Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19199 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19199 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a MARANO DI NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a REGGIO EMILIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/12/2021 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME], che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi. udito il difensore degli imputati, AVV_NOTAIO, il quale si è riportato integralmente ai motivi dei ricorsi e ha insistito per l’accoglimento degli stessi.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza del 14 dicembre 2021 con cui la Corte d’assise d’appello di Napoli, giudicando su rinvio disposto dalla prima sezione di questa Corte, ha confermato la decisione di primo grado con cui COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati condannati alla pena dell’ergastolo per i reati di seguito indicati.
In sintesi, prima della sentenza di annullamento con rinvio della quale si dirà infra sub 1.1, COGNOME NOME era stato condannato per il concorso nel tentato omicidio premeditato di COGNOME NOME e dei connessi reati relativi alle armi, commessi nel mese di settembre 2004 (capi A e B); COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati condannati per il delitto di concorso in omicidio, premeditato ed aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 1, cod. pen., di COGNOME NOME e COGNOME NOME, uccisi con numerosi colpi di mitraglietta e di pistola il 28 ottobre 2004, nonché dei connessi reati relativi alle armi; in detto omicidio, COGNOME NOME era indicato come uno dei mandanti, mentre COGNOME NOME e COGNOME NOME come facenti parte del gruppo che aveva realizzato l’agguato, benché da loro non materialmente commesso (capi C e D).
La responsabilità degli imputati era stata affermata sulla base di dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia. COGNOME i giudici di merito, l’omicidio di COGNOME NOME era stato deciso per colpire NOME COGNOME, a capo dell’omonimo clan, di cui COGNOME era stretto collaboratore; al clan COGNOME si contrapponevano gli scissionisti, guidati da NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché gli storici vertici del clan, ossia NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e i loro collaboratori NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
1.1 Più in particolare, con sentenza n. 18718 del 4 dicembre 2017, dep. 2018, per quanto ancora rileva, la I sezione di questa Corte ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’assise d’appello di Napoli del 23 settembre 2016, che aveva confermato la già menzionata decisione di condanna del g.u.p, del Tribunale di Napoli. La I sezione ha ritenuto che il giudice di secondo grado avesse eluso una serie di questioni sollevate dagli appellanti in ordine alla valutazione del narrato dei vari collaboratori, sostanzialmente ignorando le difformità tra le varie dichiarazioni, ma anche la complessità di quanto avvenuto nel 2004, anno in cui si susseguirono, di volta in volta, il “riposizionamento” di numerosi soggetti all’interno dei gruppi camorristici, accordi, tentativi di tregua, oltre a vari delitti.
Più nel dettaglio, la I sezione ha colto due profili nei quali la motivazione della Corte territoriale era stata elusiva: il motivo per cui era stato deciso l’omicidio di NOME COGNOME, indicato da NOME COGNOME, dapprima, come risposta a quello di NOME COGNOME e, solo in un secondo momento, come reazione a quello (precedente) di COGNOME, nonché l’epoca e il numero dei viaggi in Spagna di NOME COGNOME (non si intendeva se uno o due, né era stata precisata l’epoca: se gennaio e/o settembre 2004).
La sentenza di annullamento ha ritenuto semplicistica, per le ragioni che verranno di seguito illustrate, la risposta della Corte territoriale su quest’ultimo punto (a parere della Corte territoriale, i viaggi in Spagna erano frequentissimi e, verosimilmente, NOME COGNOME ne aveva fatti più di uno, cosicché ciascuno dei collaboratori di giustizia aveva riferito su quello di cui era a conoscenza).
Inoltre, secondo la I sezione, la sentenza annullata non aveva affrontato le conseguenze della modifica della versione di NOME COGNOME: non si era posta, cioè, la domanda se le persone alle quali il COGNOME stesso si era rivolto –COGNOME, COGNOME e COGNOME-, alla data dell’omicidio, fossero interlocutori possibili del primo, posto che essi, all’epoca, erano ancora legati a NOME COGNOME, soprattutto perché era stato proprio COGNOME ad eseguire l’omicidio di NOME COGNOME, che aveva provocato, come reazione, la decisione di uccidere il COGNOME:aNOME.
La I sezione ha osservato che non era stato risolto in maniera convincente ed esplicita il quesito di fondo su chi avesse deciso l’omicidio di NOME COGNOME, e quando. COGNOME NOME COGNOME, la decisione – con l’individuazione dell’obiettivo dell’agguato – era stata presa da lui stesso insieme a NOME e NOME COGNOME in una “riunione operativa” tenuta in una gabbia dell’aula di udienza nel mese di aprile 2004, con l’immediata comunicazione ad NOME COGNOME e a COGNOME NOME, presenti in aula. Il collaboratore NOME COGNOME, invece, aveva indicato i soggetti che avevano deciso l’omicidio COGNOME in NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; i COGNOME e gli COGNOME “erano a conoscenza di questa cosa”, “erano d’accordo”. La notizia circa l’accordo di NOME COGNOME non proveniva, però, direttamente da NOME COGNOME (che NOME COGNOME aveva indicato come destinatario del mandato ad uccidere COGNOME da lui manifestato in aula), ma dal fratello NOME, che si recava ai colloqui in carcere con NOME.
Anche il motivo dell’individuazione di COGNOME come vittima era variamente presentato dai collaboratori, i quali avevano riferito che egli era stato ucciso perché stretto collaboratore di NOME COGNOME o perché era stato incaricato di uccidere COGNOME e COGNOME (come sostenuto dal collaboratore NOME COGNOME), o addirittura perché NOME COGNOME aveva motivi personali di rancore nei suoi confronti, ovvero perché NOME COGNOME aveva insistito per questa decisione con NOME
COGNOME: il tema, osserva la sentenza rescindente, non era stato affrontato dalla sentenza impugnata.
La I sezione ha, altresì, sottolineato che la ritenuta coeren2:a del narrato del collaboratore NOME COGNOME con le dichiarazioni di NOME COGNOME era stata argomentata in termini superficiali. Infatti, NOME COGNOME aveva fatto riferimento a numerosi colloqui, alla discesa definitiva di NOME COGNOME COGNOME Napoli solo alla fine del mese di settembre 2004 (quando il tentato omicidio di COGNOME NOME era già stato eseguito), alla “prova di amore” che NOME COGNOME COGNOMEche era il suo capo diretto) e NOME COGNOME volevano dare a NOME COGNOME e a NOME COGNOME (quindi a un movente dell’omicidio diverso dall’esecuzione dell’ordine proveniente da NOME COGNOME e NOME COGNOME), alle discussioni in ordine all’obbiettivo dell’agguato, proseguite fino all’ultimo (l’obbiettivo alternativo a COGNOME erano i figli di COGNOME).
Di fronte al racconto della discussione finale circa l’obbiettivo ultimo dell’agguato, la figura di NOME COGNOME e, ancora di più, quella di NOME COGNOME, risultano del tutto evanescenti, mentre la “sentenza di morte”, pronunciata nell’aula in cui si celebrava il processo nel mese di maggio 2004, era del tutto assente.
Ulteriore vizio argomentativo è stato colto dalla sentenza rescindente con riguardo alla posizione di NOME COGNOME, in ordine alle modalità con cui NOME COGNOME era giunto ad indicarlo come partecipe dell’organizzazione dell’agguato (da ciò traendosi altresì il riscontro che NOME COGNOME era uno dei mandanti): in particolare, non era stato affrontato dalla sentenza impugnata il tema dell’incomprensione, da parte del collaboratore, delle domande a lui rivolte dal P.M. (nelle trascrizioni integrali delle dichiarazioni del collaboratore COGNOME emergeva che gli COGNOME, di cui NOME era indicato come rappresentante, erano d’accordo sulla scissione, che, comunque, essi erano detenuti e che il nipote di COGNOME era latitante; l’identificazione di NOME COGNOME nel nipote era stata sostanzialmente compiuta dal P.M., mentre questi è il figlio, non già il nipote, di COGNOME NOME, laddove NOME COGNOME è il nipote).
Ancora: era rimasto irrisolto il problema – quanto a NOME COGNOME – della rispondenza della prova esposta in sentenza al disposto dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.: in effetti, a fronte delle dichiarazioni di NOME COGNOME, a suo dire “testimone” diretto del consenso dato da NOME COGNOME all’omicidio COGNOME, si collocano quelle de relato di NOME COGNOME, la cui fonte di conoscenza non è indicata ed è comunque, incerta, addirittura non apparendovi certezza se il consenso di NOME COGNOME all’esecuzione dell’omicidio fosse, almeno in parte, presunto dal collaboratore, o desunto da una valutazione complessiva del “quadro” in movimento di cui faceva parte.
Neppure erano state valutate – osserva la I sezione – le dic:hiarazioni di altri collaboratori, tra cui quelle di NOME COGNOME – secondo il quale gli COGNOME erano del tutto estranei alla decisione di uccidere COGNOME COGNOME e di NOME COGNOME per il quale la decisione dell’omicidio era stata decisa da NOME COGNOME all’insaputa di NOME COGNOME.
COGNOME la sentenza di annullamento con rinvio, l’incertezza relativa alla posizione di NOME COGNOME si ripercuoteva inevitabilmente anche su quella di NOME COGNOME: l’affermazione secondo cui le dichiarazioni di NOME COGNOME sono riscontrate da quelle di NOME COGNOME e da quelle di NOME COGNOME (rese dopo la sentenza di primo grado) non sembrano tenere conto – osserva la I sezione – delle specifiche contestazioni sull’attendibilità del COGNOME mosse dalla difesa di NOME COGNOME, sul silenzio di COGNOME in ordine all’incontro nel quale era stato chiesto l’ausilio dello stesso COGNOME, sul possibile significato della mancata partecipazione volontaria di COGNOME e COGNOME all’omicidio nonostante la loro designazione quali esecutori materiali, sulla dipendenza delle dichiarazioni di COGNOME da quelle di NOME COGNOME, che era la sua fonte di conoscenza, sulla sua dipendenza operativa da NOME COGNOME.
Ulteriori criticità sono state colte quanto alla posizione di NOME COGNOME, sia con riguardo all’epoca e al numero dei viaggi in Spagna attribuiti all’imputato, sia quanto al suo ruolo quale “portavoce” di NOME COGNOME, lacIdove – come si è detto – NOME COGNOME avrebbe comunicato la decisione di far uccidere COGNOME direttamente a COGNOME ed COGNOME.
COGNOME la I sezione, se è vero che NOME COGNOME non aveva negato il ruolo del fratello, è anche vero che le sue dichiarazioni sembrano configurare un percorso diverso, se non alternativo, tanto più ove si consideri che le date e i partecipanti ai viaggi in Spagna, diversamente riferiti dai vari collaboratori, portano con sé ricostruzioni differenti delle dinamiche decisionali e non possono essere semplicemente oggetto di una sommatoria: in particolare, secondo il collaboratore NOME COGNOME, NOME COGNOME non aveva affatto portato in Spagna il consenso del fratello NOME ad uccidere COGNOME, ma solo quello ad iniziare la guerra contro NOME COGNOME, in un momento in cui il progetto omicidiario e l’obiettivo non erano stati ancora definiti. Il ruolo limitato di NOME COGNOME, secondo la I sezione, emerge infine anche da quanto riferito da NOME COGNOME e NOME COGNOME, anche con riferimento alla fase esecutiva del delitto.
Con sentenza del 14 dicembre 2021 la Corte d’assise d’appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, sottolineando la convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME) sul nucleo essenziale del racconto, caratterizzato dalla
scelta, condivisa da tutte le famiglie criminali coinvolte, di colpire la gestione ritenuta vessatoria di NOME COGNOME attraverso l’eliminazione di un suo uomo di fiducia, con un omicidio dal valore altamente simbolico. In questa prospettiva, secondo la sentenza del giudizio rescissorio, la costanza e la c:onvergenza delle dichiarazioni non risultano scalfite dalle marginali inesattezze circa la collocazione temporale del delitto, alla luce del convulso susseguirsi di fatti di sangue.
Nell’interesse degli imputati sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
4. Ricorso NOME COGNOME
4.1. Col primo motivo, si deduce violazione di legge, con riferimento agli artt. 125 e 546 del codice di rito, e vizio di motivazione, per essersi la Corte territoriale limitata a richiamare integralmente la motivazione del giudice di primo grado, senza replicare in nessun modo agli specifici motivi di impugnazione, che la difesa ripercorre nelle prime trenta pagine del ricorso. La Corte, dopo aver proceduto a una mera sintesi delle dichiarazioni dei collaboratori, avrebbe reso argomentazioni illogiche o, comunque, difficilmente comprensibili. In particolare, sarebbero state tralasciate le divergenti versioni dei collaboratori di giustizia circa il numero e le epoche dei viaggi in Spagna effettuati dal ricorrente; ricorda la difesa come tale profilo rivesta un’enorme importanza, atteso che, secondo alcuni collaboratori, il fine dei viaggi in Spagna era quello di esprimere il consenso di NOME COGNOME a uccidere il COGNOME, secondo altri, invece, era quello di intavolare la guerra contro NOME COGNOME NOME, nell’ottica scissionista, senza che ciò significasse anche definire il progetto di omicidio del COGNOME.
Soprattutto, la Corte territoriale non avrebbe considerato il più complesso quadro risultante dalla scelta collaborativa di NOME COGNOME e dalla assoluzione dei fratelli di NOME COGNOME, NOME e NOME. Il COGNOME, infatti, ha indicato il ricorrente come mero portavoce del fratello detenuto per “fare la scissione”, smentendo così quanto già riferito dal collaboratore NOME COGNOME, le cui dichiarazioni sono state ritenute decisive dalla Corte territoriale per affermare la responsabilità del ricorrente per il delitto ascritto.
4.2. Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizlo di motivazione, con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e per avere la Corte ritenuto sussistente la circostanza aggravante della futilità del motivo essendo il fatto stato commesso nell’ambito dello scontro tra opposte fazioni. Osserva a tal proposito la difesa che, nella logica criminale, lo scontro tra opposte fazioni non costituisce affatto un futile motivo, ove si considerino il
contesto sociale in cui si è verificato l’evento e le connotazioni culturali dell’imputato. In subordine, si chiede l’assorbimento della contestata aggravante di cui all’art. 61, n. 1, cod. pen. in quella di cui all’art. 416-bis.1, cod. pen. contesta, infine, la circostanza di cui all’art. 7 del dl. n. 152 dee 1991, conv. con I. n. 203 del 1991, sia perché il movente, secondo gli stessi giudici di merito, non sarebbe stato accertato, sia perché la condotta sarebbe stata diretta a favorire un’associazione non ancora operante. Si chiede, infine, previa declaratoria di assorbimento del reato di detenzione in quello di porto dell’arma, la declaratoria di prescrizione del reato di cui al capo D).
5. Il ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME
5.1. Il primo motivo riproduce, nella prima parte, le medesime censure di taglio generale, di cui al primo motivo del ricorso precedente, relative alla violazione di legge e al vizio di motivazione, per essersi la Corte territoriale limitata a richiamare integralmente la motivazione del giudice di primo grado. Richiamate in termini analitici le doglianze sviluppate nell’originario atto di appello, osservano i ricorrenti come la sentenza impugnata, nonostante, come sopra rilevato sub 4.1., l’arricchimento del quadro valutativo in dipendenza della collaborazione del COGNOME – il cui apporto è completamente ignorato – e della ricordata pronuncia assolutoria, non si sia confrontata con le aporie ricostruttive sottolineate dalla sentenza rescindente, già illustrate.
Aggiunge la difesa che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il contributo dichiarativo dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME non sarebbe affatto univoco, emergendo invece dal narrato dei tre collaboratori divergenze insanabili circa il ruolo di NOME COGNOME; in particolare, la chiamata in reità da parte del COGNOME non troverebbe riscontro nelle dichiarazioni di COGNOME ed COGNOME, dalle quali non si evince la partecipazione del ricorrente al duplice omicidio ascritto.
Del pari immotivatamente disattese sarebbero state le censure difensive tese a illustrare come neppure le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME potessero fungere da riscontro alle dichiarazioni del COGNOME, dal momento che la fonte del primo è proprio quest’ultimo. Inoltre, le dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME non corroborerebbero affatto il narrato del COGNOME.
Aggiunge il ricorso che sono stati del tutto ignorati gli argomenti difensivi concernenti l’imputazione di cui al capo A).
5.2. Il secondo motivo è speculare al secondo motivo del primo ricorso.
All’udienza del 15 febbraio 2024 si è svolta la discussione orale.
Considerato in diritto
Il primo, assorbente motivo di entrambi i ricorsi è fondato e comporta l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
In limine, mette conto ribadire il consolidato orientamento di questa Corte in ordine ai poteri cognitivi del giudice del rinvio in caso di annullamento per vizio di motivazione. Alla luce di tale orientamento, il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla legge consistenti nel non ripetere il percorso logico già censurato, spettandogli il compito esclusivo di ricostruire i dati di fatto risultanti dall emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, Rv. 271345), con l’unico divieto, dunque, di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione e con l’obbligo di conformarsi all’interpretazione offerta dal giudice di legittimità alla questione di diritto (Sez. 2, n. 27116 del 22/05/2014, Grande Aracri, Rv. 259811). Il giudice del rinvio, pertanto, è legittimato a rivisitare il fatto con pieno apprezzamento e autonomia di giudizio e, in esito alla compiuta rivisitazione, addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito o condividerne le conclusioni purché motivi il proprio convincimento sulla base di argomentazioni diverse da quelle ritenute illogiche o carenti in sede di legittimità, mentre eventuali elementi di fatto e valutazioni contenute nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice del rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine dell’individuazione del vizio o dei vizi segnalati e non, quindi, come dati che si impongono per la decisione demandatagli (Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, Gambino, Rv. 248413; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Le Voci, Rv. 278629 – 02), posto che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Knox, Rv. 264861). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ora, l’analitica ricostruzione della portata dell’annullamento con rinvio, quale operata in principio, serve ad illustrare l’area amplissima delle questioni che la sentenza oggi impugnata ha lasciato irrisolte, limitandosi a riprodurre una sintesi delle dichiarazioni di alcuni collaboratori e a trarne assertive conclusioni non fondate su una valutazione critica dei diversi apporti narrativi e sul modo di
conciliarne, se possibile, le aporie, superando le opacità logiche lasciate aperte dalla diversità dei racconti.
A tacere dell’assenza di qualunque approfondimento sugli sviluppi istruttori successivi – quali, ad es., le dichiarazioni del COGNOME -, si rileva che la Corte d’assise d’appello finisce per risolvere semplicisticamente l’ampia messe di incongruenze sopra ricordate con la generica considerazione dei ricordi selettivi e della coincidenza sul nucleo essenziale del narrato, che, inadeguata in generale, è del tutto inappagante rispetto alle puntuali indicazioni critiche della sentenza di annullamento con rinvio: queste, lungi dal tradursi in incursioni nel merito, rappresentano delle criticità che intaccano la struttura argomentativa del ragionamento e che impongono una analitica e adeguata considerazione da parte del giudice del rinvio.
Rispetto ad una motivazione assolutamente disallineata dalle indicazioni della sentenza rescindente, l’unico esito è, come detto, quello dell’annullamento con rinvio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’assise d’appello di Napoli.
Così deciso il 15/02/2024