Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4598 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 4598  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VILLARICCA il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 17/02/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 17 febbraio 2022, la Corte di appello di Napoli, sezione specializzata per le misure di prevenzione, decidendo quale giudice di rinvio a seguito dell’annullamento del precedente decreto con sentenza di questa Corte del 12 febbraio 2021, confermava il decreto di applicazione della misura di prevenzione reale emesso dal Tribunale di Napoli il 13 febbraio 2019, appellato da NOME COGNOME, in cui si era disposta la confisca delle unità immobiliari site in INDIRIZZO, intestate, appunto, alla sas RAGIONE_SOCIALE di NOME.
1.1. Questa Corte di cassazione, nella citata sentenza di annullamento, aveva osservato che, pur dovendosi ritenere che la provvista finanziaria della RAGIONE_SOCIALE intestataria degli immobili fosse di derivazione familiare e quindi proveniente dal padre della ricorrente NOME COGNOME, uno dei capi del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE omonimo (insieme ai cugini NOME e NOME COGNOME) nei cui confronti era stata accertata la pericolosità sociale qualificata in un ampio arco di tempo, dal 1981 al 2015 (quando era deceduto in carcere) – tanto che anche le quote della società in accomandita era state confiscate – era emerso, che immediatamente prima del loro acquisto, nel 2005, la famiglia COGNOME poteva disporre di una provvista finanziaria derivante da un’attività lecita per circa 130.000 euro, prossima, quindi, al valore d’acquisto degli immobili (euro 168.000).
Considerava, questa Corte, che, in ordine a tale disponibilità, ed al conseguente giudizio di sproporzione con gli acquisti immobiliari realizzati, la Corte d’appello non aveva adeguatamente motivato.
1.1. La Corte territoriale, nel nuovo provvedimento, confermava il decreto di confisca, osservando come tutti i proventi ascrivibili a NOME COGNOME (e, a cascata, ai suoi familiari, che non disponevano di autonomi ricavi) erano di illecita provenienza – derivando dal suo ruolo di vertice nell’RAGIONE_SOCIALE – e che la medesima Corte, nel decreto annullato (a pag. 16), si era limitata a riportare quanto affermato dalla difesa, ovverossia che la famiglia del COGNOME godeva, al 12 maggio 2005 (la data di acquisto degli immobili), di una disponibilità finanziaria di euro 130.000, un assunto difensivo che, però, la Corte non aveva affatto condiviso, tanto da confermare il vincolo sui beni.
Doveva, infatti, considerarsi che l’attività assicurativa da cui gli stess sarebbero derivati non aveva generato, invero, alcun guadagno (ma solo ricavi, pareggiati dai costi) e che la sua formale intestataria, NOME COGNOME, in allora di anni 21, non godeva di alcun ulteriore reddito.
Propone ricorso la prevenuta, a mezzo del proprio difensore, articolando le proprie censure in tre motivi.
2.1. Con il primo deduce la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 624, comma 1, 627, commi 2 e 3, cod. proc. pen. e 173, comma 2, disp att. cod. proc. pen., per il mancato rispetto del vincolo discendente dalla sentenza di annullamento.
La Corte suprema, infatti, aveva osservato come fosse pervenuta, in epoca prossima agli acquisti, una provvista lecita in misura di poco inferiore al valore degli stessi. Così che si sarebbe potuto mantenere il vincolo solo qualora si fosse dimostrato che la stessa era stata impiegata per diverse finalità.
La provenienza lecita della somma in questione, di 130.000 euro, era già stata verificata dalla stessa Corte territoriale, nel precedente provvedimento, come si era osservato nella stessa sentenza di annullamento.
Sul fatto, pertanto, si era formato il giudicato interno.
E, invece, la Corte territoriale aveva varcato tale limite decisorio, affermando, peraltro apoditticamente, che tutte le disponibilità finanziarie di NOME avevano tratto origine dalla sua attività illecita, condotta come capo del RAGIONE_SOCIALE.
Un assunto, peraltro, che aveva trovato smentita nella stessa precedente decisione della Corte d’appello, non annullata sul punto, ove si era disposta la revoca di alcune confische proprio sulla scorta dei proventi leciti (dichiarati al fisco che, NOME COGNOME prima e la figlia NOME poi, avevano tratto dalla loro attività di assicuratori, oltre che da altre fonti (i redditi da immobili perven da eredità ed altre disponibilità).
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge, ed in particolare degli artt. 624, comma 1, 627, commi 2 e 3, cod. proc. pen. e 173, comma 2, disp att. cod. proc. pen., ancora per il mancato rispetto del vincolo discendente dalla sentenza di annullamento.
La Corte territoriale aveva del tutto omesso la verifica che la Corte di cassazione aveva richiesto: la già ritenuta sproporzione fra le somme impiegate negli acquisti degli immobili confiscati e la disponibilità della predetta somma, considerata come di lecita provenienza.
La difesa aveva prodotto a tale riguardo una consulenza esplicativa che la Corte aveva del tutto trascurato.
2.3. Con il terzo motivo denuncia la motivazione apparente del decreto della Corte distrettuale.
La Corte distrettuale aveva eluso le ragioni di annullamento della precedente pronuncia, rivalutando un punto già dato per acquisito, la provenienza lecita degli euro 130.000, e non operando la verifica demandatale dal giudice di legittimità.
Con una motivazione peraltro apodittica e quindi del tutto apparente.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha inviato nota scritta con la quale ha concluso per l’annullamento del decreto impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME è fondato.
NOME COGNOME era stato ritenuto persona socialmente pericolosa, ai sensi dell’art. 4, comma 1 lett. a), d.lgs. n. 159/2011, quale indiziato di appartenere ad una RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 416 bis cod. pen. e, ancor più concretamente, lo si era ritenuto uno dei vertici del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, attivo, lo stesso proposto, per un lunghissimo periodo di tempo, dal 1981 al 2015, quando era deceduto.
L’accertamento della sua pericolosità sociale era avvenuto, come consente l’art. 18 del citato d.lgs. in riferimento alle misure di prevenzione patrimoniali, i epoca successiva al suo decesso.
Si era così pervenuti alla confisca di una pluralità di beni a lui riconducibili anche se ad altri intestati – ritenendone, ai sensi dell’art. 24 del medesimo d.lgs., l’acquisto sproporzionato al reddito lecito maturato (da un’attività assicurativa e da altre fonti) in quello stesso periodo di tempo.
La Prima sezione di questa Corte aveva osservato, nella sentenza di annullamento, come, nel decreto impugnato (del 19 maggio 2020), la Corte territoriale avesse rilevato, trattando (alle pg. 15 e 16) delle tre unità immobiliar site nella INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE, acquistate il 12 maggio 2005, dalla sas RAGIONE_SOCIALE (società di famiglia, e quindi riconducibile al proposto, seppure fittiziamente intestata alla figlia, odierna ricorrente):
 come il corrispettivo versato fosse stato pari a 168.000 euro;
 e che “al 12 maggio 2005 la famiglia COGNOMENOME poteva disporre, a tutto voler concedere (e quindi, non confutando l’assunto difensivo, relativo alla disponibilità,
lecita, di tale somma, riveniente dalla consulenza contabile di parte), di 130 mila euro in tutto, di cui 112 mila residui dell’anno precedente”.
Ed era proprio in relazione a tale accertata disponibilità che la Prima sezione aveva rilevato il vizio di motivazione in riferimento, appunto, alla non saggiata sproporzione della stessa con l’acquisto degli immobili intestati alla RAGIONE_SOCIALE.
Sollecitando così il giudice del rinvio a colmare la lacuna motivazionale.
E, invece, la Corte, nella nuova decisione del 4 luglio 2023, si era limitata ad affermare, come si è visto, che tutte le disponibilità finanziarie acquisite nel tempo (dal 1981 al 2015) da NOME COGNOME, e dai suoi familiari, altro non erano che i proventi delle sue illecite attività, consentitegli dall’appartenenza al RAGIONE_SOCIALE.
Così non solo non colmando il vizio di motivazione rilevato dalla Prima sezione ma contraddicendo anche il proprio precedente decreto, che era stato annullato con rinvio nella sola parte in cui si era confermato il vincolo degli immobili, di cui si è detto, di INDIRIZZO.
Nel precedente provvedimento, infatti, neppure impugnato sul punto dalla pubblica accusa, si era revocata la confisca, disposta dal Tribunale di Napoli, di un immobile, sito sempre in INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE, acquistato il 23 dicembre 1989 da NOME COGNOME (la moglie di NOME COGNOME), perché non lo si era ritenuto sproporzionato al reddito, lecito, ottenuto dall’intestataria e da proposto dall’attività assicurativa che, nello stesso 1989, COGNOME aveva iniziato, dichiarando così al fisco, i due coniugi complessivamente, un reddito (al netto dei costi) di 27 milioni di lire, a cui si era aggiunta una donazione, da un familiare della COGNOME, di lire 17.770.000.
Si era poi anche osservato, sempre in relazione all’immobile la cui confisca era stata revocata, che il susseguente mutuo non era eccedente i redditi ulteriormente conseguiti dai coniugi COGNOME, visto che gli stessi, dal 1990 al 1992, avevano conseguito la somma totale di 88 milioni di lire derivante dall’affitto di un fabbricato e che, comunque, dal 1990 al 2004, avevano maturato redditi, sempre leciti e dichiarati, che avevano consentito loro di pagare le rate del prestito di 22 milioni di lire annui fino al 1999 e di 6 milioni di lire nel prosieguo.
E’ allora evidente come debba considerarsi smentito (dalla stessa Corte territoriale nel precedente decreto) l’assunto da cui muove il provvedimento oggi impugnato, la riconducibilità di tutti i proventi di NOME COGNOME, e dei suo familiari, e quindi anche della figlia NOME COGNOME, odierna ricorrente, dall’attività criminale del medesimo.
Il decreto impugnato va pertanto annullato per il medesimo vizio motivazionale già rilevato dalla Prima sezione.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
Così deciso, in Roma il 23 novembre 2023.