Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 14854 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 14854 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
quinquies) perchØ i fatti non costituiscono reato, rideterminava la pena in anni due mesi otto di reclusione, con revoca della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per anni cinque; Relatore: COGNOME NOME Data Udienza: 26/02/2025
in relazione all’imputato COGNOME rideterminava la pena per il capo 10) di imputazione in
anni due mesi dieci di reclusione;
in relazione all’imputato NOMECOGNOME ferma la riqualificazione del reato sub capo 1) in concorso esterno in associazione mafiosa e l’esclusione delle aggravanti di cui all’art. 416 bis, comma quarto e sesto, cod. pen., confermava la pena di anni sei mesi otto di reclusione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale in relazione al punto della decisione con cui la Corte di appello, in sede di giudizio di rinvio, teneva ‘ferma’ la pronuncia di assoluzione degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione ai delitti sub capi 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies) rubricati ai sensi dell’art. 512-bis cod. pen. perchØ i fatti non costituiscono reato.
Con riferimento a tale statuizione, deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 627 codice di rito.
Espone il ricorrente che, avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Bologna in data 16/06/2022, l’ufficio della Procura Generale aveva proposto ricorso per cassazione con riferimento alla statuizione con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati assolti per i delitti di cui ai capi 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies) rubricati ai sensi dell’art. 512-bis cod. pen. perchØ i fatti non costituivano reato e che, al riguardo, erano stati articolati cinque motivi deducendo, sotto vari profili, la violazione di legge ed il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto non raggiunta la prova del c.d. dolo elusivo in relazione a tali addebiti.
In ragione di tale impugnazione, la Corte di Cassazione con pronuncia del 27/06/2023 annullava con rinvio per nuovo giudizio la sentenza della Corte di appello di Bologna del 16 giugno 2022 nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME relativamente ai reati di cui ai capi 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies), così si legge nel dispositivo.
Nella motivazione, i giudici di legittimità (paragrafo 18 del ‘considerato in diritto’) affermavano la fondatezza del ricorso proposto dalla Procura Generale in relazione a tali addebiti.
Tuttavia, omettevano di pronunciarsi sugli specifici motivi di ricorso proposti sotto il profilo dell’elemento soggettivo che era stato escluso dai giudici di appello (con conseguente pronuncia assolutoria con la formula perchØ i fatti non costituivano reato) e, con motivazione del tutto eccentrica rispetto alle doglianze dedotte, censurava la sentenza impugnata (perchØ gravemente contraddittoria) nella parte in cui era stata esclusa ‘l’ aggravante speciale della agevolazione mafiosa contestata nei capi di imputazione 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies) con conseguente declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione.
Rileva il ricorrente che tale percorso argomentativo era palesemente erroneo poichØ in relazione agli addebiti di cui sopra la sentenza di appello impugnata dal Procuratore generale era pervenuta ad un proscioglimento nel merito per difetto di dolo (e proprio su tale specifico tema vertevano i motivi di ricorso), mentre la declaratoria di prescrizione, quale conseguenza della esclusione della aggravante mafiosa, era stata pronunciata con riferimento ai diversi reati sub capi 12,13 e 14 contestati ad altro imputato (NOME COGNOME ed oggetto di un secondo ricorso per cassazione proposto dalla Procura generale.
A fronte di tale evidente errore motivazionale, la sentenza emessa in sede di rinvio ha ritenuto che la pronunzia di assoluzione per difetto di dolo per i reati contestati ai capi di imputazione 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies) fosse divenuta irrevocabile.
Secondo il ricorrente, ciò Ł erroneo poichŁ, sulla scorta del dispositivo della pronuncia di legittimità (che prevale sulla motivazione), può affermarsi che anche i motivi proposti dal Procuratore generale (focalizzati sul tema dell’elemento soggettivo) erano stati accolti diversamente nessun senso avrebbe avuto l’espressa statuizione di annullamento con rinvio della sentenza sottoposta a scrutinio nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME Cesare relativamente ai reati di cui ai capi 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies).
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato NOME COGNOMEtramite il difensore di fiducia, articolando due motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla rideterminazione della pena.
Rileva il ricorrente che la Corte territoriale, in sede di rivisitazione del trattamento sanzionatorio a seguito di parziale accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale, ha omesso di espungere l’aumento di pena già applicato in relazione al capo 17 di imputazione, riqualificato da estorsione in usura aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. con la prima sentenza di appello, tuttavia annullata sul punto dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 522 cod. proc. pen., con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna.
3.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen. violazione di legge nonchØ omessa, contradittoria e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. per i capi di imputazione 12), 13) e 14) rubricati ai sensi dell’art. 512-bis cod. pen.
La Corte territoriale ha fondato l’aggravante in questione sul contenuto di conversazioni intercettate e sul fatto che le modifiche delle quote societarie erano state realizzate contestualmente ai colloqui in carcere di cui COGNOME NOME aveva usufruito con il padre NOME COGNOME NOME (definitivamente condannato, poco prima della realizzazione di tali reati, per il reato di associazione mafiosa), da ciò desumendo che il meccanismo delle intestazioni fittizie fosse finalizzato ad agevolare il sodalizio e che di ciò l’imputato fosse pienamente conscio.
Rileva la difesa ricorrente che dei colloqui in carcere non si conosce il contenuto, che essi erano non erano avvenuti in prossimità delle modifiche societarie, che le conversazioni intercettate risalgono ad un periodo (2011) in cui nei confronti di COGNOME era stato dichiarato il non luogo a procedere per il delitto associativo poichØ, a fronte di un decreto di archiviazione emesso in relazione ad un precedente procedimento iscritto per tale reato, non era seguito un provvedimento di riapertura di indagini.
In ogni caso, la consapevolezza della fittizietà delle intestazioni non significa anche consapevolezza che le stesse fossero volte ad agevolare il sodalizio mafioso; al contrario, tali operazioni erano dirette a favorire non l’intera organizzazione bensì la singola persona di COGNOME.
3.3.Con motivi nuovi tempestivamente depositati, la difesa, quanto al primo profilo di impugnazione relativo alla determinazione della pena, allega l’avviso di conclusioni indagini emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna con il quale, al capo 2), viene addebitato a COGNOME Salvatore il fatto già oggetto dell’addebito sub capo 17) originariamente configurato in termini di estorsione, con successiva riqualificazione in usura aggravata dalla metodologia mafiosa ad opera della prima sentenza di appello, poi annullata dai giudici di legittimità.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato COGNOME NOME, tramite il difensore di fiducia, articolando un unico motivo con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e), cod. proc. pen. l’erronea applicazione dell’art. 130 del codice di rito.
La sentenza impugnata (pag. 86 della motivazione) ha rilevato che la pena finale nei confronti di COGNOME NOME era stata indicata nella prima pronuncia di appello in ‘anni quattro mesi sei di reclusione’ e che, per mero errore aritmetico, la successiva riduzione per il rito abbreviato era stata erroneamente calcolata, sia in dispositivo, che in motivazione, in ‘anni due mesi dieci di reclusione’ anzichØ in quella di anni tre di reclusione, misura nella quale ha quindi rideterminato la sanzione.
Rileva il ricorrente che la correzione di errore materiale Ł disposta dal giudice che ha emesso il provvedimento, qualora l’eliminazione dell’errore non comporti una sostanziale modifica ovvero una sostituzione della decisione già assunta.
Nel caso di specie l’errore, in quanto incidente sulla quantificazione della pena e comportante la maggiorazione della stessa, non era emendabile con la procedura di correzione, ma avrebbe dovuto formare oggetto di impugnazione della sentenza da parte della pubblica accusa.
La modifica operata dalla Corte di appello ha quindi determinato una palese violazione del divieto di reformatio in peius.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato COGNOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, articolando due motivi.
5.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen., il vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto il profilo della manifesta illogicità, per avere la Corte di appello confermato la responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di cui al capo 7) rubricato ai sensi dell’art. 512 bis cod. pen. sulla base di argomentazioni interamente sovrapponibili a quelle espresse dalla prima sentenza di secondo grado che i giudici di legittimità avevano ritenuto meramente assertive e non sufficienti a comprovare in capo all’imputato l’elemento soggettivo del reato e cioŁ il c.d. dolo elusivo e la ricorrenza della aggravante della agevolazione mafiosa.
Con la pronuncia di annullamento con rinvio la Corte di cassazione aveva rilevato come la prima sentenza di appello avesse sostanzialmente esteso all’imputato, in maniera impropria, valutazioni e considerazioni che attenevano al fratello NOME, in particolare evidenziando che i giudici di merito avevano sottaciuto la circostanza che, con riferimento ai periodi di commissione del reato de quo, risalente agli anni 2006 e 2009, i collaboratori di giustizia non avevano fatto menzione di NOME COGNOME e nel collegato processo Aemilia non erano emersi elementi utili. Difettavano, quindi, dati probatori, riferibili all’imputato, idonei a comprovare che lo stesso avesse agito con la chiara consapevolezza che la finalità elusiva delle operazioni di intestazione di quote societarie fosse quella di agevolare il sodalizio mafioso diretto da NOME COGNOME.
Alla affermata necessità di colmare la lacuna motivazionale in ordine alla sussistenza del dolo elusivo e della relativa contestata aggravante, la Corte di merito non ha provveduto, limitandosi a ripercorre sul punto l’iter argomentativo della sentenza annullata.
Con riferimento all’elemento soggettivo, i giudici di appello hanno ripreso argomentazioni circa il ruolo svolto da RAGIONE_SOCIALE all’interno della società RAGIONE_SOCIALE (al quale era riconducibile parte delle quote) e la interscambiabilità di NOME COGNOME con il fratello NOME, che già la Corte di Cassazione aveva ritenuto non pertinenti, hanno omesso di considerare che il ricorrente non Ł mai stato neppure indagato per il delitto associativo; hanno desunto la finalità di elusione di possibili provvedimenti ablativi nei confronti di Grande Aracri, richiamando una vicenda già valorizzata nella sentenza annullata, rispetto alla quale Ł, tuttavia intervenuta assoluzione degli imputati per insussistenza del relativo reato di estorsione contestato e che si colloca in un ambito temporale ( tra settembre 2015 e marzo 2016) successivo di ben dieci anni alla intestazione fittizia della RAGIONE_SOCIALE
Gli eventuali rapporti intrattenuti, per motivi di lavoro, da NOME COGNOME con presunti appartenenti alla cosca emiliana nell’anno 2016 sono privi di rilievo, così come lo Ł il fatto che
l’imputato abbia operato in maniera attiva nell’ambito della gestione della discoteca RAGIONE_SOCIALE (rientrante nell’oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE) unitamente al fratello NOME e al coimputato NOME COGNOME.
L’ampio risalto attribuito al ruolo criminale assunto da NOME COGNOME Ł circostanza smentita dal fatto che la condanna di costui per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. nasce da una notizia di reato iscritta solo nell’anno 2019.
Sono stati valorizzati anche i procedimenti giudiziari avviati, già nell’anno 2003, nei confronti di NOME COGNOME (padre di NOME) ed il ruolo da questi ricoperto all’interno della ‘ndrangheta emiliana dando per certo che NOME COGNOME ne fosse informato, così formulando mere congetture.
Ancora, la Corte ha richiamato il contenuto delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME NOME (il quale aveva peraltro genericamente indicato i due fratelli COGNOME come soggetti a disposizione del capo cosca NOME COGNOME, senza alcuna collocazione temporale di tale circostanza) che sono inutilizzabili in quanto non sono state raccolte nel processo (le precedenti due sentenze di merito non ne fanno menzione), nØ vi Ł stata integrazione istruttoria nel presente giudizio di rinvio.
Di contro, la prima pronuncia di appello richiama il portato dichiarativo di altri collaboratori di giustizia (NOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME), concordi nell’affermare che la discoteca era stata acquistata da NOME COGNOME (e non da NOME) e da NOME COGNOME.
Irrilevante Ł la relazione redatta dal Prefetto di Reggio Emilia in data 28 settembre 2010 nella quale si sintetizzano i rapporti tra NOME COGNOME e la famiglia COGNOME, con particolare riguardo alla gestione della discoteca RAGIONE_SOCIALE, ormai chiusa da mesi ed indicata come struttura utilizzata per riciclare denaro di provenienza illecita, nonchØ luogo di smercio di droga e ritrovo degli affiliati della cosca.
La neutralità di tale documento, rispetto alla posizione di NOME COGNOME Ł attestata dal fatto che quest’ultimo non Ł mai stato neppure indiziato di partecipazione mafiosa.
La Corte di appello, in sede di giudizio di rinvio, ha richiamato anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME laddove questi aveva riferito che NOME COGNOME era socio di NOME COGNOME nella gestione delle discoteche Italghisa e Los Angeles i cui utili erano suddivisi tra i due e che l’imputato aveva ricoperto un ruolo di maggior spessore rispetto al fratello. Tale portato dichiarativo Ł tuttavia smentito dalla prima sentenza di appello che ha ritenuto la responsabilità penale del solo NOME COGNOME non solo per la partecipazione al sodalizio mafioso ma anche per l’intestazione fittizia delle società NOME e Monreale le quali, nel tempo, avevano gestito il locale Los Angeles (capi 9 e 10 di imputazione, peraltro mai contestati a NOME COGNOME).
Manifestamente illogiche sono le argomentazioni spese nella sentenza impugnata rispetto alle deduzioni difensive circa l’insussistenza della aggravante speciale della agevolazione mafiosa.
Nell’atto di appello si era dedotta la assoluta mancanza di motivazione sul punto da parte della pronuncia di primo grado (che la Corte di legittimità ha ritenuto fondata, pag. 68) e la sentenza impugnata ha liquidato tale censura in modo del tutto assertivo sostenendo che il giudice per l’udienza preliminare aveva assolto al proprio obbligo motivazionale, senza neppure indicare gli elementi di prova da cui sarebbe stato tratto tale convincimento.
PoichØ NOME COGNOME non ha mai preso parte al sodalizio, nessuna rilevanza può assumente la considerazione spesa dalla Corte di appello secondo cui la gestione della discoteca RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato per l’associazione mafiosa il ‘grimaldello’ per investire denari provenienti da affari illeciti e addirittura il’ simbolo del potere della cosca e della sua opulenza’.
La motivazione in punto di sussistenza della aggravante (la cui esclusione avrebbe comportato l’estinzione del reato sub capo 7) per prescrizione maturata nel corso dei giudizi di merito), non Ł
solo apodittica ed apparente ma anche in contrasto con i principi affermati sul tema dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’agevolazione mafiosa presuppone che l’attività economica sia funzionale agli interessi della associazione, nel senso che da essa il sodalizio, nel suo insieme, tragga mezzi, forza e prestigio per esercitare il proprio predominio sul territorio.
Nell’atto di appello e con i motivi aggiunti si era anche rappresentato che le alterne vicende economiche della RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE, fallita dopo soli quattro anni dalla sua costituzione (settembre 2005- marzo 2009) dimostravano come tale attività economica non rivestisse affatto un’importanza strategica per la vita dell’associazione criminale. Del resto, la stessa sentenza impugnata evidenzia che la RAGIONE_SOCIALE era stata ‘artatamente malgovernata fin dagli inizi’ e che i loro gestori l’avevano ‘abbandonata al suo destino sull’orlo del fallimento’, così finendo, tra l’altro, per palesarsi platealmente illogica con la parte di motivazione ove, invece, si sostiene che la gestione della discoteca RAGIONE_SOCIALE fosse espressione del potere della cosca sul territorio.
La giurisprudenza di legittimità (SU, n. 8545 del 19/12/2019, dep.2020, COGNOME, Rv. 27873401) ha anche affermato che l’aggravante della agevolazione mafiosa ha natura soggettiva ed Ł caratterizzata da dolo intenzionale, sicchŁ nel reato concorsuale si applica al concorrente solo ove questi sia consapevole della altrui finalità. Al riguardo la Corte di appello ha svolto argomentazioni meramente presuntive, prive di qualsivoglia concretezza.
5.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento all’art. 627, comma 3 cod. proc. pen.
La sentenza di annullamento con rinvio ha censurato la statuizione con la quale la prima pronuncia di appello aveva confermato la confisca della società RAGIONE_SOCIALE disposta dal primo Giudice con riferimento al reato di cui al capo di imputazione 39 sexies) rilevando l’omessa motivazione sulle questioni difensive dedotte sul punto nell’atto di gravame.
La Corte territoriale avrebbe dovuto quindi esaminare tali questioni, ed invece, in maniera del tutto arbitraria e senza uniformarsi al dictum di legittimità, ha dichiarato inammissibile il motivo concernente la confisca ‘ poichØ non oggetto di doglianza nell’atto di appello, bensì solo nei motivi nuovi’.
In realtà la Corte di Cassazione, avendo valutato nel merito la fondatezza del quinto ricorso proposto (concernente appunto la confisca della RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME), aveva già compiuto la necessaria preliminare verifica di ammissibilità dello stesso che al giudice del rinvio era preclusa.
Palesemente errata Ł poi l’osservazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui, in ogni caso, le doglianze della difesa riguardavano le società oggetto dei capi di imputazione da 39 bis a 39 quinquies e la prima sentenza di appello aveva già disposto la revoca delle confische delle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE.
Tali revoche erano avvenute in conseguenza della assoluzione nel merito di NOME COGNOME per le ipotesi di reato di cui ai capi da 39 bis a 39 quinquies , sicchŁ non avrebbe avuto alcun senso un ricorso per cassazione della difesa volta a censurare un provvedimento del tutto favorevole; con il ricorso in appello la difesa aveva dedotto, invece, l’insussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento di confisca della RAGIONE_SOCIALE che attiene al diverso addebito di cui al capo 39 sexies.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati articolati cinque motivi di ricorso.
6.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 649 del codice di rito e la manifesta illogicità della motivazione.
Ai fini della rideterminazione della pena sulla quale innestare gli aumenti (per l’aggravante e per la continuazione), la Corte di appello ha valorizzato il fatto di cui al capo 8), dal quale tuttavia
l’imputato Ł stato assolto in quanto concernente una condotta di favoreggiamento rispetto al reato di cui Ł stato ritenuto concorrente.
La clausola di riserva prevista nella fattispecie di favoreggiamento trova la propria ratio nel divieto del ne bis in idem, cioŁ nella volontà del legislatore di non punire due volte l’autore per un crimine e per averne favorito il coautore, con conseguente preclusione della possibilità di valorizzare quel favoreggiamento non punibile in sede di determinazione del trattamento sanzionatorio del reato a monte.
6.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett.c) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 597, comma 3, del codice di rito, nonchØ la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La Corte di appello ha effettuato l’aumento ai sensi dell’art. 81 cod. pen. per il capo 10) sul presupposto che esso abbia ad oggetto due diverse condotte delittuose realizzate rispettivamente il 27 marzo ed il 18 dicembre 2008, quando invece le precedenti sentenze di merito hanno operato un solo aumento per tale addebito ritenendolo un solo fatto di reato, diversamente avrebbero dovuto indicare due segmenti di sanzione.
6.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett.c) ed e), cod. proc. pen. la violazione dell’art. 597, comma 3, del codice di rito, nonchØ la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Il giudice di primo grado ha operato per il capo 10) un aumento ex art. 81 cod. pen. pari a mesi tre di reclusione.
Anche a voler ritenere che tale addebito avesse effettivamente ad oggetto due diverse condotte delittuose, la Corte di appello avrebbe comunque dovuto tenere fermo l’aumento applicato dal primo giudice mentre invece ha applicato – così si legge testualmente nel ricorso – quello ‘di mesi tre di reclusione per una sola delle due interposizioni fittizie, con conseguente violazione del divieto di reformatio in peius per ogni singolo aumento di pena’.
6.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett.b) ed e), cod. proc. pen. l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 512 bis cod. pen., nonchØ la manifesta illogicità della motivazione.
Il ricorrente ribadisce che l’interposizione contestata al capo 10) Ł un unico reato, essendo relativo ad una sola società (la RAGIONE_SOCIALE) le cui quote sono state intestate fittiziamente non già al reale titolare, bensì a due prestanome (COGNOME e COGNOME) e, in seconda battuta ad un terzo (COGNOME).
6.5. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. per omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento di attenuanti generiche.
La prima sentenza di appello non si era pronunciata sul punto, pur a fronte di specifico motivo di gravame; seppur vero che tale vizio di motivazione non Ł stato poi dedotto con il successivo ricorso per cassazione, tuttavia l’annullamento con rinvio in ordine al trattamento sanzionatorio avrebbe imposto alla Corte territoriale di esaminare anche tale profilo.
Nell’interesse di NOME Ł stato articolato un unico motivo con il quale si deduce violazione dell’art. 606, comma 1 lett. c) ed e), cod. proc. pen. per erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 627, comma 3, codice di rito, all’art. 173, comma 2, disp. att. cod. proc. pen. e agli artt. 110 e 416 bis cod. pen.
I giudici di legittimità ritenevano troppo scarni gli elementi evidenziati nella prima sentenza di appello per ritenere integrati in capo all’imputato gli estremi del concorso esterno in associazione mafiosa demandando al giudice del rinvio di dare contezza in motivazione del perchŁ, e sulla base di quali elementi, la condotta dell’imputato avesse avuto rilevanza causale rispetti alla
conservazione o al rafforzamento del sodalizio criminale, presupposto necessario per il reato contestato. In particolare, la Corte di Cassazione evidenziava che l’imputato aveva partecipato ad un solo ed episodico incontro tra affiliati di due diversi clan, avvenuto il giorno 8 settembre 2025.
La Corte territoriale, in sede di rinvio, ha semplicemente affermato quanto segue: ‘ dagli atti emerge che Spagnolo fosse partecipe del sodalizio mafioso contestato, così come ritenuto dal primo giudice, ma in questa sede non rimane che prendere atto della irrevocabilità del giudizio espresso dalla Corte di appello e richiamare gli elementi probatori a sostegno della originaria ipotesi contestata e quindi ad abundantiam del delitto di concorso esterno nel reato associativo’, così richiamando gli elementi che il giudice di primo grado aveva ritenuto significativi della affiliazione di COGNOME al sodalizio emiliano.
I giudici di appello- anzichØ colmare il vuoto motivazionale secondo il preciso dictum della Corte di Cassazione – si sono limitati a riportare gli elementi evidenziati dalla sentenza di primo grado, quasi che – a seguito dell’annullamento con rinvio- si fosse prodotto un effetto riespansivo della motivazione di detta sentenza, così incorrendo non solo in un vizio di motivazione (in quanto apparente) ma anche nella violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso proposto dal Procuratore generale nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME CesareŁ fondato.
Con l’atto di impugnazione, la pubblica accusa ha dedotto la violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. laddove la Corte di merito, in sede di giudizio di rinvio, ha tenuto ‘ferma’ la pronuncia di assoluzione degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione ai delitti sub capi 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies) rubricati ai sensi dell’art. 512-bis cod. pen. per carenza dell’elemento soggettivo circa la volontà elusiva, già pronunciata dalla prima sentenza di appello ed oggetto di ricorso per cassazione proposto dal Procuratore generale.
Ha osservato l’ufficio impugnante che con tale statuizione la Corte territoriale non si Ł uniformata al dictum della pronuncia rescindente di legittimità la quale, in dispositivo (da ritenersi prevalente sulla motivazione, di contenuto erroneo), accogliendo parzialmente i ricorsi del Procuratore generale proposti nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME aveva annullato la sentenza impugnata proprio con riferimento alla statuizione assolutoria di entrambi gli imputati relativamente ai reati contestati ai capi di imputazione 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies).
Va innanzitutto evidenziato, ben diversamente da quanto sostenuto nella memoria difensiva a firma avv. COGNOME depositata in data 07/02/2025 (pag. 5), che il Procuratore generale ha lamentato, da parte del giudice del rinvio, l’inosservanza del disposto di cui all’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. (la cui deduzione con ricorso per cassazione Ł consentita, per espressa previsione contenuta nell’art. 628, comma 2, del codice di rito) e non ha, pertanto, inammissibilmente demandato a questo collegio il controllo della correttezza della motivazione della pronuncia rescindente di legittimità.
Pare del tutto evidente che la pubblica accusa – solo dopo avere avuto contezza delle ragioni per le quali la Corte di appello aveva tenuto ‘ferma’ la pronuncia assolutoria di NOME COGNOME e di NOME COGNOME in ordine ai reati contestati ai capi di imputazione 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies – poteva dolersi di tale dictum.
Tanto premesso, la sentenza qui impugnata Ł effettivamente censurabile nella parte in cui (pag. 85), anzichØ pronunziarsi sul tema del dolo dei reati di cui sopra, ha affermato che – sul puntola pronuncia assolutoria del 16/06/2022 dalla Corte di appello era divenuta irrevocabile.
Tale assunto Ł stato giustificato sostenendo che, nella motivazione della sentenza
rescindente, i giudici di legittimità avevano omesso di pronunciarsi sul primo ricorso proposto dal Procuratore Generale relativo alla ricorrenza dell’elemento soggettivo di tali illeciti e, viceversa, avevano erroneamente censurato la pronunzia sottoposta a scrutinio con riferimento alla esclusione della aggravante dell’agevolazione mafiosa contestata per i reati in questione che, invece, era stata dichiarata rispetto ai diversi delitti sub cap 12), 13) e 14) addebitati ad altro imputato (NOME COGNOME Aracri).
In realtà, alcun giudicato risulta essersi formato rispetto alla pronunzia assolutoria degli imputati Muto relativamente ai delitti sub capi 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies) e ciò per l’assorbente ragione che, pur a fronte del rilevato errore motivazionale, il dispositivo della sentenza rescindente recava l’espressa menzione dell’annullamento con rinvio per nuovo giudizio di tale specifica statuizione, per effetto del parziale accoglimento dei ricorsi proposti dal Procuratore Generale, con conseguente obbligo della Corte di appello di uniformarsi a tale dictum il quale, evidentemente, non ha determinato alcuna irrevocabilità dell’epilogo assolutorio.
Va richiamato il principio (condiviso da questo Collegio) per cui il contrasto tra dispositivo e motivazione (effettivamente ravvisabile nella specie) si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale, in quanto immediata espressione della volontà decisoria, su quello giustificativo; tale regola può essere derogata a condizione che questo sia viziato da un errore materiale obiettivamente rilevabile e va comunque contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione la quale conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e, pertanto, può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022- dep. 2023, COGNOME, Rv. 284057; Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018- dep. 2019, B., non mass.; Sez. 6, n. 7980 del 01/02/2017, COGNOME, Rv. 269375).
Ebbene, proprio l’esame della motivazione della sentenza rescindente consente di escludere l’esistenza di un errore nel dispositivo.
Nel paragrafo 18 del ‘considerato in diritto’, Ł espressamente affermata la fondatezza del primo ricorso proposto dal Procuratore generale con riferimento alle posizioni degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME da cui viene fatto scaturire, a chiare lettere, l’annullamento nei confronti di entrambi, per vizio motivazionale, della prima pronuncia di appello relativamente ai reati di cui ai capi di imputazione 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies).
Se poi si procede alla complessiva lettura dell’intero costrutto contenuto in detto paragrafo (pag. 70) , ben può apprezzarsi come i giudici di legittimità – pur erroneamente richiamando una statuizione estranea al giudizio formulato dalla sentenza oggetto di scrutinio (e cioŁ una supposta esclusione, in realtà non dichiarata, della aggravante speciale della agevolazione mafiosa contestata nei capi di imputazione 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies)- hanno speso argomenti in linea proprio con le censure che erano state dedotte nel primo ricorso della pubblica accusa in punto di sussistenza del dolo elusivo.
La sentenza rescindente ha infatti evidenziato, in primo luogo, che le intestazioni fittizie oggetto di tali addebiti avevano riguardato compagini societarie con caratteristiche analoghe a quelle per le quali i giudici di appello avevano, invece, ritenuto provato il trasferimento fraudolento di valori; in secondo luogo, ha posto in luce come tali operazioni, avvenute nel 2012, si collocavano cronologicamente ‘in un periodo nel quale, tanto NOME COGNOME quanto NOME COGNOME erano stati destinatari di iniziative giudiziarie e amministrative con addebiti di contiguità mafiosa’.
Ne deriva che la trama argomentativa della sentenza rescindente contiene elementi certi e logici dai quali desumere che effettivamente la Corte di legittimità- come indicato in dispositivo- ha accolto il primo ricorso per cassazione del Procuratore Generale con il quale si censurava specificamente l’epilogo assolutorio per difetto di dolo con riferimento ai capi di imputazione 39 bis),
39 ter), 39 quater) e 39 quinquies) e che il richiamo alla esclusione della aggravante speciale della agevolazione mafiosa aggravante Ł stato il frutto di un mero refuso; la decisione di accoglimento del ricorso Ł strettamente connessa alla deliberazione di annullamento con rinvio sul punto, antitetica rispetto ad un preteso passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione in argomento.
Ciò imponeva al giudice del rinvio un nuovo vaglio di tali addebiti in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo.
Si deve dunque disporre l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME limitatamente ai reati di cui ai capi 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies) con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME Ł solo parzialmente fondato.
2.1. E’ inammissibile, in quanto generico, il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta aggravante della agevolazione mafiosa relativamente ai capi di imputazione 12), 13) e 14) rubricati ai sensi dell’art. 512 bis cod. pen.
La sentenza impugnata (pagg. da 24 a 34) ha sviluppato un’ampia motivazione ampia e scevra da manifeste illogicità in ordine alla consapevolezza di NOME COGNOME circa il fatto che le contestate interposizioni fittizie avessero agevola il sodalizio ndranghetistico emiliano.
Il costrutto argomentativo Ł incentrato sulla valutazione congiunta di numerosissimi elementi probatori (di cui la difesa non deduce alcun travisamento) e si uniforma ai principi di diritto indicati dalla sentenza rescindente la quale, in accoglimento del secondo ricorso per cassazione proposto dal Procuratore generale, aveva annullato con rinvio – perchØ gravemente contraddittoria sul piano motivazionale – la prima sentenza di appello laddove era stata esclusa l’aggravante in questione.
La Corte di merito ha in primo luogo contestualizzato le condotte di interposizione fittizia contestate ai capi di imputazione 12), 13) e 14) evidenziando:
che le stesse erano state realizzate tra il gennaio ed il febbraio 2010, poco dopo l’intervenuta irrevocabilità della condanna per associazione mafiosa di NOME COGNOME padre di NOME, e dello zio NOME ed in un momento in cui l’imputato – in ragione della carcerazione del padre e dello zio – aveva assunto un ruolo di indiscusso rilievo all’interno del sodalizio, come riferito concordemente da tre collaboratori di giustizia;
-che le relative modifiche statutarie delle due società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE erano avvenute in concomitanza di colloqui in carcere intrattenuti da NOME COGNOME con i familiari, tra cui anche l’odierno ricorrente;
-che la sentenza irrevocabile del processo ‘Aemilia’ aveva accertato come il meccanismo della intestazione fittizia era stata una strategia consolidata della cosca la quale aveva impiegato, in piø occasioni, compiacenti prestanomi per occultare nelle compagini societarie la presenza di affiliati alla cosca e così compiere affari ed investimenti per infiltrarsi nel tessuto economico emiliano (assumendone il controllo a scapito della imprenditoria locale) tramite aziende fatte risultare apparentemente ‘non mafiose’;
Così delineato il contesto di riferimento, la sentenza impugnata ha poi posto in luce precisi elementi probatori dimostrativi del fatto che le due società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (oggetto delle intestazioni fittizie di cui ai capi 12), 13) e 14) di imputazione) avevano avuto esattamente la stessa funzione servente al sodalizio.
Al riguardo, sono state richiamate numerose conversazioni intercettate attestanti la fornitura, da parte delle due società, di lavorazioni inerenti marmi e affini nei cantieri edili ove operava la consorteria mafiosa, il versamento ad opera di NOME COGNOME, nelle mani del capo cosca NOMECOGNOME di parte degli introiti delle società, il transito sui conti correnti delle stesse di denaro
destinato al sodalizio, occultato come ricavo, ed anche il reimpiego nelle marmerie in questione di contante di provenienza illecita appartenente alla cosca.
Si Ł quindi al cospetto di un apparato argomentativo che, per un verso, ha colmato i profili di grave contraddittorietà motivazionale della prima pronuncia di appello individuati dalla sentenza rescindente (pagg 64 e 65) e che, per altro verso, ha posto in luce elementi fattuali concreti perfettamente in linea con i principi di diritto dettati da questa Corte, nella sua composizione piø autorevole, in tema di agevolazione mafiosa (SU, n. 8545 del 19/12/2019- dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734-01) che Ł aggravante ‘di tipo soggettivo e si sostanzia nella volontà specifica di favorire ovvero di facilitare, con il delitto posto in essere, l’attività del gruppo mafioso; essa inerisce ai motivi a delinquere ed Ł caratterizzata da dolo intenzionale’, sicchŁ per la sua integrazione Ł necessario’che l’agente deliberi l’attività illecita nella convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa’ ed occorre che ‘tale rappresentazione si fondi su elementi concreti, inerenti, in via principale, all’esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all’art. 416 bis c.p. ed alla effettiva possibilità che l’azione illecita si inscriva nelle possibili utilità, anche non essenziali, al fine del raggiungimento dello scopo di tale compagine, secondo la valutazione del soggetto agente, non necessariamente coordinata con i componenti dell’associazione’; si Ł ulteriormente precisato che ‘la finalità di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso – la cui realizzazione non Ł necessaria per l’integrazione dell’aggravante, sempre che sia accertata l’idoneità dell’azione in tal senso – non deve essere esclusiva, ben potendo accompagnarsi ad esigenze egoistiche e a qualsiasi finalità di vantaggio, assolutamente personale, che si coniughi con l’esigenza di agevolazione’.
Con tale articolato costrutto argomentativo il ricorrente non si confronta concretamente, limitandosi a sviluppare laconiche deduzioni a-specifiche con riferimento solo ad alcuni dei numerosi passaggi motivazionali.
Ed invero, nel ricorso si rileva semplicemente che dei colloqui in carcere non si conosce il contenuto; che essi non erano avvenuti in concomitanza delle operazioni di intestazione fittizia delle due marmerie (ignorando, tuttavia, la coincidenza temporale indicata a pag. 25 nota 4 della sentenza impugnata); che le conversazioni telefoniche richiamate dalla Corte di merito si collocavano nell’anno 2011, epoca in cui NOME COGNOME non risultava giudiziariamente attinto dal reato associativo (omettendo, tuttavia, di considerare gli apporti dichiarativi dei tre collaboratori di giustizia che lo indicavano in quel periodo di fatto intraneo alla consorteria con ruolo apicale, a seguito della carcerazione del padre NOME e dello zio NOME).
Il ricorrente, infine, adduce genericamente che le intestazioni fittizie sub capi 12) 13) e 14) erano state funzionali solo a procurare vantaggio alla persona di NOME COGNOME senza indicare alcunchŁ di idoneo a confutare l’affermazione del giudice del rinvio, fondata su plurimi elementi obiettivi e concreti non contestati nella loro effettiva sussistenza, per cui tali operazioni erano state, invece, peculiarmente funzionali ad agevolare la consorteria e come di ciò l’imputato fosse pienamente consapevole.
2.2. E’ invece fondato il primo motivo di ricorso (a cui Ł correlativo il motivo nuovo, tempestivamente proposto) con il quale si deduce l’erronea rideterminazione della pena operata, in sede di giudizio di rinvio, nei confronti di NOME COGNOME
Come si ricava dai calcoli aritmetici indicati a pag. 34 e 35 della sentenza impugnata, la Corte territoriale – in sede di rivisitazione del trattamento sanzionatorio nei termini demandati dalla sentenza rescindente ed altresì a seguito della ‘riviviscenza’ dei reati di cui ai capi 12),13) e 14) precedentemente dichiarati estinti per intervenuta prescrizione – ha effettivamente omesso la doverosa espunzione dell’aumento di pena (pari a mesi sei di reclusione) già applicato a titolo di continuazione in relazione al capo 17) di imputazione.
Tale addebito era stato, infatti, riqualificato con la prima sentenza di appello nel reato di usura aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., ma la relativa condanna Ł stata oggetto di annullamento senza rinvio ad opera della sentenza rescindente per violazione dell’art. 522 cod. proc. pen., con conseguente trasmissione degli atti al pubblico ministero il quale – come documentato nel motivo nuovo proposto- per tale addebito ha emesso avviso di conclusione delle indagini.
Il quantum pari a 6 mesi di reclusione in allora stabilito per il capo 17 va, pertanto, eliminato dall’aumento complessivo di pena pari ad anni 7 e 1 mese di reclusione a titolo di continuazione, come ricalcolato dalla Corte di merito e, operata la riduzione per il rito abbreviato, la pena finale va rideterminata in anni 14, mesi 4 e giorni 20 di reclusione.
A tale rideterminazione può provvedere direttamente questa Corte, non richiedendosi alcuna valutazione di natura discrezionale, bensì un mero calcolo aritmetico.
3. E’ fondato l’unico motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
I giudici di secondo grado (pag. 86 della sentenza impugnata) hanno rilevato che nella prima sentenza della Corte di appello la riduzione per il rito abbreviato era stata erroneamente calcolata in anni 2 mesi 10 di reclusione e cioŁ in misura superiore al terzo ed hanno conseguentemente ‘corretto’ la pena finale determinandola in quella maggiorata di anni 3 di reclusione.
Pur a fronte dell’incontestabile errore matematico, tale rettifica, in quanto peggiorativa del trattamento sanzionatorio, non era consentita in assenza di mancata proposizione di uno specifico motivo di gravame sul punto da parte della pubblica accusa.
La possibilità di correggere l’illegalità della pena, nella specie o nella quantità, Ł infatti circoscritta alla sola ipotesi in cui l’errore sia avvenuto a danno dell’imputato, non essendo superabile il limite del divieto della “reformatio in peius’ (cfr., Sez. 3 n. 30286 del 09/03/2022, COGNOME, Rv. 283650; Sez. 2, n. 30198 del 10/09/2020, COGNOME, Rv. 279905; Sez. 2, n. 22494 del 25/05/2021, COGNOME, Rv. 281453).
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al trattamento sanzionatorio per le residue imputazioni di cui ai capi 7 – con esclusione dell’episodio del 10/03/2009 per il quale Ł intervenuta assoluzione ad opera della prima sentenza di appello – 9 e 10, che va rideterminato in anni 2 mesi 10 di reclusione.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME va complessivamente rigettato.
4.1. E’ manifestamente infondato il primo motivo con il quale si deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata, sotto il profilo della manifesta illogicità, con riferimento al giudizio di responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 512 bis cod. pen. contestato al capo 7) e, altresì, alla sussistenza dell’aggravante della agevolazione mafiosa, la cui esclusione imporrebbe la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata nel corso dei giudizi di merito.
Sostiene il ricorrente che il giudice del rinvio ha fondato il proprio giudizio sulla base di argomentazioni interamente sovrapponibili a quelle sviluppate nella prima sentenza di appello che, in sede di annullamento con rinvio, i giudici di legittimità avevano ritenuto non sufficienti a provare il c.d. dolo elusivo in capo a NOME COGNOME carenti e comunque manifestamente illogiche sarebbero le argomentazioni spese nella sentenza impugnata circa la sussistenza della aggravante speciale della agevolazione mafiosa.
¨ opportuno, per ragioni di maggiore chiarezza, richiamare il contenuto della sentenza rescindente che, a pag. 68, così argomenta: ‘con una motivazione basata su indicazioni meramente assertive, la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia di primo grado nella parte
relativa alla condanna del prevenuto per il reato di cui al capo 7), a lui sostanzialmente estendendo, in maniera impropria, valutazioni e considerazioni che attenevano al di lui fratello NOME. I giudici di merito hanno sottaciuto la circostanza che, con riferimento ai periodi di commissione del reato de quo, risalente agli anni 2006 e 2009, i collaboratori di giustizia non avevano menzionato il predetto ricorrente, nØ vi erano elementi di conoscenza valorizzati nel collegato processo ‘Aemilia’: cioŁ non sono stati richiamati dati probatori riferibili a NOME COGNOME idonei a comprovare che lo stesso avesse agito con la chiara consapevolezza che la finalità elusiva delle operazioni di intestazione di quote societarie avessero avuto come scopo quello di agevolare l’attività del sodalizio criminale mafioso diretto da NOME COGNOME. Vi Ł solo un cenno ad una conversazione intercettata, intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, riguardante tal COGNOME, ma il suo contenuto non Ł stato preso in considerazione dalla Corte distrettuale’.
Ebbene, il giudice del rinvio (si vedano le pagine da 70 a 85 della pronuncia impugnata) non ha affatto riprodotto le argomentazioni della censurata sentenza di appello, nØ ha nuovamente traslato ciò che era rilevante per il fratello NOME Ha invece sviluppato – tenendo in debito conto le precise coordinate fornite dai giudici di legittimità al fine di colmare la ravvisata lacuna motivazionale – una diversa trama argomentativa, scevra da manifesta illogicità, tutta incentrata sulla valorizzazione delle risultanze probatorie riferibili alla persona di NOME COGNOME
Quanto al dolo elusivo, ritenuto pacifico il trasferimento fittizio delle quote della RAGIONE_SOCIALE anche a NOME COGNOME (ancorchŁ la società fosse, invece, di fatto riconducibile a NOME COGNOME), la Corte di appello ha valutato congiuntamente i seguenti elementi dai quali ha tratto la prova che l’imputato, all’epoca della falsa intestazione societaria, fosse ben consapevole che NOME COGNOME potesse essere attinto da misura di prevenzione patrimoniale e che l’operazione in questione fosse funzionale ad evitarle :
(a) i collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME (ritenuti attendibili, senza alcuna contestazione sul punto da parte della difesa) avevano riferito che il denaro impiegato per l’acquisto delle quote della RAGIONE_SOCIALE (il cui oggetto sociale era l’attività di gestione di discoteche, in particolare la RAGIONE_SOCIALE) era provento degli affari illeciti della cosca capeggiata da NOME COGNOME;
(b) NOME COGNOME aveva (pacificamente) collaborato con il fratello NOME e con NOME COGNOME nella operazione di intestazione fittizia, perfezionata nel 2006 allorquando la discoteca RAGIONE_SOCIALE era nel suo pieno fulgore (solo dopo il 2009 era caduta in disgrazia economica) e in un momento nel quale già erano già stati adottati importanti provvedimenti giudiziari nei confronti di NOME COGNOME (padre di NOME) per il reato di associazione mafiosa; in particolare, essa si collocava temporalmente tra la sentenza della Corte di Cassazione emessa il 01/12/2005 che aveva annullato con rinvio per nuovo giudizio la pronuncia di assoluzione in secondo grado per il reato cui all’art. 416 bis cod. pen. nei confronti di NOME COGNOME e la successiva seconda sentenza di appello del 19/04/2007 che aveva confermato la condanna in primo grado.
(c) in tale contesto di riferimento, NOME NOME era stato soggetto pienamente attivo nella gestione della discoteca RAGIONE_SOCIALE, unitamente al fratello ed a NOME COGNOME tanto che il collaboratore di giustizia COGNOME aveva riferito di una discussione, in sua presenza, tra NOME e NOME in merito alla suddivisione dei guadagni derivanti dalla attività imprenditoriale e del fatto che i due ‘erano una persona sola’;
(d) il collaboratore NOME COGNOME aveva dichiarato come i due fratelli COGNOME NOME e NOME erano stati soggetti a disposizione del capo cosca NOME COGNOME.
Quanto alla aggravante della agevolazione mafiosa (pagg. 83 e 84 della sentenza impugnata) la Corte di appello ha affermato che l’intestazione fittizia delle quote della RAGIONE_SOCIALE si era risolta a favore dell’intero sodalizio agevolandone l’attività.
Al riguardo ha evidenziato, con motivazione non manifestamente illogica, come dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME emergeva che la gestione della discoteca RAGIONE_SOCIALE era stato lo strumento per investire denaro proveniente da affari illeciti posti in essere dalla cosca, in stretto rapporto con entrambi i fratelli COGNOME e che i due locali avevano rappresentato anche il simbolo del potere e della opulenza della consorteria mafiosa (NOME COGNOME utilizzava per i suoi spostamenti una vettura RAGIONE_SOCIALE con apposto il nome del locale RAGIONE_SOCIALE); la circostanza per la quale i due Muto nel 2009 avevano abbandonato la società RAGIONE_SOCIALE cedendo le quote era segno sintomatico del fatto che la società non era stata espressione di una nuova vena di imprenditorialità, ma semplicemente uno schermo per agevolare la cosca.
Si tratta di argomentazioni che, congiuntamente valutate con quelle poste a fondamento della prova del dolo elusivo, sono pertinenti ed idonee a dimostrare la sussistenza dell’aggravante della agevolazione mafiosa e la piena consapevolezza di NOME COGNOME di favorire l’attività della consorteria procurandole vantaggi, utilità forza e prestigio, con conseguente effetto di rafforzamento della stessa.
Il giudice del rinvio, ben lungi dal ripercorrere l’iter argomentativo della sentenza di appello annullata, ha quindi ampiamente colmato la lacuna motivazionale, secondo le precise indicazioni fornite dalla sentenza rescindente sia in ordine alla contezza proprio in capo a NOME COGNOME della finalità elusiva della intestazione fittizia delle quote societarie della RAGIONE_SOCIALE (anche richiamando, al riguardo, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che avevano riferito specificamente sulla persona dell’imputato), sia in ordine allo scopo di agevolazione della associazione mafiosa, sotteso a tale operazione.
¨ del tutto generica la doglianza difensiva con la quale si assume che il portato dichiarativo del collaboratore COGNOME non farebbe parte del compendio probatorio poichØ di esso le precedenti due sentenze di marito non ne fanno menzione.
La Corte di appello (pagg. 79 e 80 della sentenza impugnata) dà espressamente conto della presenza in atti del relativo verbale di interrogatorio reso in data 23/03/2011 riportando anche testualmente il passo ritenuto di interesse ed Ł evidente come il semplice mancato richiamo nelle precedenti sentenze di merito non sia sufficiente a dimostrare l’assenza di tale elemento probatorio nel materiale processuale.
In ogni caso, Ł onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali chiarirne l’incidenza sul complessivo compendio istruttorio già valutato, così da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME, Rv. 254108; Sez. VI n. 1219 del 12/11/2019, COGNOME, Rv. 278123).
Nulla ha prospettato in tal senso la difesa ricorrente e, del resto, appare evidente come il richiamo a tale portato dichiarativo sia stato operato dalla Corte di appello solo per corroborare un quadro probatorio già solido e come, pertanto, esso non sia un dato decisivo ai fini del giudizio di responsabilità.
A fronte dell’esaustivo apparato motivazionale sviluppato dal giudice del rinvio ben poco rileva il fatto (peraltro, neppure oggetto di doglianza difensiva) che la Corte di appello non abbia fatto menzione della conversazione telefonica, richiamata nella sentenza rescindente, intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME ove il primo aveva riferito al secondo di volere fornire lui personalmente la ‘protezione’ a tal COGNOME.
Si tratta, all’evidenza, di un elemento non certo favorevole all’imputato (essendo dimostrativo, quantomeno di una contiguità ‘mafiosa’) che sarebbe andato semplicemente ad aggiungersi, ad abundantiam, ad un quadro probatorio già, di per sØ, piø che sufficiente alla affermazione di colpevolezza.
4.2. Non Ł fondato il secondo motivo di ricorso.
I giudici di legittimità, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta nell’interesse di NOME COGNOME hanno annullato con rinvio la prima sentenza di appello per omessa pronuncia sulle questioni poste dalla difesa con l’atto di gravame in merito alla statuizione di conferma delle misura di confisca, tra le quali quella disposta a carico della società RAGIONE_SOCIALE in relazione all’addebito di cui al capo 39 sexies).
La sentenza rescindente ha quindi demandato tout court al giudice del rinvio l’intero vaglio della censura difensiva che risultava totalmente obliterata e, quindi, anche quello preliminare di ammissibilità della stessa sul piano della rituale devoluzione processuale che non può dirsi sia stato, in via implicita, positivamente valutato dai giudici di legittimità.
¨ pertanto corretta la decisione della Corte territoriale (pagg. 86 e 87 della sentenza impugnata) che – prima di esaminare nel merito il motivo proposto – ne ha rilevato l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., poichØ la censura in materia di confisca non era stata dedotto nell’appello principale, ma solo con motivi nuovi, così conformandosi al consolidato principio di legittimità secondo cui la facoltà presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento a quelli contenuti nell’atto di impugnazione principale dei quali devono rappresentare un mero sviluppo o una migliore esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già originariamente dedotti, non essendo consentito allargare l’ambito del predetto “petitum”, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione ( da ultimo, Sez. 6 n. 36206 del 30/09/2020, COGNOME, Rv. 280294).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME Ł inammissibile.
5.1. Manifestamente infondato Ł il primo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione dell’art. 649 cod. proc. pen e la manifesta illogicità della motivazione laddove la sentenza impugnata – investita dalla pronuncia rescindente di provvedere alla rideterminazione della pena a seguito dell’annullamento senza rinvio del giudizio di responsabilità per il capo 7) – ha valorizzato, al riguardo, la condotta di favoreggiamento di cui all’addebito sub 8), per il quale NOME COGNOME era stato, tuttavia assolto, per insussistenza del fatto.
Osserva questa Corte che la condotta in questione (e cioŁ l’avere nel corso delle indagini negato il ruolo di effettivo gestore della RAGIONE_SOCIALE in capo a NOME COGNOME), sebbene non penalmente rilevante in ragione del ruolo dell’imputato di concorrente nel reato presupposto di cui al capo di imputazione 10), rubricato ai sensi dell’art. 512 bis cod. pen., risulta comunque accertata nella sua materialità.
La Corte di appello (pag. 91 della sentenza impugnata) non Ł quindi dunque incorsa in alcuna violazione del divieto di cui all’art. 649 cod. proc. pen. che, si badi, attiene al profilo della duplicazione del giudizio di penale responsabilità per un medesimo fatto; nell’ambito della valutazione discrezionale, propria del giudice di merito in punto di trattamento sanzionatorio e senza incorrere in alcuna manifesta illogicità, ha dato rilievo, sul piano della dosimetria della pena, alla condotta di cui sopra, quale fatto storico sintomatico di una particolare intensità del dolo in capo a NOME COGNOME con riferimento al reato di trasferimento di valori a lui ascritto.
5.2. Sono manifestamente infondati anche il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso che possono essere esaminati congiuntamente in quanto correlati tra loro poichØ attenenti al tema della unicità del reato di cui al capo 10) e della violazione del divieto di reformatio in peius per avere la Corte di appello, in sede di rideterminazione della pena, applicato, con riferimento a tale addebito, un aumento di pena a titolo di continuazione interna sul presupposto erroneo che gli illeciti fossero due.
E’ ben vero che l’operazione di trasferimento fraudolento di valori contestata al capo 10 (per il
quale NOME COGNOME Ł stato definitivamente dichiarato responsabile) riguarda una sola società (RAGIONE_SOCIALE, tuttavia nella imputazione formale – rispetto alla quale Ł, appunto, intervenuto irrevocabile giudizio di responsabilità – risultano descritte due distinte operazioni di intestazione fittizia, avvinte dal vincolo della continuazione come si evince dalla indicazione in rubrica dell’art. 81 cod. pen., e cioŁ un duplice il passaggio di quote della società RAGIONE_SOCIALE: il primo avvenuto il 27 marzo 2008 in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME e il secondo perfezionato il successivo 18 dicembre 2008 in favore di COGNOME NOME.
L’addebito contestato Ł costruito pertanto in termini di concorso formale di reati avvinti dal vincolo della continuazione, atteso che, seppure nell’ambito della medesima società, esso contempla due condotte di rilievo penale di carattere omogeneo ma distinte tra loro con riferimento sia al tempus commissi delicti che alla identità dei soggetti beneficiari del passaggio di quote.
Al riguardo va ricordato il consolidato orientamento di questa Corte – che si condivide secondo cui le successive fittizie intestazioni dello stesso bene o della stessa compagine sociale, attuate anche attraverso il trasferimento ad altri soggetti e finalizzate a coprire e mascherare la reale proprietà dei beni ed eludere l’individuazione del reale ed effettivo dominus, costituiscono nuove ed autonome fattispecie dello stesso reato poste in essere successivamente, come tali autonomamente punibili ( Sez. 2, n. 10253 del 13/1/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019, COGNOME, Rv. 276199, in motivazione, Sez. 2, n. 11881 del 06/03/2018, Szalska, Rv. 272903).
Correttamente, dunque, la Corte di appello, nella rideterminazione della pena nei confronti di NOME COGNOME per il reato di cui al capo 10), ha operato, in presenza di due condotte di reato avvinte dal vincolo della continuazione, un aumento a titolo di continuazione interna determinato in mesi tre di reclusione.
Tale quantum Ł esattamente corrispondente a quello complessivo stabilito ex art. 81 cod. pen. per tale addebito dal primo Giudice (il quale ha ritenuto provato il coinvolgimento dell’imputato in entrambi i passaggi delle quote societarie), in aumento sulla sanzione di anni sette di reclusione ed euro 6.000,00 di multa determinata per il piø grave reato di cui al capo 17), che Ł stato oggetto di annullamento senza rinvio da parte della sentenza rescindente.
Piø precisamente, il giudice del rinvio ha ritenuto congrua, con riferimento al reato residuo, la pena base di anni tre di reclusione che ha aumentato ad anni quattro di reclusione in ragione della aggravante speciale della agevolazione mafiosa e, ulteriormente, ad anni quattro e mesi tre di reclusione ex art. 81 cod. pen, con successiva riduzione per il rito ad anni due mesi dieci di reclusione.
Si tratta di operazione corretta atteso che, nel giudizio di rinvio, a seguito di annullamento della sola condanna per il reato piø grave, il giudice non Ł vincolato nella determinazione della pena per il reato residuo, ritenuto nel calcolo complessivo meno grave, alla quantità già individuata quale aumento ex art. 81 cod. pen., tuttavia, per la regola del divieto di reformatio in peius, non può irrogare una pena che, per specie e quantità, costituisca un aggravamento di quella individuata, nel giudizio precedente all’annullamento parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione (Sez. 2, n. 5502 del 22/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258263; Sez. 6, n. 4162 del 07/11/2012, dep. 2013, Ancona ed altri, Rv. 254263).
5.3. E’ manifestamente infondato anche il quinto motivo di ricorso con il quale si deduce l’omessa motivazione in ordine al mancato riconoscimento di attenuanti generiche.
Con il ricorso per cassazione proposto avverso la prima sentenza di appello non risulta essere stata dedotta alcuna censura in punto di diniego della diminuente di cui all’art. 62 bis da parte della Corte di merito (si veda l’illustrazione dei motivi riportata alle pagg. 29 e 30 della sentenza rescindente).
I giudici di legittimità, quanto all’imputato NOME COGNOME hanno annullato senza rinvio la pronuncia sottoposta a scrutinio limitatamente al reato di cui al capo 17 e, per l’effetto, hanno demandato al giudice del rinvio la sola rideterminazione della pena con riferimento al residuo delitto di cui al capo 10) che non poteva certo ricomprendere la devoluzione di un nuovo giudizio sulla concedibilità delle circostanze attenuanti generiche, profilo sul quale si era già formato il giudicato.
6. L’unico motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME Ł inammissibile.
La Corte territoriale, quale giudice del rinvio, ha compiutamente colmato le lacune motivazionali della prima pronuncia di appello che aveva affermato la responsabilità dell’imputato per il delitto di associazione mafiosa (capo 1 di imputazione) con il ruolo di concorrente esterno ponendo, tuttavia, a fondamento del giudizio di colpevolezza, elementi probatori che la sentenza rescindente (si veda la pag. 76) aveva ritenuto assai scarni. I giudici di legittimità, al riguardo, avevano evidenziato che i dati a sostegno comprovavano una mera contiguità di Spagnolo al sodalizio capeggiato da NOME COGNOME e la sua occasionale presenza ad un incontro tra affiliati a due clan ‘ndranghetistici rivali al quale l’imputato era stato chiamato ad intervenire (dietro remunerazione una tantum) al solo scopo di spaventare gli avversari in considerazione della ‘ sua notevole stazza fisica’.
Secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME Rv. 231671-01 e, successivamente, da ultimo Sez. 1 n. 49750 del 14/09/2023, COGNOME, Rv. 285654) il concorso esterno nel delitto di associazione mafiosa presuppone che l’agente, per non essendo inserito in maniera stabile e organica nel sodalizio e pur essendo privo dell’affectio societatis, tuttavia fornisca un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo il quale, valutato ex post, riveli una effettiva incidenza causale sulla conservazione, sull’agevolazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’associazione o di un suo particolare settore, ramo o articolazione territoriale; tale risultato può prodursi anche quando non si tratti di una attività continuativa o, comunque, ripetuta nel tempo, quanto piuttosto come effetto di un intervento isolato e occasionale, purchŁ comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della associazione.
Di tali criteri ermeneutici la Corte di appello ha fatto corretta applicazione valutando dati probatori (pagine da 105 a 114 della sentenza impugnata) che ha ritenuto significativi, non già di una mera contiguità e vicinanza al sodalizio, bensì di un concreto contributo fornito da Spagnolo effettivamente idoneo ad incidere sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell’organizzazione, come tale integrante, quantomeno, il concorso esterno come declinato dalla giurisprudenza di legittimità nelle sue connotazioni oggettive e soggettive se non, addirittura, una piena partecipazione associativa, intesa come ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
In particolare, la Corte territoriale ha messo in luce come l’imputato (in stretto contatto con gli esponenti di spicco della associazione ed in rapporto di piena fiducia con NOME COGNOME, come riferito concordemente dai collaboratori di giustizia) aveva ricoperto un ruolo – non certo occasionale, bensì di tutto rilievo- nello scontro tra clan sorto insorto a seguito della fornitura da parte della cosca COGNOME – Chindamo di una partita di riso avariato alla RAGIONE_SOCIALE in favore della quale si era attivato il sodalizio capeggiato da NOME COGNOME.
Il coinvolgimento di Spagnolo in tale vicenda non si era, infatti, esaurito nella sola partecipazione alla spedizione a Voghera del giorno 8 settembre 2015 per la sua ‘stazza da buttafuori’; l’imputato aveva offerto una collaborazione ben piø pregnante, consistita nell’organizzare incontri con i componenti del sodalizio e nello scegliere con costoro le strategie da adottare, così fornendo un apporto determinante sia nelle decisioni, che nella realizzazione dell’intervento.
COGNOME era anche intervenuto in altra vicenda di rilievo nella vita della associazione essendosi recato a Cutro con COGNOME NOME (appartenente al sodalizio) per incontrare il capo cosca NOME COGNOME al fine di risolvere una situazione debitoria gravante sulla consorteria.
Contrariamente a quanto dedotto nell’impugnazione la sentenza oggetto di scrutinio ha valorizzato ulteriori elementi, indicativi della contiguità del ricorrente al sodalizio criminale, colmando il deficit argomentativo riscontrato nella pronuncia oggetto del precedente annullamento, elementi la cui sussistenza ed efficacia dimostrativa non vengono contrastati nell’impugnazione, che risulta non connessa alle specifiche emergenze sul punto.
Alla inammissibilità dei ricorsi proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di costoro al pagamento delle spese processuali relative al presente grado di giudizio e al versamento della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Alle statuizioni qui adottate consegue, altresì, la condanna:
-di NOME COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Avvocatura dello Stato (che si liquidano in complessivi euro 3686,00), Comune di Piacenza (che si liquidano in euro 3.167,00), Camera del Lavoro Territoriale di Piacenza (che si liquidano in complessivi euro 3167,00), importi da maggiorarsi ciascuno degli oneri ed accessori di legge;
di NOME COGNOME e di NOME COGNOME in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Regione Emilia Romagna (che si liquidano in complessivi euro 3686,00), Comune di Reggio Emilia (che si liquidano in complessivi euro 3.686,00), Comune di Brescello (che si liquidano in complessivi euro 3686,00), RAGIONE_SOCIALE contro le mafie APS e CISL Regione Emilia Romagna (che si liquidano in complessivi euro 4791,80), CGIL Emilia Romagna (che si liquidano in complessivi euro 3686,00), Camera del Lavoro Territoriale di Reggio Emilia ( che si liquidano in complessivi euro 3686,00), importi da maggiorarsi, ciascuno, degli oneri ed accessori di legge.
Va invece rimessa al giudice del rinvio la liquidazione delle spese in favore delle parti civili costituite nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, limitatamente ai reati di cui ai capi 39 bis), 39 ter), 39 quater) e 39 quinquies) e rinvia per nuovo giudizio sui capi ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni quattrodici, mesi quattro e giorni venti di reclusione; e nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente al trattamento sanzionatorio per le residue imputazioni di cui ai capi 7)- con esclusione dell’episodio del 10/3/2009- 9) e 10), che ridetermina in anni due mesi dieci di reclusione.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di Grande COGNOME e rigetta nel resto il ricorso di COGNOME Cesare.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME e COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili: Avvocatura dello Stato che liquida in complessivi euro 3686; Comune di Piacenza che liquida in euro 3.167; Camera del Lavoro Territoriale di
Piacenza che liquida in complessivi euro 3167. Condanna Grande COGNOME e Spagnolo, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili: Regione Emilia Romagna, che liquida in complessivi euro 3686; Comune di Reggio Emilia, che liquida in complessivi euro 3.686; Comune di Brescello che liquida in complessivi euro 3686; RAGIONE_SOCIALE numeri contro le mafie APS e CISL- Regione Emilia Romagna -, che liquida in complessivi euro 4791,80; CGIL Emilia Romagna che liquida in complessivi euro 3686; Camera del Lavoro Territoriale di Reggio Emilia che liquida in complessivi euro 3686. importi tutti da maggiorarsi degli oneri ed accessori di legge.
Rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese in favore delle parti civili costituite nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Così deciso il 26/02/2025.
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME