Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 11132 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 11132 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/10/2023 della Corte d’appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Torino, decidendo in sede di giudizio di rinvio, ha parzialmente riformato la condanna pronunciata in primo grado dal Tribunale di Torino in data 18 febbraio 2021, nei confronti di COGNOME NOME, per i delitti di millantato credito, falso in certificazioni e truffa, rideterminando la pena in ragione della sentenza di annullamento della Corte di Cassazione del 3 maggio 2023, n. 26793 che, previa riqualificazione dei fatti di millantato credito ex art. 346, comma 2, cod. pen., descritti ai capi 8) e 31), quali ipotesi di truffa, aveva dichiarat l’estinzione del reato di cui al capo 8), per intervenuta prescrizione, e
l’improcedibilità del reato di truffa di cui al capo 31), per difetto di querel rinviando per la rideterminazione della pena per l’ulteriore fatto descritto nel medesimo capo, integrante il delitto di millantato credito ai sensi dell’art. 346, comma 1, cod. pen.
Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 157 cod. pen. e 129 cod. proc. pen.
La Corte territoriale aveva omesso di dichiarare, in primo luogo, la prescrizione dei reati di cui ai capi 9), 12) e 18), relativi ai fatti ivi descritti integranti di cui agli artt. 476, 482, 61 n. 2, cod. pen. commessi al più tardi nell’agosto 2015; secondo il calcolo operato dalla sentenza rescindente nel dichiarare estinto per prescrizione il reato di cui al capo 8), tutti i reati commessi in data anteriore al 1 settembre 2015 erano già prescritti alla data della pronuncia di legittimità; analogamente, era stata omessa la declaratoria di prescrizione per i reati di cui ai capi 20), 27), 31), 32), 17) e 26) mentre, seguendo il medesimo criterio di calcolo, alla data della pronuncia impugnata della Corte d’appello del 13 ottobre 2023 erano maturati i termini massimi di prescrizione per tutti i reati commessi prima del 10 febbraio 2016. Ad avviso del ricorrente, nel caso in esame doveva escludersi l’applicazione del principio di formazione del c.d. giudicato progressivo, dovendo così apprezzarsi anche nel giudizio di rinvio la presenza di cause estintive del reato.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 133 cod. pen., e vizio della motivazione, per manifesta illogicità; il giudice di rinvio, pur in presenza di un mutato quadro complessivo dei reati oggetto di condanna (per le intervenute declaratorie di estinzione e improcedibilità) aveva mantenuto fermo il giudizio sulla gravità complessiva degli addebiti
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Dall’esame della sentenza rescindente risulta che gli unici motivi di ricorso allora proposti, avverso la sentenza in grado di appello, concernevano la qualificazione giuridica dei fatti descritti nei capi 8) e 31) (primo motivo); l’errat riconoscimento della circostanza aggravante ex art. 61 n.7 cod. pen., in relazione ai reati di truffa contestati ai capi 23), 26) e 28) (secondo motivo).
In relazione ai residui reati, per cui vi era stata conferma in grado di appello del giudizio di responsabilità con condanna del ricorrente, non risultavano proposti motivi di ricorso.
Per essi, pertanto, alla luce dell’insegnamento delle Sezioni unite (n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268965 – 01) opera la formazione del giudicato sulle statuizioni di responsabilità, senza possibilità di rilevare successivamente alla sentenza d’appello il maturare di eventuali cause estintive, pur in presenza dell’annullamento della medesima sentenza in relazione ad autonomi capi d’imputazione (n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966 – 01).
Le statuizioni riguardanti i reati di cui ai capi 9), 12) e 18) erano già divenute definitive con l’originaria sentenza d’appello, non impugnata in relazione a quei capi; analoga conseguenza risulta per gli altri reati di cui ai capi 20), 27), 32) e 17).
Per ciò che riguarda il capo della sentenza riguardante il reato di cui al capo 26), che risulta commesso il 26 novembre 2015, come ammesso dallo stesso ricorrente, il termine massimo di prescrizione è maturato prima della sentenza impugnata in questa sede; ma al momento della pronuncia rescindente, che ha rigettato il ricorso proposto avverso quel capo, che è divenuto pertanto irrevocabile il 3 maggio 2023, detto termine non era ancora maturato (poiché, considerando il termine massimo di sette anni e sei mesi, e aggiungendo il periodo di sospensione ex art. 83, comma 4 d.l. 18/2020, si giunge alla data del 19 luglio 2023).
1.2. Resta da considerare la situazione relativa al reato di cui all’art. 346, comma 1, cod. pen., descritto nel capo 31), per cui era stato disposto il rinvio per la determinazione del trattamento sanzioNOMErio.
Secondo una giurisprudenza che può definirsi del tutto consolidata, a partire dalle fondamentali decisioni delle Sezioni unite sul punto (n. 4904 del 26/03/1997, COGNOME, Rv. 207640 – 01; n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239 – 01), in ipotesi di annullamento parziale da parte della Corte di cassazione, le “parti” della sentenza, su cui può formarsi il giudicato parziale, vanno individuate nelle «statuizioni aventi un’autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo le decisioni che concludono il giudizio in relazione ad un determiNOME capo d’imputazione, ma anche a quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame» (così da ultimo Sez. 5, n. 19350 del 24/03/2021, COGNOME, Rv. 281106 – 01; in senso conforme, Sez. 3, n. 18502 del 08/10/2014, dep. 2015, Gusmeroli, Rv. 263636 – 01).
Conseguentemente, ove l’annullamento con rinvio disposto concerne motivi che non attengono al giudizio di responsabilità dell’imputato, si determina il passaggio in giudicato della sentenza su tale parte della decisione e nel successivo giudizio di rinvio non decorrono ulteriormente i termini di prescrizione (Sez. 5, n. 51098 del 19/09/2019, M., Rv. 278050 – 01) come per l’ipotesi, che ricorre nella specie, in cui sia stata rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio
esclusivamente la questione relativa alla determinazione della pena, essendosi formato il giudicato (progressivo) sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della decisione su tali parti, il che impedisc l’applicazione di cause estintive sopravvenute all’annullamento parziale (Sez. unite COGNOME, cit.).
1.2. Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato.
Il ricorrente, nel dedurre il mutamento delle condizioni fattuali che avevano portato il giudice di primo grado a rilevare la gravità dei fatti, alla luce del numero delle imputazioni e delle modalità della condotta, non considera la circostanza secondo cui, ai fini delle valutazioni ex art. 133 cod. pen., anche i fatti di reato per i quali – come nel presente giudizio – sia intervenuta declaratoria di prescrizione, assumono rilevanza quale indice della complessiva gravità del fatto (Sez. 4, n. 18795 del 07/04/2016, P., Rv. 266705 – 01). Pertanto, nessuna illogicità, tantomeno manifesta, si apprezza in ordine alla motivazione che il giudice di rinvio ha posto a base del giudizio di commisurazione del trattamento sanzioNOMErio.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/2/2024