Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7696 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7696 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato a CUGNOLI il 08/07/1954 COGNOME nato a TORRE DE’ COGNOME il 15/01/1952
avverso la sentenza del 19/04/2024 della CORTE APPELLO di ROMA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi
Trattazione scritta
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 18328 del 15/11/2022, la Prima Sezione penale di questa Corte ha annullato con rinvio, per motivi meramente formali, la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Roma il 31/01/2022, che, giudicando in sede di rinvio su annullamento di questa Corte (sez. 5, n. 51111 del 16/10/2019), in riforma della sentenza del Tribunale di Cassino del 27 maggio 2014, – con la quale NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati condannati, il solo COGNOME GLYPH per il reato di bancarotta fraudolenta documentale (capo B) ed entrambi per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (capo A), commessi nella gestione della RAGIONE_SOCIALE diochiarata fallita il 07/05/2007 – ha assolto NOME dal reato ascritto al capo A) limitatamente alla cessione dei rami di azienda denominati RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE per non avere commesso il fatto, e ridotto a due anni la pena principale e quelle accessorie di cui all’art. 216, quarto comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267; nonché, quanto alla posizione di COGNOME ha rideterminato la pena inflitta, esclusa l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità quanto ai fatti di bancarotta patrimoniale e documentale, concesse le circostanze attenuanti generiche, in anni due e mesi nove di reclusione con conferma nel resto.
Investita del giudizio di rinvio, la Corte di appello di Roma, con sentenza deliberata il 19/04/2024, esclusa l’aggravante del danno grave con riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione mediante cessione dei rami d’azienda denominati RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, di cui al capo A), ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati perché il reato è estinto per prescrizione; ha quindi rideterminato le pene per i residui reati, concesse le circostanze attenuanti generiche, da ritenersi prevalenti per COGNOME rispetto all’ulteriore aggravante, in anni due mesi sei di reclusione per COGNOME ed in anni due di reclusione per NOMECOGNOME ha infine revocato la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per anni cinque nei confronti del COGNOME e ridotto, per entrambi gli imputati, la misura delle residue pene accessorie previste dall’ultimo comma dell’art. 216 I. fall., a quella della durata della pena principale.
Avverso la sentenza della Corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione i suddetti imputati con unico atto per il tramite del comune difensore avv. NOME COGNOME articolando i seguenti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
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3.1. Con un primo motivo denunciano l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 157 cod. pen, e 624 comma 1 cod. proc. pen., per non avere il giudice del rinvio dichiarato l’estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.
Ha errato la Corte territoriale nel ritenere che alcuni capi della sentenza fossero passati in giudicato all’esito della prima sentenza rescindente della Corte di Cassazione numero 51111/2019, avendo quest’ultima disposto il rinvio alla Corte d’appello di Roma non solo ai fini della quantificazione della pena ma anche per la valutazione nel merito, stante l’omessa valutazione da parte della Corte di appello della documentazione prodotta; il Giudice del rinvio ha quindi errato nel dichiarare estinti per intervenuta prescrizione solo i reati connessi alla cessione dei rami d’azienda denominati RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e non anche quello connesso al subaffitto dell’azienda alla RAGIONE_SOCIALE, azienda che la RAGIONE_SOCIALE aveva a sua volta preso in affitto da terzi; ed infatti lo stesso Tribunale di Cassino aveva definito il predetto contratto di subaffitto come atto prodromico alla successiva cessione dei RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, essendo l’azienda costituita solo dalle licenze delle predette due attività commerciali. Sussisteva quindi un collegamento logico giuridico non solo tra il subaffitto dell’azienda alla RAGIONE_SOCIALE e la successiva cessione dei due bar RAGIONE_SOCIALE e Vega, considerato che l’azienda era già in affitto e proprietaria solo delle licenze dei bar, ma anche con i fatti contestati al capo B) «posto che la valutazione degli stessi non può prescindere, anche solo ai fini sanzionatori, dall’accertamento dei fatti di cui al capo A) ».
3.2. Con un secondo motivo la Difesa denuncia l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 69 e 163 cod. pen.
3.2.1. Con riferimento alla posizione dell’imputato COGNOME si duole la Difesa che la Corte territoriale non abbia concesso le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti nella massima estensione.
3.2.2. Quanto alla posizione di COGNOME ci si duole della mancata concessione della sospensione condizionale della pena, pur ricorrendone i presupposti.
Il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
COGNOME I ricorsi, che presentano tratti di inammissibilità, sono complessivamente infondati e vanno pertanto respinti.
COGNOME Il primo motivo di ricorso, con il quale gli imputati si dolgono della mancata declaratoria di prescrizione dei reati connessi al subaffitto dell’azienda alla RAGIONE_SOCIALE, è infondato.
2.1. GLYPH Giova ricordare che, secondo i principi ripetutamente statuiti da questa Corte in tema di giudicato progressivo, l’art. 624 cod. proc. pen. («Se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata»), pur attenendo ai limiti obiettivi del giudizio di rinvio, all’interno della regolamentazione è inserita, statuisce in maniera sufficientemente chiara l’intrinseca irrevocabilità connaturata alle statuizioni del giudice di legittimità che non riguardano i capi e le parti oggetto di annullamento e non sono in connessione essenziale con quelle per le quali è stato disposto il nuovo giudizio: esse divengono, dunque, definitive ed acquistano autorità di cosa giudicata (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640 – 01), rimanendo irrilevanti tanto l’assenza, nel dispositivo della sentenza rescindente, del dato meramente formale della declaratoria dell’intervenuto passaggio in giudicato della parte non annullata, quanto la temporanea ineseguibilità della decisione, quanto l’eventuale ritardo nella sua esecuzione (Sez. 2, n. 6287 del 15/12/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 217857 – 01; cfr. altresì, tra le pronunce più recenti, Sez. 3, n. 30805 del 15/01/2024, COGNOME, Rv. 286870 – 04).
2.2. GLYPH Ebbene, ciò precisato i termini generali, e venendo al caso che ci occupa, già l’esame dell’imputazione mossa nel capo A) agli imputati evidenzia come i fatti distrattivi agli stessi contestati attenessero a tre distinte operazioni; in particolare la contestazione, cristallizzata nel capo di imputazione, atteneva alla distrazione ed occultamento di tutti i beni della RAGIONE_SOCIALE «mediante la stipula di n. 3 contratti di affitto dell’azienda costituente l’intero patrimonio della RAGIONE_SOCIALE negozi fittizi e destinati a dissimulare il vero fine di occultare i beni aziendali in quanto nel primo, sottoscritto in data 21/6/2004, compariva come affittuaria la RAGIONE_SOCIALE, ovvero la società di cui era all’epoca amministratore unico COGNOME NOME, moglie del COGNOME, e successivamente amministrata dallo stesso COGNOME, gli altri due, rispettivamente del 07/11/2006 e del 06/04/2007, stipulati dal predetto, nei quali contestualmente alla cessione dei rami di azienda della RAGIONE_SOCIALE, venivano volturate in favore dei cessionari le licenze commerciali intestate alla RAGIONE_SOCIALE.
2.3. GLYPH Secondo la pacifica ricostruzione operata concordemente nelle sentenze di merito, RAGIONE_SOCIALE venne costituita nel 1999 e fu amministrata fino al 29/03/2004 da Chiulli, dal 29/03/2004 al 21/06/2004 da NOME e dal 21/06/2004 al fallimento da NOME COGNOME (coimputato nei confronti del quale si è proceduto sepa rata mente).
Tra il 2000 e il 2001 la società apriva una serie di attività, tra le quali, nel novembre del 2000, il RAGIONE_SOCIALE a Venafro e, nel dicembre 2001, il Bar Vega a Sesto Campano. Il 06/07/2004 NOMECOGNOME qualificandosi amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE (pur essendo cessato da tale carica il 21/06/2004), stipulava con NOME COGNOME, moglie di COGNOME, quale amministratore di RAGIONE_SOCIALE un contratto di subaffitto di un’azienda sita in INDIRIZZO che RAGIONE_SOCIALE aveva affittato nel 2000. In epoca prossima al fallimento, COGNOME quale amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE (la società in precedenza amministrata dalla moglie), cedeva il ramo di azienda “RAGIONE_SOCIALE” il 07/11/2006 ad NOME COGNOME e il ramo di azienda denominato “RAGIONE_SOCIALE” a NOME COGNOME il 06/04/2007.
Ciò chiarito, la sentenza rescindente (sez. 5, n. 51111 del 16/10/2019) concludeva quindi che «la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione mediante cessione dei due indicati rami di azienda, nonché, per l’effetto, in relazione al trattamento sanzionatorio (in esso compresa l’irrogazione delle pene accessorie ex art. 216, u.c., I. fall.). con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma, mentre, nel resto, i ricorsi devono essere rigettati».
La Corte di appello in sede di rinvio ha quindi agito correttamente, senza riconsiderare i motivi già coperti dal giudicato: essa, infatti, si è correttamente limitata ad esaminare i motivi per cui è stato disposto l’annullamento, che attenevano esclusivamente alla bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione mediante cessione dei due rami di azienda RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, come chiaramente evincibile dalla lettura della sentenza rescindente, con esclusione del fatto distrattivo costituito dal primo contratto stipulato nel 2004 dal COGNOME che aveva ad oggetto l’azienda (pasticceria) sita in INDIRIZZO INDIRIZZO
Neppure può sostenersi che tra le condotte contestate sussistesse una connessione essenziale, rilevante ex art. 624 c. 1 cod. proc. pen., dal momento che i contratti erano temporalmente lontani nel tempo, ed attenevano a diverse attività.
GLYPH La doglianza avanzata nel secondo motivo con riferimento alla posizione di COGNOME, inerente alla mancata riduzione di un terzo per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondata.
La Corte di merito, in sede di rinvio, ha, in ottemperanza del dictum contenuto nella sentenza rescindente, operato un diverso calcolo della pena inflitta a COGNOME ponendo come pena base quella di anni tre di reclusione e, valutate le già concesse attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante dei più fatti di bancarotta, ha operato la diminuzione della pena base ex art. 62 bis cod. pen., in misura inferiore ad un terzo, in considerazione del «ruolo primario rivestito nell’operazione
fraudolenta», pervenendo alla pena finale di anni due mesi sei di reclusione, pena inferiore a quella precedentemente inflitta.
L’operazione descritta deve ritenersi del tutto legittima, alla luce del condivisibile principio affermato da Sez. 5, n. 15130 del 03/03/2020, Diop, Rv. 279086 – 02, secondo cui «nel giudizio di appello, la riqualificazione del fatto accompagnata dall’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in misura inferiore a quanto statuito in primo grado non integra una violazione del divieto di “reformatio in peius”, atteso che il giudice di secondo grado è tenuto esclusivamente ad irrogare in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta. Si tratta di una scelta esegetica che è stata recentemente ribadita da Sez. 5, n. 209 del 06/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284311 – 01, secondo cui «nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, non viola il divieto di “reformatio in peius” la decisione del giudice di appello che, avendo mutato tutti i componenti del computo della pena per il reato ascritto (mediante la riduzione della pena base, l’esclusione della recidiva e l’effettuazione del bilanciamento, in precedenza omesso, tra le attenuanti generiche e la residua aggravante) operi, per le già concesse attenuanti generiche, una riduzione minore, sia in termini assoluti, sia in termini di rapporto proporzionale, rispetto a quella effettuata, in ordine a tale componente, dal primo giudice».
Nel caso di specie, come visto, la Corte territoriale, nella sentenza rescissoria ha. comminato una pena inferiore a quella precedentemente inflitta: la riduzione in misura inferiore ad un terzo per effetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche, oltre che legittima per i motivi sopra sunteggiati, appare anche supportata da adeguata motivazione, non specificatamente aggredita in seno al ricorso.
4.
Per quanto riguarda la posizione dello NOMECOGNOME per il quale il Giudice di seconde cure ha rideterminato la pena in due anni di reclusione, la doglianza inerente la mancata concessione della sospensione condizionale della pentè inammissibile, non essendo stata la relativa istanza avanzata in sede di merito: dall’esame dell’atto di appello e del verbale di udienza innanzi alla Corte territoriale di merito, risulta infatti che detta richiesta non fosse stata formulata né in atto di gravame né nelle conclusioni.
Va quindi data continuità al principio di diritto già affermato da questa Corte per cui il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio i benefici di legge e una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l’effettivo espletamento del medesimo poteredovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in
appello, neppure con le conclusioni subordinate proposte dall’imputato nel giudizio di primo grado. (sez. 4 n. 29538 del 28/05/2019 Rv. 276596 – 02; in senso conforme Sez. 2, n. 15930 del 19/02/2016 Rv. 266563 – 01).
GLYPH In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati con le conseguenze di legge in ordine all’imputazione delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 6 dicembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente