Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28897 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28897 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GIOIOSA JONICA il 29/07/1957
avverso la sentenza del 19/03/2024 della Corte d’appello di Reggio Calabria Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 27 aprile 2011, il Tribunale di Messina condannava NOME COGNOME alla pena complessiva di anni undici, mesi otto di reclusione ed euro 300 di multa per i reati di cui ai capi A) (associazione finalizzata allo spaccio di stupefacenti) e C) (cessione, acquisto e detenzione di kg. 3,663 di hashish), nonché alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione ed euro 300 di multa per il reato di cui al capo H) (spendita di banconote contraffatte).
La Corte di appello di Messina, con pronuncia del 25 maggio 2012, in parziale riforma della decisione di primo grado, rideterminava la pena inflitta al prevenuto in anni 12 e mesi 6 di reclusione, ritenuta la continuazione tra tutti i reati ascritti.
L’imputato proponeva nuovamente ricorso per cassazione e la Suprema Corte, con decisione del 23 maggio 2013, annullava la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A), con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Reggio Calabria, rigettando nel resto i ricorsi.
In sede di giudizio rescissorio, la Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 20 maggio 2015, confermava (con riferimento al capo A) la pronuncia emessa dal Tribunale di Messina del 27 aprile 2011.
L’imputato impugnava anche questa decisione e la Corte di cassazione, con sentenza del 30 novembre 2016, annullava nuovamente la pronuncia con riferimento al delitto di cui al capo A), rinviando per ulteriore esame ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
All’esito del secondo giudizio rescissorio, la Corte territoriale reggina, con sentenza del 19 marzo 2024, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Messina in data 27 aprile 2011, assolveva l’imputato dal reato di cui al capo A) “perché il fatto non sussiste”, e, per l’effetto, rideterminava la pena con riferimento al capo C) nella misura di anni due, mesi sei di reclusione ed euro 5.500 di multa, confermando nel resto la pronuncia impugnata.
Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, deducendo quattro motivi di impugnazione.
2.1 Con il primo motivo, il ricorrente eccepisce il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., sostenendo che il giudice ha omesso di dichiarare l’intervenuta prescrizione dei reati indicati nei capi C) e H) dell’imputazione.
Il difensore rileva che la sentenza della Corte di cassazione del 23 maggio 2013, pur annullando con rinvio limitatamente al capo A) e rigettando i ricorsi nel resto, non avrebbe determinato il passaggio in giudicato dei capi C) ed H) in quanto questi ultimi sarebbero in connessione essenziale con il reato associativo, rispetto al quale il sig. COGNOME è stato poi assolto.
A sostegno d ell’assunto , evidenzia che lo spaccio di hascisc e la spendita di monete falsificate erano stati qualificati come reati “satellite” della contestazione associativa e le
relative pene erano state determinate in continuazione con il reato di cui all’art.74 D.P .R . 309/90.
Aggiunge, inoltre, che per i reati di cui ai capi C) ed H) la pena non fu mai posta in esecuzione nei confronti del ricorrente.
2.2 Con il secondo motivo, dedotto in subordine, il ricorrente lamenta la violazione di legge consistente nell’inosservanza dell’art. 172 cod. pen., avendo il giudice omesso di dichiarare l’estinzione per prescrizione delle pene della reclusione e della multa.
Sostiene che, in alternativa alla tesi sostenuta nel primo motivo, dovrebbe ritenersi intervenuta l’irrevocabilità della condanna in data 23 maggio 2013, sia quanto al reato di spaccio di cui al capo C), sia quanto a quello di spendita di banconote contraffatte di cui al capo H).
Pertanto, secondo i criteri temporali di cui all’art. 172 cod. pen., la pena comminata per questi reati si sarebbe estinta il 23 maggio 2023, essendo già decorso a quella data un periodo di 10 anni dalla irrevocabilità della sentenza di condanna. Aggiunge che non sussistono cause ostative all’operatività dell’istituto.
2.3 Con il terzo motivo, proposto in ulteriore subordine, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod.proc.pen., la mancanza di motivazione in ordine alla rideterminazione della pena effettuata dalla Corte territoriale con riferimento al reato di cui al capo C), in conseguenza dello scioglimento del vincolo della continuazione con il reato per cui è stato assolto.
Rileva che la Corte di appello si sarebbe limitata ad affermare di ritenere equa, in virtù dei parametri di cui all’art. 133 del codice penale, la pena di anni due e mesi sei di reclusione ed euro 5.500 di multa, lievemente discostata dal minimo edittale previsto dal comma 4 dell’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, senza spiegare le ragioni di tale quantificazione. I parametri di cui all’art. 133 cod. pen. sarebbero stati solo genericamente richiamati, senza alcuna specifica indicazione di quali di essi siano stati applicati nel caso concreto.
2.4 Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la mancanza assoluta di motivazione, ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla “conferma nel resto” della sentenza impugnata e, conseguentemente, in relazione alla determinazione della pena anche in relazione al capo H) di imputazione.
Evidenzia che per il reato di cui al capo H), originariamente contestato ai sensi degli artt.81, 112, n. 1 e 453, comma 3, cod. pen., poi derubricato nel meno grave reato di cui all’art. 455 cod. pen., la Corte di appello di Messina aveva originariamente ritenuto la continuazione interna con gli altri due reati, tra i quali il ben più grave reato associativo, comminando una sanzione per l’aumento di mesi 6 di reclusione.
La Corte di appello di Reggio Calabria in sede di rinvio avrebbe, pertanto, dovuto motivare l’applicazione della stessa misura di pena, oggi riferita al solo capo C) di imputazione, essendo stato escluso il più grave reato associativo.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La censura muove dall’assunto secondo cui la prima pronuncia rescindente della Corte di cassazione, pur avendo disposto l’annullamento con rinvio della sentenza d’appello limitatamente al reato associativo e rigettato nel resto i motivi di ricorso, non avrebbe determinato il passaggio in giudicato delle statuizioni concernenti i reati satellite, in considerazione del rapporto di connessione essenziale che legherebbe questi ultimi alla contestazione associativa.
L’ impostazione non può essere condivisa, poiché si pone in contrasto con il chiaro e consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità in materia di formazione del giudicato parziale.
1.1. L’art. 624, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che, se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata.
Secondo ormai consolidati insegnamenti della Suprema Corte, per “parti” della sentenza su cui può formarsi il giudicato parziale si intendono le statuizioni aventi un’autonomia giuridico-concettuale e, quindi, non solo le decisioni che concludono il giudizio in relazione ad un determinato capo d’imputazione, ma anche quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame (Sez. 5, n. 19350 del 24/03/2021, COGNOME, Rv. 281106; Sez. 3, n. 18502 del 08/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263636; Sez. 4, n. 9114 del 24/09/1996, COGNOME, Rv. 206103; Sez. 1, n. 11041 del 05/10/1995, COGNOME, Rv. 202860).
Il suddetto orientamento ha messo in evidenza come per “parti non annullate della sentenza” debbano intendersi quelle in ordine alle quali si è ormai del tutto esaurita ogni possibilità di decisione del giudice di merito e, contestualmente, completato l’iter processuale e che hanno, così, acquistato, perché definitive, “autorità di cosa giudicata”. È stato inoltre chiarito che il rapporto di connessione essenziale tra le parti annullate e quelle mantenute della sentenza non si basa sui criteri dell’art.12 cod.proc.pen., che disciplina la connessione ai fini della competenza. Si tratta invece di un legame di interdipendenza logico-giuridica tra le diverse parti della decisione nel senso che l’annullamento di una di esse provochi inevitabilmente il riesame di altra parte della sentenza seppur non annullata (Sez. U, n. 373 del 23/11/1990, dep. 1991, COGNOME, Rv. 186165; Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196887).
In tal senso la Suprema Corte ha avuto modo di puntualizzare che in ipotesi di annullamento parziale con rinvio a norma dell’art. 624 cod. proc. pen. della sentenza di condanna soltanto per alcuni reati, l’eventuale modifica del trattamento sanzionatorio finale, a seguito dell’assoluzione pronunciata dal giudice del rinvio, non incide sui fatti non interessati dalla sentenza parzialmente rescindente, con la conseguenza che il nuovo assetto
sanzionatorio disposto non rileva ai fini del computo dei termini di prescrizione dei reati già irrevocabilmente accertati (Sez. 1, n. 5753 del 09/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265994).
Nello stesso senso le Sezioni Unite hanno confermato che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (S.U. n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268966).
In sintesi, e per quanto di interesse in questa sede, l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione ai soli fini della rideterminazione della pena comporta la definitività dell’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, sicché la formazione del giudicato progressivo impedisce, in sede di giudizio di rinvio, di dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale (Sez. 2, n. 4109 del 12/01/2016, NOME, Rv. 265792).
La pronuncia da ultimo indicata richiama espressamente la sentenza delle Sezioni Unite “COGNOME” (Sez. un., 19.1.2000, COGNOME), che ha posto in rilievo la distinzione tra “capi” e “punti” della sentenza, da tempo utilizzata anche dalla dottrina per individuare l’ambito dell’effetto devolutivo dei mezzi di impugnazione e le situazioni processuali in presenza delle quali è giustificato configurare il giudicato. Secondo questa fondamentale pronuncia, è indubbiamente riconosciuta dalla legge l’autorità del giudicato sia ai capi che ai punti della sentenza non oggetto di annullamento.
1.2. Applicando tali principi al caso di specie, si osserva che la sentenza della Suprema Corte del 23 maggio 2013 aveva disposto l’annullamento con rinvio limitatamente al reato associativo di cui al capo A), con conferma delle statuizioni relative ai capi C) e H) per i quali non sussiste alcuna “connessione essenziale” – nell’accezione tecnico-giuridica sopra delineata – con la contestazione associativa.
L’asserito vincolo di interdipendenza tra i reati-fine (capi C e H) e il reato associativo (capo A) non è idoneo a configurare quella “connessione essenziale” che, ai sensi dell’art. 624, comma 1, cod. proc. pen., impedisce la formazione del giudicato parziale.
Infatti, il rapporto di connessione essenziale non può essere ricondotto alle ipotesi disciplinate dall’art. 12 cod. proc. pen., richiamate dal ricorrente, ma deve essere inteso come necessaria interdipendenza logico-giuridica tra le parti della decisione, nel senso che l’annullamento di una di esse provochi inevitabilmente il riesame di altra parte della sentenza seppur non annullata.
Nel caso di specie, l’accertamento della responsabilità dell’imputato in ordine ai reati-fine di cui ai capi C) e H) è del tutto indipendente dalla verifica dell’esistenza della contestata associazione delittuosa, potendo i primi sussistere anche in assenza della seconda. La
connessione materiale o probatoria tra tali fattispecie non integra quella connessione essenziale rilevante ai fini dell’art. 624 cod. proc. pen.
D’altra parte, l’unico ambito tangibile della pronuncia in relazione ai capi non annullati poteva riguardare esclusivamente il trattamento sanzionatorio, in quanto venuto meno il reato associativo (sulla base del quale era stata determinata la pena complessiva in continuazione), occorreva rideterminare la pena per i reati residui.
1.3. Va infine rilevato che, seguendo l’interpretazione proposta dal ricorrente, si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza di consentire la dichiarazione di estinzione per prescrizione di reati in relazione ai quali si è già formato il giudicato, in palese violazione del principio di intangibilità del giudicato che rappresenta un cardine dell’ordinamento processuale penale.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, anche nell’ipotesi di annullamento parziale, “la sentenza che afferma la responsabilità penale dell’imputato è il presupposto logico-giuridico della parte contenente la specifica condanna (determinazione della pena): entrambe costituiscono ‘disposizioni della sentenza’, venendo anzi esaltata la pregiudizialità della prima con l’autonomia concettuale che le è propria in funzione della seconda, che è di norma consequenziale. Ecco perché, se l’annullamento è parziale e non intacca la prima delle due disposizioni, la sentenza acquista ‘autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata’” (Cass. SS.UU., ud. 26.3.97, Attinà, cit.).
1.4. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che il motivo di ricorso sia manifestamente infondato, non sussistendo alcuna violazione dell’art. 624 cod. proc. pen. da parte della Corte territoriale che correttamente non ha dichiarato la prescrizione dei reati di cui ai capi C) e H), essendosi su tali capi formato il giudicato parziale a seguito della sentenza di annullamento con rinvio limitato al solo capo A)
2.Il secondo motivo è manifestamente infondato
Il secondo motivo di ricorso, riguardante la violazione di legge per inosservanza della disciplina penale di cui all’art. 172 cod. pen. e la mancata declaratoria di estinzione per prescrizione delle pene della reclusione e della multa, è manifestamente infondato.
La censura non può essere accolta per le seguenti ragioni .
La giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione ha chiarito che l’istituto della prescrizione della pena, disciplinato dall’art. 172 cod. pen., presuppone l’esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna e la mancata esecuzione della pena. Questo istituto è concettualmente e giuridicamente distinto dalla prescrizione del reato, che estingue il reato prima della formazione del giudicato.
Come stabilito dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME e altri (Rv. 196889-01), il momento da cui decorre il termine di prescrizione della pena coincide con quello in cui interviene la sentenza irrevocabile di condanna. La definitività della decisione ed i
suoi effetti vincolanti e preclusivi sono ricollegati dalla legge alla pronuncia del giudice nella sua interezza.
Di recente, sempre le Sezioni Unite hanno precisato che, in caso di annullamento parziale di una sentenza di condanna in relazione ad uno o più capi per i quali sia stata ravvisata la continuazione con quello, o con quelli, che, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen., hanno acquistato autorità di cosa giudicata, la pena inflitta in relazione al capo, o ai capi, divenuti irrevocabili può essere posta in esecuzione solo a condizione che in esso sia stato irrevocabilmente individuato il reato più grave, anche in relazione alle circostanze, e la pena stessa presenti i caratteri della completezza, essendo insuscettibile di modifiche nel giudizio di rinvio, e della certezza, in quanto individuabile sulla base delle sentenze rese nel giudizio di cognizione e non attraverso ragionamenti ipotetici (Sez. U, Sentenza n. 3423 del 29/10/2020. Rv. 280261 -03).
Nel caso di specie, come già rilevato nell’esame del primo motivo, sui capi C) e H), l’individuazione del reato più grave e la determinazione della pena da eseguire per il reato continuato, sono state indiscutibilmente fissate nella sentenza del 19 marzo 2024, peraltro ancora sub iudice , sicché l’eccepita estinzione della pena non è neppure astrattamente ipotizzabile.
Per tali ragioni, il secondo motivo di ricorso deve ritenersi manifestamente infondato, non sussistendo i presupposti per la declaratoria di estinzione della pena per decorso del tempo ex art. 172 cod. pen.
Il terzo motivo, con il quale si contesta il difetto di motivazione sulla quantificazione della pena per il reato di cui al capo C), è infondato.
Questa Corte ha avuto più volte modo di precisare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione – non sindacabile in sede di legittimità – è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (ex multis, Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017. Mastro, Rv. 271243).
È stato altresì precisato che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale che deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288).
Nel caso di specie, quindi, va rilevato come la pena concretamente inflitta per il capo C) (ritenuto come reato più grave) sia stata applicata dai giudici di merito in misura notevolmente inferiore alla media edittale, ragione per la quale non può ravvisarsi alcuna carenza motivazionale sullo specifico punto, atteso che la Corte distrettuale ha puntualmente richiamato i parametri di cui all’art. 133 cod.pen., ritenendo equa la pena come determinata .
Ugualmente infondato è il quarto motivo , concernente l’omessa motivazione sulla determinazione dell’aumento per continuazione in ordine al capo H, confermato nella misura di mesi 6 di reclusione.
Si rammenta che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il solo reato più grave, il giudice, nel determinare la pena per il reato residuo, meno grave, non è vincolato alla quantità di pena individuata quale aumento ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. ma, per la regola del divieto di reformatio in peius , non può irrogare una pena che, per specie e quantità, costituisca un aggravamento di quella individuata, nel giudizio precedente all’annullamento parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione (ex multis, sent. n. 13806 del 07/03/2023, Rv. 284601 -01; n. 16995 del 2022 Rv. 283113 – 01; n. 34497 del 2021 Rv. 281831 – 01, n. 2692 del 2023 Rv. 284301 01; n. 4162 del 2013 Rv. 254263 – 01 Rv. 254263 – 01).
Inoltre, in tema di reato continuato, il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6 – , Sentenza n. 44428 del 05/10/2022 Ud. (dep. 22/11/2022 ) Rv. 284005 -01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha prestato osservanza ai suddetti principi, non avendo irrogato una pena che, per specie e quantità, costituisca un aggravamento di quella individuata, nel giudizio precedente all’annullamento parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione e avendo confermato l’aumento per il reato sub H) , in misura contenuta e perciò tale da escludere, in radice, ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. .
Alla declaratoria di rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 27/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME