare che il disegno criminoso e, quindi, il relativo aumento pari ad anni 1 e mesi 3 di reclusione si intendono riconosciuti anche in relazione al reato di cui all’art. 73 DPR 309/90 giudicato con la sentenza sub 1»).
E’ noto che «Il contrasto tra il dispositivo letto in udienza e la motivazione, non dedotto nella fase di cognizione, non può essere rilevato nella fase esecutiva con la richiesta di correzione di errore materiale» (Sez. 1, n. 20877 del 21/03/2023, COGNOME, Rv. 284503 – 01), sicchØ il giudice dell’esecuzione non avrebbe comunque potuto correggere una discrasia non ritualmente impugnata dal Faccilongo nel giudizio di cognizione.
Si chiedeva, però, al giudice dell’esecuzione di fornire una interpretazione atta a risolvere il contrasto tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza sub 2), esercitando un potere che gli Ł certamente riconosciuto dall’ordinamento.
E’, invero, risalente ed univoco il principio in base al quale «Il giudice dell’esecuzione ha il potere-dovere di interpretare il giudicato e di renderne espliciti il contenuto e i limiti, ricavando dalla sentenza irrevocabile tutti gli elementi, anche non chiaramente espressi, che siano necessari per finalità esecutive e, in particolare, per l’applicazione di cause estintive e per la revoca dei benefici condizionati. (Fattispecie relativa ad omessa indicazione esplicita, da parte dal giudice della cognizione, dell’episodio ritenuto piø grave tra piø violazioni della legge sul controllo degli stupefacenti, costituenti reato continuato: circostanza rilevante ai fini della revoca dell’indulto a norma del D.P.R. 16 dicembre 1986 n. 865)» (Sez. 1, n. 36 del 09/01/1996, COGNOME, Rv. 203816 01); il principio Ł stato successivamente ribadito in fattispecie nella quale si era chiesto al giudice dell’esecuzione di chiarire quale fosse l’estensione dell’area confiscata per effetto della sentenza di applicazione della pena, non coincidente con quella sottoposta a sequestro nel corso delle indagini preliminari (Sez. 1, n. 16039 del 02/02/2016, COGNOME, Rv. 266624 – 01), o, ancora, in un caso in cui il tempo del commesso reato non era indicato in modo puntuale e ben definito nel capo di imputazione («il giudice dell’esecuzione ha l’obbligo di prendere conoscenza dell’articolato della sentenza e, occorrendo, degli atti del procedimento, per ricavarne tutti gli elementi da cui sia possibile trarre la data del reato, ove rilevante ai fini della decisione demandata»: Sez. 1, n. 30609 del 15/04/2014, Raia, Rv. 261087).
La risposta resa, sul punto, dal provvedimento impugnato («l’esclusione del predetto reato in materia di stupefacenti dal medesimo disegno criminoso riconosciuto tra i reati giudicati nel 2014 e quello associativo contestato nel procedimento RAGIONE_SOCIALE Ł frutto di una valutazione compiuta in fase di cognizione, tenuto conto della circostanza innanzi dedotta e della tipologia, tempo e circostanze delle singole violazioni») si espone alle censure sollevate del ricorrente.
Premesso che questa Corte ha in piø occasioni statuito che «Il principio generale secondo il quale, in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione della sentenza incontra una deroga nel caso in cui l’esame della motivazione consenta di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice» (Sez. 2, n. 3186 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258533 – 01; in termini, tra le piø recenti, Sez. 2, n. 35424 del 13/07/2022, COGNOME, Rv. 283516 – 01), deve rilevarsi che nel caso di specie l’entità dell’aumento a titolo di continuazione disposto in relazione ai fatti di cui alla sentenza sub 1) (un anno e tre mesi di reclusione, a fronte di una pena applicata di un anno e quattro mesi di reclusione per i delitti in materia di armi e di un anno e due mesi di reclusione per il delitto in materia di stupefacenti), la completa assenza di qualsiasi
indicazione di segno contrario contenuta nel dispositivo della sentenza sub 2), e, soprattutto, la natura dei reati per i quali era intervenuta condanna nel piø recente giudizio imponevano al giudice dell’esecuzione di chiarire se, nel caso di specie, dovesse riconoscersi prevalenza al dispositivo, che, come si Ł appena ribadito, lascia intendere che la continuazione ha avvinto tutti i reati giudicati nel 2014 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, ovvero alla motivazione, che, alla pagina 1945, lascia invece intendere che l’identità del disegno criminoso Ł stata riconosciuta (con decisione senz’altro eccentrica) solo tra il delitto di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 commesso «dal 2014 all’attualità» e i delitti in materia di armi accertati il 5 agosto 2014, e non anche con il delitto in materia di stupefacenti accertato quello stesso giorno.
Si impone, pertanto, l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio al giudice dell’esecuzione del Tribunale di Bari perchØ, in diversa composizione (Corte cost., sent. n. 183 del 9 luglio 2013), provveda a nuovo giudizio, emendando i rilevati vizi motivazionali, nella piena libertà delle proprie valutazioni di merito.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bari.
Così Ł deciso, 31/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME