Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34327 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34327 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
NOME NOME NOME. a Savona il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova in data 18/2/2025
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione del AVV_NOTAIO;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno illustrato i motivi, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Genova, giudicando in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione con sentenza della sesta sezione penale n. 26190 del 23/05/2024 limitatamente al trattamento sanzionatorio, in accoglimento del concordato sulla pena proposto dalle parti, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen., determinava in anni quattro di reclusione ed euro 9.000 di multa la pena inflitta a NOME per il delitto di riciclaggio continuato, commesso in concorso con COGNOME NOME nel periodo compreso tra il 19 marzo e il 17 ottobre 2008.
La pronunzia rescindente aveva accolto parzialmente il ricorso straordinario del NOME avverso la decisione della Corte di cassazione che, con sentenza n. 43285 in data 17/10/2023, aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova del 28/03/2023 e, rilevata l’omessa motivazione in ordine al motivo concernente la violazione dell’art. 61 n. 11 cod. pen., aveva revocato la sentenza n. 43285/23, statuendo la giuridica impossibilità di configurare la circostanza aggravante, in relazione alla quale aveva disposto l’annullamento ‘senza rinvio’ della sentenza della Corte d’appello di Genova, cui contestualmente aveva demandato la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. La Corte di legittimità aveva escluso la sussistenza di ulteriori errori di fatto con riguardo alla denunziata omessa assunzione di prova decisiva mediante rinnovazione istruttoria.
Hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’imputato, i quali hanno dedotto i motivi di seguito riportati nei termini strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione degli artt. 625bis , 599bis , 129 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 157 e 158 cod. pen. per effetto dell’omessa declaratoria di estinzione del reato per maturata prescrizione nel giudizio di rinvio a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 26190/2024.
I difensori assumono che il termine RAGIONE_SOCIALE di prescrizione per il reato addebitato al ricorrente, pari ad anni quindici, aumentato del periodo di sospensione (mesi cinque, giorni nove), era spirato in data 27/03/2024 (in epoca precedente alla pronuncia della sentenza n. 26190/2024), sicché la Corte d’Appello in sede di rinvio avrebbe dovuto rilevare la maturata causa estintiva. Osservano al riguardo che con la sentenza n. 26190/2024 questa Corte ha integralmente revocato la precedente pronunzia del 17/10/2023, determinando la riapertura del procedimento a carico del NOME che, in conseguenza, ha riassunto la veste di imputato di talché la Corte genovese, in luogo di accedere al concordato proposto, avrebbe dovuto
dichiarare l’intervenuta prescrizione: statuizione che non poteva ritenersi preclusa in ragione della speciale natura del giudizio ex art. 625bis cod. proc. pen., dal momento che l’accoglimento del ricorso straordinario comporta che la nuova decisione sostituisce la precedente e provoca il venir meno della definitività della condanna, la quale presuppone sia l’accertamento di responsabilità che la quantificazione della pena.
2.2. Violazione degli artt. 624, 599bis , 129, comma 1, cod. proc. pen. in relazione agli artt. 157 e 158 cod. pen. con riguardo all’omessa declaratoria di estinzione del reato da parte della Corte d’Appello nel giudizio di rinvio.
I difensori sostengono che, sulla scorta dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, il giudice è tenuto all’emissione della declaratoria di prescrizione a prescindere dall’accordo che le parti abbiano eventualmente raggiunto sulla pena, giacché la rinunzia alla prescrizione non può essere implicita ma richiede una manifestazione espressa dell’imputato e l’omissione è deducibile in cassazione, come autorevolmente riconosciuto dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19415/2022.
2.3. Violazione degli artt. 624, comma 1, 599bis , 129, comma 1, cod. proc. pen. in relazione agli artt. 157 e 158 cod. pen. per avere la Corte di merito omesso la declaratoria di prescrizione ritenendo la stessa preclusa dalla formazione del giudicato progressivo.
I difensori deducono che, anche a voler intendere il provvedimento di rinvio alla Corte d’Appello di Genova limitatamente al trattamento sanzionatorio quale annullamento parziale ai sensi dell’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., non potrebbe comunque ritenersi formato il c.d. giudicato progressivo sull’accertamento di responsabilità per il fatto contestato, tale da impedire l’emissione di declaratoria estintiva. Al riguardo, manifestano dissenso rispetto all’elaborazione giurisprudenziale del concetto di giudicato parziale in quanto si porrebbe in contrasto con un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 624, comma 1, cod. proc. pen. che tenga conto del fatto che la nozione di giudicato accolta dalla Costituzione ha carattere unitario e coincide con il totale esaurimento, per intervenuta decisione sul punto, di ogni e qualsiasi doglianza che sia stata avanzata al giudice, senza alcuna distinzione tra pronuncia sul fatto e sulla responsabilità e pronuncia sulla pena. Aggiungono che il fatto-reato e la pena non costituiscono due entità giuridiche distinte ma presentano decisive interferenze sicché, nella specie, non essendo definitivo il giudizio complessivo sul riconoscimento della responsabilità e sul trattamento sanzionatorio, la Corte d’Appello avrebbe dovuto pronunciare declaratoria estintiva del reato.
2.4. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 624 cod. proc. pen. per violazione degli artt. 3, 27, commi secondo e terzo, 111, comma secondo, Costituzione.
Secondo i difensori la teoria del giudicato progressivo si pone in contrasto con l’art. 27, comma secondo, Cost. a mente del quale l’imputato non è considerato colpevole fino a
condanna definitiva, che implica l’applicazione di una sanzione penale, come riconosciuto peraltro – dalla stessa giurisprudenza di legittimità che limita l’operatività del giudicato progressivo al giudizio di rinvio in forza di quanto disposto dall’art. 624 cod. proc. pen.
Infatti, alla luce dei principi di legalità, di stretta osservanza delle norme penali e del favor rei deve riconoscersi l’esistenza di una connessione essenziale e di un rapporto di inscindibilità tra il reato e la relativa sanzione per cui il punto della sentenza relativo all’affermazione di responsabilità non è suscettibile di passare autonomamente in giudicato. Sostiene, inoltre, il ricorrente che sotto il profilo della legittimità costituzionale appare arduo giustificare il diverso trattamento riservato all’imputato che non abbia impugnato il punto della sentenza relativo all’accertamento della sua responsabilità (cui consegue una mera preclusione che non esime dall’obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva), rispetto a quello che dovrebbe subire colui che abbia ottenuto la riforma da parte della RAGIONE_SOCIALEzione limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per la relativa quantificazione, con impossibilità di addivenire ad analoga pronunzia. Si tratta, secondo i difensori, di conseguenze manifestamente incongrue sotto il profilo sistematico e incompatibili con i richiamati parametri costituzionali oltre che con quelli concernenti la ragionevole durata del processo e la funzione rieducativa della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza delle censure proposte.
Premessa la deducibilità in questa sede della proposta eccezione alla stregua del principio secondo cui la sentenza resa all’esito di concordato in appello è impugnabile con il ricorso per cassazione quando si deduca l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Fazio, Rv. 284481 – 01), le prime tre collegate censure difensive, tutte incentrate sulla critica all’istituto del giudicato parziale disciplinato dall’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., non paiono – nella loro trattazione unitaria – essere meritevoli di condivisione.
La Corte d’Appello, infatti, ha esattamente interpretato l’ambito del giudizio di rinvio, limitato alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio in esito all’esclusione, direttamente argomentata dalla Corte di legittimità, della circostanza aggravante ex art. 61 n. 11 cod. pen., ed ha recepito il concordato sulla pena proposto dalle parti, all’evidenza ritenendo l’inapplicabilità dell’art. 129 cod. proc. pen. per effetto dell’irrevocabile accertamento della responsabilità del ricorrente in ordine al fatto di reato addebitatogli.
1.1. Va in proposito chiarito che, la fisionomia del giudizio di rinvio conseguente all’annullamento parziale disposto a seguito di ricorso straordinario ex art. 625bis cod. proc.
pen., soggiace alle regole dettate in via generale dagli artt. 623, 624 e segg. del codice di rito; in particolare, a norma dell’art. 627 cod. proc. pen. il ‘giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le limitazioni stabilite dalla legge’ ed è tenuto ad uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per ciò che concerne ‘ogni questione di diritto con essa decisa’.
1.2. La giurisprudenza di legittimità, con orientamento del tutto consolidato, dal quale non vi è ragione di discostarsi, insegna che l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione ai soli fini della rideterminazione della pena comporta la definitività dell’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, sicché la formazione del giudicato progressivo impedisce in sede di giudizio di rinvio di dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (cfr., Sez. 2, n. 20884 del 09/02/2023, COGNOME, Rv. 284703 – 01; Sez. 5, n. 23040 del 08/03/2021, COGNOME, Rv. 281437 – 01; Sez. 5, n. 51098 del 19/09/2019, COGNOME., Rv. 278050 – 01; Sez. 3, n. 54357 del 03/10/2018, COGNOME., Rv. 274129 – 01; Sez. 2, n. 4109 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 265792 – 01).
Questa Corte ha, inoltre, autorevolmente chiarito, con riguardo alla legittimazione alla proposizione del ricorso straordinario per cassazione a norma dell’art. 625bis cod. proc. pen., che la stessa spetta anche alla persona condannata nei confronti della quale sia stata pronunciata sentenza di annullamento con rinvio limitatamente a profili che attengono alla determinazione del trattamento sanzionatorio proprio sulla base della scindibilità del giudicato sull’affermazione di responsabilità rispetto ai profili attinenti alla mera determinazione del trattamento sanzionatorio (Sez. U, n. 28717 del 21/06/2012, COGNOME, Rv. 252935 – 01, in cui si è ritenuto ammissibile il ricorso straordinario proposto avverso la sentenza della stessa Corte che aveva annullato con rinvio la pronuncia di condanna esclusivamente con riferimento alla sussistenza di una circostanza aggravante).
Dalla relazione al codice di procedura penale del 1988 risulta che le disposizioni dettate in tema di annullamento parziale ‘riproducono pressoché integralmente’ quelle del previgente art. 545 cod. proc. pen., ‘salvo lieve modifiche formali’, con la precisazione che ‘tenuto conto della natura meramente ricognitiva del provvedimento che dichiara quali parti della sentenza impugnata diventano irrevocabili …, si è ritenuto necessario prevedere che la Corte, nel caso di specie, non sia tenuta all’osservanza delle particolari forme’ previste in via generale per i procedimenti in camera di consiglio.
Diversamente da quanto assumono i difensori, dunque, la formazione progressiva del giudicato non è frutto dell’interpretazione giurisprudenziale ma specifico istituto positivo, che ha resistito alla radicale riforma dell’assetto processuale entrata in vigore nell’ottobre 1989.
La sostanziale continuità normativa tra la disciplina previgente e quella attuale è ben evidenziata dalla risalente ma puntuale esegesi della giurisprudenza di questa Corte secondo cui la sentenza di annullamento parziale pronunziata dalla Corte di cassazione esaurisce il giudizio in relazione a tutte le disposizioni contenute nella impugnata sentenza e non comprese in quelle annullate, né ad esse legate da un rapporto di connessione essenziale.
2.1. La sentenza del RAGIONE_SOCIALE consesso nomofilattico ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ sottolineava che ‘anche nel giudizio penale, sensibile allo sviluppo dinamico del rapporto processuale, il giudicato può avere una formazione non simultanea, bensì progressiva: ciò accade non solo quando la sentenza di annullamento parziale viene pronunciata nel processo cumulativo e riguarda solo alcuni degli imputati ovvero alcune delle imputazioni contestate, ma anche quando la stessa pronuncia ha ad oggetto una o più statuizioni relative ad un solo imputato e ad un solo capo d’imputazione, perché anche in questa ipotesi il giudizio si esaurisce in relazione a tutte le disposizioni non annullate ne’ a queste inscindibilmente connesse’. ‘Un giudizio, infatti, si esaurisce con la stessa simmetrica progressività con la quale si riduce il suo oggetto, e sia quando la pronuncia di annullamento ha ad oggetto uno o più capi d’imputazione, che quando la stessa decisione interviene in relazione ad uno o più “punti” concernenti una singola accusa, perché sia nell’uno che nell’altro caso la irrevocabilità della decisione rappresenta l’effetto conseguente all’esaurimento del giudizio’. Segnalava ulteriormente che con il termine “parti della sentenza”, l’art. 545 cod. proc. pen. del 1930 – norma integralmente riprodotta nell’art. 624 del cod. proc. pen. del 1988 – ha inteso fare riferimento a qualsiasi statuizione avente una sua autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo alle decisioni che concludono il giudizio in relazione ad un determinato capo d’imputazione, ma anche a quelle che nell’ambito di una stessa contestazione individuano aspetti non più suscettibili di riesame: anche in relazione a questi ultimi la decisione adottata, benché non ancora eseguibile, acquista autorità di cosa giudicata, quale che sia l’ampiezza del suo contenuto (Sez. U, n. 373 del 23/11/1990, dep. 1991, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 186165 – 01), escludendo pertanto che possa essere dichiarata la causa estintiva di un reato (prescrizione) sopravvenuta alla sentenza di annullamento parziale della RAGIONE_SOCIALEzione, quando tale pronuncia ha avuto ad oggetto statuizioni del tutto diverse rispetto al riconoscimento della sussistenza del fatto-reato e della responsabilità dell’accusato, quali quelle relative alla concedibilità di attenuanti generiche ed all’applicabilità di una misura di sicurezza, e rimarcando la necessità di distinguere l’eseguibilità di una sentenza penale di condanna dall’autorità di cosa giudicata attribuibile a una o più statuizioni in essa contenute: si afferma, al riguardo, che ‘… una cosa è la possibilità dell’attuazione delle definitive decisioni contenute in una sentenza, ed altra cosa, ben diversa, è la irrevocabilità della pronuncia in relazione allo sviluppo del rapporto processuale. Nel primo caso la definitività del provvedimento, in tutte le sue possibili componenti, va posta in relazione alla formazione di
un vero e proprio titolo esecutivo, e quindi alla materiale e giuridica possibilità dell’esecuzione della sentenza nei confronti di un determinato soggetto; nel secondo caso, invece, la definitività della pronuncia è conseguente all’esaurimento del giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato’.
Con riguardo alla rilevabilità della causa estintiva ex art. 129 cod. proc. pen., la decisione in esame evidenziava che l’operatività dell’istituto è subordinata alla pendenza di un procedimento avente ad oggetto l’accertamento del fatto contestato e della responsabilità del suo autore, e va conseguentemente esclusa quando il giudizio sull’attribuibilità di un reato ad un soggetto si sia ormai irrevocabilmente concluso.
Quanto al rapporto di connessione essenziale tra le parti annullate della sentenza e quelle sottratte a tale pronuncia, da intendersi come necessaria interdipendenza logica e giuridica tra le diverse statuizioni, di guisa che l’annullamento di una di esse rende inevitabile il riesame di quelle parti che, perché non suscettibili di autonoma decisione, impongono un rinnovato giudizio, la decisione del RAGIONE_SOCIALE consesso escludeva che siffatto rapporto possa essere ravvisato in relazione all’accertamento dell’esistenza di un reato e della responsabilità dell’autore quando sia rimessa in discussione soltanto la dosimetria della pena: princìpi successivamente ribaditi da Sez. U, n. 6019 del 11/05/1993, COGNOME, Rv. 193420 – 01 e da Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196887 – 01.
2.2. Detta ultima decisione confermava, infatti, che in tema di annullamento parziale della sentenza impugnata da parte della cassazione, il principio della formazione progressiva del giudicato – desumibile da una corretta interpretazione del disposto dell’art. 545 comma 1 cod. proc. pen. del 1930 (e parallelamente dell’art. 624, comma 1, nuovo cod. proc. pen.) che ne importa la configurabilità in ordine alle parti non annullate della sentenza concernenti l’esistenza del reato e la responsabilità dell’imputato e non in rapporto di connessione essenziale con quelle annullate, legittima la conclusione che esclude la operatività delle cause di estinzione del reato, relativamente alle parti della decisione sulle quali si è formato il giudicato, non potendo l’art. 152 cod. proc. pen. del 1930 (e l’art. 129 nuovo cod. proc. pen.), che pur prevede l’efficacia di dette cause in ogni stato e grado del procedimento, superare la “barriera del giudicato”, essendosi per quelle parti della sentenza che tale autorità hanno acquistato, ormai concluso, in maniera definitiva, il loro ” iter ” processuale.
Il RAGIONE_SOCIALE consesso chiariva, inoltre, che l’autorità di una cosa giudicata non va scambiata con l’esecutorietà di una decisione, perché l’esecutorietà non è sufficiente ad attribuire ad un provvedimento la suddetta autorità e, talvolta, neppure il carattere della irrevocabilità mentre vi possono essere decisioni aventi autorità di cosa giudicata senza essere in tutto o in parte eseguibili. In particolare, con riferimento all’ipotesi della formazione progressiva del giudicato, conseguente ad annullamento parziale dell’impugnata sentenza da
parte della cassazione, il differimento della “eseguibilità” della sentenza anche nelle parti non annullate ad un tempo successivo – ossia a quello in cui la sentenza sia divenuta definitiva in ogni sua parte – deve ritenersi del tutto legittimo giacché mentre la eseguibilità della sentenza di condanna va posta in relazione alla formazione di un vero e proprio titolo esecutivo e, quindi, alla materiale e giuridica possibilità della esecuzione della sentenza nei confronti di un determinato soggetto, l’autorità di cosa giudicata attribuita ad una o più statuizioni contenute nella stessa sentenza di annullamento parziale è conseguente all’esaurimento del relativo giudizio e prescinde dalla concreta realizzabilità della pretesa punitiva dello Stato.
2.3. Le Sezioni Unite – in occasione della richiamata pronunzia – scrutinarono anche i profili di pretesa incostituzionalità, denunziati in termini sostanzialmente sovrapponibili ai dubbi sollevati dall’odierno ricorrente con il quarto motivo di ricorso, statuendo che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 152, 544 e 545, comma 1, cod. proc. pen. del 1930 (e dell’art. 129 nuovo cod. proc. pen.) fondata sul rilievo che la opponibilità, nel giudizio di rinvio, del giudicato parziale, formatosi su questioni non interessate dall’annullamento, alla operatività dell’art. 152 cod. proc. pen. del 1930, da un lato, realizzerebbe una situazione di disparità di trattamento, denunciabile come violazione dell’art. 3 Cost., rispetto alla analoga situazione che si verificherebbe nel giudizio di appello, nel quale, pur essendo l’ambito della cognizione del giudice determinata dal ” devolutum “, si riconosce l’operatività del suddetto art. 152 pur quando l’impugnazione non abbia investito la sussistenza del reato o la responsabilità dell’imputato, e, dall’altro, violerebbe il principio di cui al secondo comma dell’art. 27 Cost., in quanto il prevenuto verrebbe ad essere considerato colpevole prima della condanna definitiva.
Affermava, in particolare, che deve escludersi la sussistenza, nella specie, della asserita violazione del principio di uguaglianza, giacché questa è configurabile solo nel caso in cui a situazioni eguali corrisponda una irragionevole e, quindi, ingiustificata, diversità di trattamento, mentre il sistema processuale conferisce connotazioni peculiari e differenziate al giudizio di appello ed a quello di rinvio con conseguente esclusione di qualsiasi ingiustificata disparità di trattamento.
Egualmente deve escludersi che esista contrasto tra l’art. 545, comma primo, cod. proc. pen. del 1930 e l’art. 27, comma secondo, Cost., atteso che, la norma ordinaria in questione non potrà mai derogare o contrapporsi al precetto costituzionale dal momento che essa riscontra nel suo significato più ampio il concetto di “condanna definitiva” di cui alla norma costituzionale, attribuendo il crisma della irrevocabilità solo alle parti non annullate della sentenza e non connesse con quelle annullate che, con autorità di cosa giudicata, e pertanto in maniera “definitiva”, abbiano accertato la sussistenza del fatto ed abbiano riconosciuto la
responsabilità dell’imputato, nei cui confronti, quindi, il problema della presunzione di non colpevolezza non risulta neppure proponibile (Sez. U, n. 4460/1994, cit.).
Anche con riguardo alle finalità rieducative della pena, le Sezioni Unite escludevano qualsiasi frizione costituzionale ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità degli artt. 152 e 545, primo comma, cod. proc. pen. del 1930 sollevata in relazione all’art. 27, comma terzo, Cost., sul rilievo che essendo la esecutività della sentenza di condanna, relativamente alle parti coperte dal giudicato parziale, differita al momento in cui la stessa sia divenuta definitiva in ogni sua parte e, quindi, anche oltre i tempi di prescrizione, ciò comporterebbe che il momento della espiazione verrebbe procrastinato contro le stesse finalità rieducative del condannato cui è subordinata, secondo il dettato costituzionale, la sanzione penale, chiarendo che il principio di umanizzazione della pena, fissato nel terzo comma dell’art. 27 Cost., concerne le modalità di espiazione della pena inflitta e le finalità di emenda che, suo tramite, il legislatore si è anche proposto, ma non ricomprende anche la individuazione del momento iniziale della espiazione della pena (Sez. U, n. 4460/1994, cit.), argomenti che mantengono un condiviso valore giuridico anche in relazione al sistema vigente.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguenti statuizioni ex art. 616 cod. proc. pen., come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 25 settembre 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME