Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47011 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47011 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN SEVERO il 07/12/1964
avverso l’ordinanza del 29/07/2024 del TRIBUNALE di MASSA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 luglio 2024 il Tribunale di Massa, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza del condannato NOME COGNOME di dichiarare la illegittimità dell’ordine di esecuzione della Procura della Repubblica di Massa del 26 agosto 2013, notificato il 10 giugno 2024, in quanto sprovvisto dell’ordine di sospensione dell’esecuzione di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
In particolare, il giudice dell’esecuzione ha rilevato che l’istante Ł stato condannato per il reato di cui agli artt. 56, 624bis cod. pen. con sentenza del Tribunale di Massa del 10 ottobre 2008 per fatto commesso il 28 febbraio 2007; il fatto era costituito in concreto da un tentato furto in un esercizio commerciale in orario di chiusura dello stesso; la circostanza che nelle more tra l’irrevocabilità della sentenza di condanna e la data di inizio dell’esecuzione sia intervenuta la pronuncia Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, rv. 270076, che ha ridelimitato il concetto di privata dimora agli effetti di cui all’art. 624-bis cod. pen. non incide nel caso in esame, sia perchØ il giudicato preclude al giudice dell’esecuzione la possibilità di dare una diversa qualificazione giuridica al fatto, sia perchØ il caso di specie era stato, in realtà, correttamente qualificato come furto in luogo di privata dimora, considerato che al momento del furto il locale non era aperto al pubblico ed in esso vi erano due lavoratrici che sono state colte di sorpresa.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del
difensore, con unico motivo in cui deduce violazione di legge perchØ la preclusione determinata dal giudicato non Ł conferente con l’oggetto dell’istanza, che chiedeva di rivedere la qualificazione giuridica non per modificare la sentenza di condanna, ma soltanto agli effetti del rapporto esecutivo, che Ł sensibile alle sopravvenienze fino a quando non Ł esaurito.
La motivazione Ł, inoltre, viziata nella parte in cui afferma l’inesistenza nel caso in esame di una sopravvenienza per l’irrilevanza della pronuncia COGNOME sulla qualificazione giuridica del comportamento che ha integrato il reato; infatti, il giudice dell’esecuzione ritiene decisivo, per poter ancora qualificare il furto ai sensi di cui all’at. 624-bis cod. pen., che il soggetto passivo sia titolare di uno ius excludendi alios nei luoghi in cui avviene il furto , ma, in realtà, nel sistema della pronuncia COGNOME, per qualificare un luogo come di privata dimora, occorre verificare che si tratti di locale deputato allo svolgimento di atti della vita privata.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Con memoria scritta il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale ed insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato.
L’ordinanza impugnata Ł retta da doppia motivazione, tecnica argomentativa che comporta l’onere per il ricorrente di attaccare entrambe le motivazioni, a pena di aspecificità dell’impugnazione (Sez. 1, Sentenza n. 38881 del 14/07/2023, COGNOME, n.m.), in quanto afferma che l’istanza del condannato non può essere accolta sia perchØ la riqualificazione giuridica del fatto Ł preclusa dal giudicato, sia perchØ nel caso in esame il furto sarebbe avvenuto comunque in un luogo di privata dimora anche qualora fosse stato valutato alla luce dei criteri interpretativi della pronuncia COGNOME sopra citata.
Il ricorso attacca entrambe le motivazioni, e, nella parte in cui deduce che il reato per cui Ł stato condannato il ricorrente rientra tra quelli che dopo la pronuncia COGNOME non possono essere qualificati come avvenuti in luogo di privata dimora ai sensi dell’art. 624-bis cod. pen., svolge argomentazioni fondate, perchØ, dalla lettura della sentenza del Tribunale di Pistoia del 7 giugno 2011 emerge che il furto Ł avvenuto nella cassa del locale, ovvero in un luogo diverso da quelli in cui ‘il soggetto compia atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento)’ (Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, COGNOME, rv. 270076, in motivazione) cui la pronuncia COGNOME ha riconosciuto il carattere di privata dimora.
Il ricorso non Ł fondato, però, nella parte in cui attacca la motivazione dell’ordinanza impugnata che afferma che la riqualificazione giuridica del fatto Ł preclusa dal giudicato.
Sul punto, il ricorso deduce che la preclusione a rivedere la qualificazione giuridica del fatto determinata dal giudicato, su cui il giudice dell’esecuzione ha fondato la decisione impugnata, sarebbe inconferente con l’oggetto dell’istanza, che chiedeva di rivedere la qualificazione giuridica soltanto agli effetti del rapporto esecutivo, che Ł sensibile alle sopravvenienze fino a quando non Ł esaurito.
L’argomento Ł infondato. La giurisprudenza di legittimità Ł, infatti, costante nel ritenere che la sentenza di condanna passata in giudicato non possa essere revocata, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., nØ interamente nØ parzialmente, nell’ipotesi in cui, in assenza di innovazione legislativa ovvero di declaratoria di incostituzionalità, si verifichi un mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale di una disposizione rimasta invariata, incidente sull’incriminabilità della condotta, o
sul trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 11076 del 15/11/2016, dep. 2017, Bibo, Rv. 269759; Sez. 1, n. 20476 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 259919; Sez. 1, n. 13411 del 21/02/2013, COGNOME, Rv. 255364; Sez. 1, n. 27858 del 13/07/2006, COGNOME, Rv. 234978; Sez. 1, n. 27121 del 11/07/2006, COGNOME, Rv. 235265), in quanto tale mutamento – anche se sancito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione – Ł privo della capacità di innovare il diritto oggettivo, diversamente implicando tale operazione una modifica sostanziale del giudicato fuori dai casi previsti dalla legge.
L’orientamento della Corte di legittimità trova riscontri in quello del giudice delle leggi, atteso che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 230 del 08/10/2012, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 673 cod. proc. pen. nella parte in cui non include tra le ipotesi di revoca della sentenza di condanna anche il mutamento giurisprudenziale determinato da una decisione delle sezioni unite della Corte di cassazione in base al quale il fatto giudicato non Ł previsto dalla legge come reato, non sussistendo la violazione dell’art. 117, primo comma Cost. per contrasto con l’art. 7 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo atteso che questa, pur affermando che la norma convenzionale sancisce implicitamente il principio di retroattività della lex mitior , non hai mai riferito tale principio ai mutamenti di giurisprudenza ed ha escluso che esso possa operare oltre il limite del giudicato.
Il ricorso deduce che nel caso in esame questa giurisprudenza non si applicherebbe, perchŁ l’istanza non chiedeva la revoca della sentenza di condanna, ma soltanto la riqualificazione giuridica del fatto agli effetti del rapporto esecutivo, ed in particolare della sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.
L’argomento Ł infondato. L’incidenza sul rapporto esecutivo di una sopravvenienza giurisprudenziale, in assenza di innovazione legislativa ovvero di declaratoria di incostituzionalità, Ł stata già portata all’attenzione della Suprema Corte in diverse occasioni, ed a diversi fini, ottenendo sempre una risposta negativa da parte della Suprema Corte.
In una fattispecie in cui era stato chiesto al giudice dell’esecuzione di rivedere la qualificazione giuridica del fatto ritenuta in sentenza eliminando una aggravante che era stata giudicata sussistente (l’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309), ma che avrebbe dovuto, invece, essere esclusa alla luce della successiva pronuncia della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ha delimitato i contorni della fattispecie in modo diverso da come era stato ritenuto dalla sentenza di condanna passata in giudicato (il riferimento Ł a Sez. U, Sentenza n. 36258 del 24/05/2012, P.G. e COGNOME, Rv. 253150), questa Sezione, con la pronuncia n. 11076 del 15/11/2016, dep. 2017, Bibo, sopra citata, ha ritenuto non rilevante, in assenza di innovazione legislativa ovvero di declaratoria di incostituzionalità, la sopravvenienza giurisprudenziale anche ai soli effetti della quantificazione della pena in esecuzione, affermando, in particolare in motivazione che ‘Ł da ritenersi pacifico che la evoluzione giurisprudenziale di criteri interpretativi relativi ad una fattispecie incriminatrice o dei margini applicativi di una circostanza aggravante, anche quando si risolva in un potenziale vantaggio per l’accusato (come nel caso in esame), non può comportare la rimozione del giudicato (ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen.), trattandosi di fenomeno fisiologico di tipo interpretativo correlato alla evoluzione della giurisprudenza – teso a produrre i suoi effetti esclusivamente per i procedimenti in corso (peraltro senza alcuna efficacia vincolante, non trattandosi di una legge e non essendovi vincolo alcuno per il giudice procedente)-, e non in una abolitio criminis formale o in una declaratoria di incostituzionalità , i cui effetti vanno obbligatoriamente dichiarati anche in sede esecutiva (sul tema, Corte Cost. n.230 del 2012 con ampia indicazione delle ragioni sistematiche e ordinamentali che impediscono la parificazione degli effetti tra intervento legislativo, declaratoria di incostituzionalità e ricognizione dei contenuti delle norme da parte della giurisprudenza della corte di cassazione). In tal senso, le stesse Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente precisato, in riferimento al solo caso di abolitio
criminis (sia pure riconosciuta come tale da un intervento giurisprudenziale successivo) che il giudice dell’esecuzione può revocare, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., una sentenza di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, allorchØ l’evenienza di detta abolitio criminis non sia stata rilevata nŁ apprezzata dal giudice della cognizione (atteso che in caso diverso ci si trova di fronte ad errore di diritto, emendabile solo in sede di impugnazione), precisando altresì che la revocabilità della sentenza deve invece essere esclusa nella diversa ipotesi in cui, in assenza di interventi del legislatore, si verifichi un mutamento dell’interpretazione giurisprudenziale di una disposizione rimasta invariata, in quanto tale mutamento – anche se sancito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione – non determina alcun effetto abrogativo della disposizione interpretata (Sez. U n. 26259 del 29.10.2015, dep. il 23.6.2016, rv 266872)’.
Nello stesso senso della pronuncia Bibo si Ł espressa piø di recente la giurisprudenza di legittimità nella sentenza Sez. 1, n. 39388 del 29/03/2023, COGNOME n.m., che ha vagliato un caso in cui era stata chiesta al giudice dell’esecuzione – alla luce della successiva sentenza Sez. U n. 23400 del 27/01/2022, COGNOME, Rv. 283191 che aveva stabilito che «La durata della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività soggiace al limite di sei mesi, previsto dal combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. trans. cod. pen. e 54, comma 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, nonchØ a quello, se inferiore, stabilito dall’art. 165, comma primo, cod. pen. in relazione alla misura della pena sospesa» – la rideterminazione della durata del periodo di sottoposizione all’obbligo di prestare attività lavorativa non retribuita cui era stato subordinato nella sentenza passata in giudicato il beneficio della sospensione condizionale della pena. Anche in quel caso la Corte ha ritenuto che la formazione del giudicato precludesse la possibilità di intervenire in executivis sulla pena determinata in sentenza.
Nel medesimo senso si Ł pronunciata anche Sez. 3, Sentenza n. 32469 del 01/06/2023, Stea, Rv. 284904, in un caso in cui era stato chiesto, invece, al giudice dell’esecuzione di eliminare – per il contrasto con il principio di diritto affermato dalla successiva sentenza Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278870 – la statuizione accessoria della confisca di una sentenza di primo grado in cui era stata dichiarata la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva.
Il medesimo indirizzo giurisprudenziale si Ł affermato anche in un caso in cui il mutamento di indirizzo giurisprudenziale era stato conseguenza di una pronuncia non della Corte di Cassazione, ma della Corte europea dei diritti dell’uomo (il riferimento Ł, in particolare, alla pronuncia 10/02/2009 COGNOME c. Russia, che ha escluso il concorso formale tra i reati di detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di un’arma clandestina ed i corrispondenti reati riferiti alla medesima arma comune da sparo); anche per un caso quale quello in esame Sez. 7, n. 10458 del 25/01/2019, COGNOME Rv. 276294, in motivazione, ha ritenuto che si tratta di una sopravvenienza priva della capacità di innovare il diritto oggettivo.
D’altronde, l’interpretazione di una fattispecie penale da parte, in particolare, come nel caso in esame, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione non Ł assimilabile ad una abolitio criminis di tipo legislativo, nŁ ad una declaratoria di totale o parziale illegittimità costituzionale della norma, perchŁ rappresenta un fenomeno fisiologico atteso che la delimitazione dei confini di una fattispecie penale fa parte dell’attività di ricognizione dei contenuti delle disposizioni incriminatrici che Ł affidata per sua natura all’evoluzione continua della giurisprudenza.
Il ricorso deduce che il caso in esame presenta delle particolarità, perchØ al giudice dell’esecuzione non Ł stato chiesto di revocare nØ in tutto, nØ in parte, la sentenza di condanna, ma soltanto di riqualificare il fatto agli effetti della sospensione dell’esecuzione della pena, ma, in realtà, l’accoglimento della richiesta della parte ricorrente comporterebbe comunque una revoca parziale della sentenza di condanna, anche se soltanto in punto di qualificazione giuridica, posto che la
qualificazione giuridica del fatto Ł, a tutti gli effetti, uno dei contenuti della sentenza di condanna ed un passaggio preliminare alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
Peraltro, nei termini in cui Ł formulata, la richiesta del ricorrente finirebbe anche per creare un ibrido, perchŁ alla riqualificazione del fatto in furto semplice ai sensi dell’art. 624 cod. pen. si assocerebbe, però, il mantenimento della pena inflitta per la fattispecie di reato piø grave.
NØ tantomeno Ł possibile, come chiede il ricorrente, lasciare immutata la qualificazione giuridica del fatto in sentenza come reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., ma porre in esecuzione la condanna come se fosse stato accertato un furto ai sensi dell’art. 624 cod. pen., posto che Ł principio generale che ‘la ricognizione della fattispecie ostativa alla sospensione vada effettuata avendo riguardo al delitto come accertato dal giudice della cognizione’ (da ultimo, Sez. 1, n. 20544 del 30/01/2024, COGNOME, n.m.).
In definitiva, come evidenzia la sentenza Bibo, riconoscere il potere di rivedere la qualificazione giuridica del fatto ai soli effetti esecutivi per effetto di un mutamento di interpretazione giurisprudenziale verificatosi in epoca posteriore rispetto alla formazione del giudicato significherebbe attribuire al giudice dell’esecuzione un potere di intervento atipico sulla qualificazione giuridica, che non Ł previsto da nessuna norma di legge.
Il ricorso Ł, pertanto, infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 20/11/2024
Il Consigliere estensore
CARMINE RUSSO
Il Presidente NOME COGNOME