Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47344 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47344 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Marsala il 01/02/1959, avverso la sentenza del 15/02/2024 della Corte di appello di Palermo.
PROCEDIMENTO A TRATTAZIONE SCRITTA
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che
Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 febbraio 2024 la Corte di appello di Palermo, giudicando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento disposto da questa Corte «limitatamente al punto della sospensione condizionale della pena e a quello della sostituzione della pena», ha confermato quella del 13 ottobre 2020 con la quale il Tribunale di Marsala aveva condannato NOME COGNOME alla pena di mesi 6 di reclusione ed C 200 di multa per il reato di cui agli articoli 81 cpv., 624, 625 n. 2 e 99 cod. peri., commesso in Marsala dal marzo 2013 al marzo 2018, per aver sottratto alla società fornitrice complessivi 9.084 kwh di energia elettrica, per un valore di C 1.868,58, «mediante manomissione del contatore
(che si presentava con misuratore, vite imq e tenori posteriori manomessi) così da sottomisurare l’energia prelevata con un errore del -74,77°/o».
Il primo giudice, ritenuti provati i fatti, aveva riconosciuto al COGNOME le circostanze attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata recidiva.
La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 30 novembre 2021, aveva confermato la sentenza di condanna, rigettando tanto i motivi relativi alla responsabilità del COGNOME, quanto quelli relativi al trattamento sanzionatorio.
Con sentenza n. 7221 del 12 dicembre 2022, la Quinta Sezione di questa Corte aveva annullato in parte con rinvio la sentenza della Corte territoriale, rilevando che «La Corte di appello non si è pronunciata sulle richieste di sospensione condizionale della pena e di sostituzione della pena detentiva con pena pecuniaria, nonostante abbia dato atto di tali richieste nel riassumere i motivi di gravame».
Giudicando in sede di rinvio, la Corte di appello di Palermo, con la sentenza oggi impugnata, confermava quella di prime cure, rilevando, quanto alla richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena, che «non sussistono i presupposti di legge per la concessione di tale beneficio, atteso che, come emerge dal certificato del casellario giudiziale del COGNOME, il predetto ha già riportato tre condanne definitive, di cui due a pena detentiva (per i reati di ricettazione e danneggiamento), e ha già beneficiato due volte della sospensione condizionale della pena», ritenendo irrilevante, a norma dell’art. 164, ultimo comma, cod. pen., che l’ultima condanna a pena sospesa fosse divenuta irrevocabile il 17 ottobre 2022, e, dunque, in epoca successiva alla pronuncia di primo grado, ed avesse ad oggetto fatti successivi, in quanto commessi nel giugno del 2019, evidenziando, in ogni caso, che «la personalità negativa dell’imputato, come desumibile dagli anzidetti precedenti penali», impedisse di formulare la valutazione prognostica favorevole prodromica al riconoscimento del beneficio.
Quanto alla richiesta di sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria, osservava che «ostano all’accoglimento della stessa gli indici di cui all’art. 133 c.p. e, in particolare, la “capacità a delinquere del colpevole”, desunta: dai plurimi precedenti penali a suo carico, nonché dai suoi precedenti giudiziari» per condotte medio tempore depenalizzate, «dalla evidente insensibilità del COGNOME rispetto al precetto penale, considerato che i fatti di danneggiamento di cui alla sentenza del Tribunale di Marsala divenuta irrevocabile il 17.10.2022 sono successivi a quelli per cui oggi si procede; dalle complessive condizioni di vita del reo (come desumibili dalla tipologia di delitti per i quali ha subito una condanna definitiva, dalla natura del reato per cui si
procede e dalle condotte depenalizzate risultanti dal suo casellario), che non consentono di formulare una prognosi favorevole circa l’adempimento delle prescrizioni applicabili e il conseguimento di un suo pieno reinserimento sociale».
Il difensore di fiducia del COGNOME, Avv. NOME COGNOME ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Palermo, articolando tre motivi con i quali deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Con il primo motivo chiede emettersi sentenza di non luogo a procedere per mancanza della condizione di procedibilità, atteso che il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, certamente applicabile anche a reati commessi prima della sua entrata in vigore, ha reso il delitto contestato al COGNOME procedibile a querela, che nel caso di specie non è stata sporta.
Con il secondo motivo si duole del rigetto della richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, intervenuto nonostante «gli effetti estintivi di cui agli artt. 167 c.p. e 445 c.p.p. già conseguiti ipso iure rispetto alla sentenza che, per la prima volta, aveva riconosciuto il beneficio in essere», e nonostante il reato di danneggiamento valorizzato dalla Corte territoriale fosse stato commesso in epoca successiva rispetto a quella in cui furono commessi i fatti qui in contestazione.
Con il terzo motivo si duole della statuizione relativa alla sostituzione della pena – che era stata richiesta non solo con riferimento alla pena pecuniaria, ma, in senso più ampio (tramite il generico riferimento all’art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689), invocando l’applicazione della sanzione più adeguata al reinserimento sociale del COGNOME (ad esempio, la libertà vigilata) – che la Corte avrebbe potuto senz’altro concedere valorizzando «il contegno collaborativo dell’imputato in occasione della verifica , avendo egli consentito senza remore l’accesso alla sua abitazione», nonché la risalenza dei precedenti penali; del tutto incongruo, e smentito dalla recente giurisprudenza di legittimità, appare, invece, il riferimento della Corte territoriale alle condizioni di vita del COGNOME, essendosi statuito che la sostituzione delle pene detentive brevi è consentita anche in relazione a condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate.
Il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
Quanto al primo motivo, evidenzia che la statuizione relativa alla responsabilità dell’imputato è divenuta irrevocabile, avendo l’annullamento con rinvio investito unicamente gli aspetti relativi alla sospensione condizionale della pena ed alla sostituzione della pena detentiva.
Quanto al secondo motivo, rileva che è «pacifico che la sospensione condizionale non può essere concessa per più di due volte. È vero che tra esse non possono essere considerate le sospensioni relativi a reati depenalizzati, ma il ricorso non sostiene questo e, del resto, nella sentenza impugnata si precisa che si trattava in un caso di ricettazione e nell’altro di danneggiamento commesso nel 2019, quindi successivamente alla depenalizzazione del 2016. In ogni caso, la Corte territoriale ha anche formulato una prognosi negativa con riferimento alla personalità dell’imputato».
Quanto al terzo motivo, osserva che «la sentenza impugnata contiene in realtà un’articolata motivazione in ordine a tutti i parametri rilevanti, cosicché appare immune da censure».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
2. Quanto al primo motivo, occorre dare continuità ai principi ripetutamente statuiti da questa Corte in tema di giudicato progressivo ricavati dall’art. 624 cod. proc. pen. («Se l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata»), disposizione che, pur attenendo ai limiti obiettivi del giudizio di rinvio, all’interno della cui regolamentazione inserita, statuisce in maniera sufficientemente chiara l’intrinseca irrevocabilità connaturata alle statuizioni del giudice di legittimità che non riguardano i capi e le parti oggetto di annullamento e non sono in connessione essenziale con quelle per le quali è stato disposto il nuovo giudizio: esse divengono, dunque, definitive ed acquistano autorità di cosa giudicata (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640 – 01), rimanendo irrilevanti tanto l’assenza, nel dispositivo della sentenza rescindente, del dato meramente formale della declaratoria dell’intervenuto passaggio in giudicato della parte non annullata, quanto la temporanea ineseguibilità della decisione, quanto l’eventuale ritardo nella sua esecuzione (Sez. 2, n. 6287 del 15/12/1999, dep. 2000, COGNOME, Rv. 217857 01; cfr. altresì, tra le pronunce più recenti, Sez. 3, n. 30805 del 15/01/2024, Elia, Rv. 286870 – 04); ed invero, l’espressa declaratoria, nel dispositivo della sentenza di annullamento parziale, delle parti della sentenza impugnata che diventano irrevocabili è rimessa ad una valutazione di opportunità, poiché l’art. 624, comma 2, cod. proc. pen. prevede che la Corte la adotti «quando occorra», ossia solo quando, per esigenze di chiarezza, appare opportuno enunciare espressamente nel dispositivo il passaggio in giudicato dei capi della sentenza
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impugnata la cui acquisita irrevocabilità possa risultare poco chiara o poco evidente; d’altra parte, la stessa disposizione da ultimo citata prevede che l’eventuale omissione della declaratoria è in ogni momento riparabile dalla Corte di cassazione, tramite un’ordinanza da adottarsi de plano in camera di consiglio, di ufficio o su richiesta del pubblico ministero o della parte privata interessata.
Per questo si è ripetutamente statuito che la declaratoria in questione non ha efficacia costitutiva dell’effetto della irrevocabilità dei capi della sentenza impugnata che non siano stati oggetto di annullamento e non siano in connessione essenziale con quelli annullati, avendo, invece, efficacia meramente dichiarativa, sicché la Corte – adita con ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio – può comunque individuare, sulla base della lettura e dell’interpretazione della sua precedente pronuncia, le parti della sentenza di appello che sono passate in cosa giudicata, traendone le dovute consegueriZe (principio risalente a Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196886 – 01, confermato, tra le altre, da Sez. 4, n. 29186 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 272966 – 01).
Ciò posto, nel solco del principio a suo tempo affermato da questa Corte nel suo supremo consesso, secondo cui la possibilità di applicare l’art. 129 cod. proc. pen. in sede di rinvio, con riferimento alle cause estintive del reato sopravvenute all’annullamento, sussiste solo nei limiti della compatibilità con la decisione adottata in sede di legittimità e con il conseguente spazio decisorio attribuito in via residuale al giudice di rinvio, sicché, formatosi il giudicato sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, dette cause sono inapplicabili non avendo possibilità di incidere sul decisum (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640 – 01), si è ritenuto che, qualora – come è accaduto nel caso di specie – siano state rimesse al giudice del rinvio le questioni relative al riconoscimento delle attenuanti generiche, alla determinazione della pena o alla concessione della sospensione condizionale, il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e sulla responsabilità dell’imputato impedisce la declaratoria di estinzione del reato per cause sopravvenute alla sentenza rescindente (cfr., per fattispecie relative a reati in relazione ai quali, dopo la pronuncia d’annullamento, erano maturati i termini di prescrizione del reato, Sez. 4, n. 114 del 28/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274828 – 01, e Sez. 6, n. 12717 del 31/01/2019, COGNOME, Rv. 276378 – 01, secondo cui «In caso di annullamento parziale della sentenza, qualora siano rimesse al giudice del rinvio questioni relative al riconoscimento di una circostanza aggravante comune, il giudicato formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia di annullamento»).
Deve, allora, ritenersi che nel caso di specie l’affermazione di responsabilità sul furto contestato al COGNOME sia coperta dall’autorità della cosa giudicata che, malgrado l’annullamento parziale della sentenza della Corte di appello di Palermo del 30 novembre 2021, si è formata, a norma dell’art. 624 cod. proc. pen., sulle parti non in connessione essenziale con quelle sulle quali ha inciso la sentenza n. 7221/2022 della Quinta Sezione di questa Corte: la sentenza rescindente ha riguardato esclusivamente la sospensione condizionale della pena e la sostituzione della pena detentiva, sicché è divenuto fermo ed immodificabile l’accertamento sulla sussistenza del reato e sulla sua attribuibilità all’imputato, dovendosi rammentare che «per “parti” della sentenza, su cui può formarsi il giudicato parziale, devono intendersi le statuizioni aventi un’autonomia giuridicoconcettuale e, quindi, non solo le decisioni che concludono il giudizio in relazione ad un determinato capo d’imputazione, ma anche a quelle che, nell’ambito di una stessa contestazione, individuano aspetti non più suscettibili di riesame» (Sez. 5, n. 19350 del 24/03/2021, COGNOME, Rv. 281106 – 01).
Al pari della prescrizione, oggetto delle pronunce di legittimità innanzi citate, anche la causa di improcedibilità sopravvenuta non può spiegare alcuna efficacia a fronte del giudicato parziale, così come – secondo l’autorevole insegnamento del massimo consesso nomofilattico, reso in riferimento ad altra fattispecie, ma sicuramente significativo ai fini che qui rilevano – non può spiegare alcuna efficacia a fronte di un ricorso inammissibile: ed invero, quando il d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, recante disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 16 e 17, legge 23 giugno 2017, n. 103, introdusse la procedibilità a querela di alcuni reati originariamente perseguibili d’ufficio, Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, COGNOME, Rv. 273551 – 01 ebbe a statuire che «In tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità, l’inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l’avviso previsto dall’art. 12, comma 2, del predetto decreto per l’eventuale esercizio del diritto di querela», rilevando (in armonia con quanto già osservato da Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818 – 01) che l’improcedibilità non riveste valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, non attribuisce al giudice dell’impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione, sicché il mutato regime di procedibilità del reato per il quale la sentenza impugnata ha pronunciato condanna non determina alcuna possibilità di incidere un “giudicato sostanziale”
che si è già formato ed i cui effetti retroagiscono al momento del mancato instaurarsi di un valido rapporto processuale.
Dunque, «se il rinvio a seguito dell’annullamento della Corte di Cassazione riguarda soltanto il giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto e la determinazione della pena, l’applicabilità di una causa estintiva del reato rimane preclusa per essere divenuta irrevocabile la parte della sentenza concernente la responsabilità dell’imputato» (Sez. 1, n. 11041 del 05/10/1995, COGNOME, Rv. 202860 – 01): nel caso di specie, la statuizione sulla responsabilità del COGNOME era divenuta irrevocabile, ai sensi dell’art. 624 cod. proc. pen., benché ciò non abbia formato oggetto di espressa dichiarazione nella sentenza rescindente, sicché è priva di effetti la sopravvenuta procedibilità a querela del reato in contestazione per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che non può certo essere considerata una ipotesi di abolitio criminis capace di incidere sul giudicato sostanziale (cfr. Sez. 4, n. 49499 del 15/11/2023, Platon, Rv. 285467 – 01).
Il rigetto del primo motivo di ricorso consegue, dunque, all’applicazione del seguente principio di diritto: «In caso di annullamento parziale con rinvio da parte della Corte di cassazione, le parti della decisione non oggetto di annullamento, e non in connessione essenziale con quelle per le quali è stato disposto il nuovo giudizio, acquistano autorità di cosa giudicata, indipendentemente dalla espressa declaratoria in tal senso nel dispositivo della sentenza rescindente, sicché, qualora l’annullamento abbia riguardato unicamente aspetti relativi al trattamento sanzionatorio, diviene irrevocabile l’accertamento sulla sussistenza del reato e sulla sua attribuibilità all’imputato, con conseguente irrilevanza, nel nuovo giudizio, di questioni relative al mutato regime di procedibilità del reato. (Fattispecie relativa a furto ai danni di Enel RAGIONE_SOCIALE, nella quale il giudizio di rinvio – disposto per rivalutare gli aspetti relativi al sospensione condizionale della pena ed alla sostituzione della pena detentiva – si era svolto dopo l’entrata in vigore delle norme che hanno reso il delitto procedibile a querela)».
Quanto al secondo motivo, le doglianze del ricorrente non sono idonee a scalfire la ineccepibile motivazione – nella quale non è dato ravvisare alcun vizio – con la quale la sentenza impugnata ha spiegato perché il COGNOME non potesse nuovamente godere della sospensione condizionale della pena, avendone già goduto due volte ed annoverando plurimi precedenti penali, significativi di una personalità negativa, ostativa alla formulazione della valutazione prognostica favorevole, prodromica al riconoscimento del beneficio.
Ed invero, il diniego del beneficio può ben essere motivato in base ai criteri indicati dall’art. 133 cod. pen., tra i quali vi è la capacità a delinquere del reo, che va desunta non solo dai precedenti penali ma anche da quelli “giudiziari” antecedenti al reato (art. 133, comma secondo, n. 2, cod. pen.): nel caso di specie il giudizio negativo formulato dalla Corte palermitana è ineccepibile, alla luce dei plurimi precedenti del COGNOME, che, oltre a quattro condanne per reato medio tempore depenalizzato (emissione di assegni a vuoto), annovera un decreto penale (del 27 giugno 1997, irrevocabile il 25 luglio 1997) di condanna alla pena di C 51,65 di multa, convertita in 8 giorni di libertà controllata, per il reato di cui agli artt. 633 e 639 bis cod. pen. commesso in data 19 novembre 1996; una sentenza (del 13 febbraio 2003, irrevocabile il 28 aprile 2003) di applicazione della pena condizionalmente sospesa di anni 1 di reclusione ed C 400 di multa per il delitto di cui all’art. 648 cod. pen. commesso in Petrosino il 23 maggio 2002; una sentenza (del 4 maggio 2022, irrevocabile il 17 ottobre 2022) di condanna alla pena condizionalmente sospesa di mesi 6 di reclusione per il delitto di cui all’art. 635 cpv. cod. pen. commesso in Marsala il 20 giugno 2019.
Né può spiegare alcun effetto, ai fini che qui rilevano, l’estinzione del reato oggetto della sentenza del 13 febbraio 2003 conseguente alla mancata commissione di reati nel prescritto periodo di probation, poiché, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, «L’estinzione del reato a norma dell’art. 167 cod. pen. non comporta l’estinzione degli effetti penali diversi da quelli ivi espressamente previsti, sicché di tale reato deve comunque tenersi conto ai fini della sussistenza dei presupposti per la concessione della sospensione condizionale della pena» (Sez. 1, n. 47647 del 18/04/2019, COGNOME, Rv. 277457 – 01).
3. Quanto, infine, al terzo motivo, si deve ribadire che «In tema di pene sostitutive di pene detentive brevi, il giudice, anche a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, è vincolato nell’esercizio del suo potere discrezionale alla valutazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sicché il suo giudizio, se sul punto adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità» (Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031 01): ancora una volta ineccepibile appare, nella specie, la motivazione con la quale la sentenza impugnata ha ritenuto che la pena inflitta al COGNOME non potesse essere sostituita, alla luce della sua capacità a delinquere desunta dai plurimi precedenti penali e giudiziari, nonché «dalla evidente insensibilità del COGNOME rispetto al precetto penale, considerato che i fatti di danneggiamento di cui alla sentenza del Tribunale di Marsala divenuta irrevocabile il 17.10.2022
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sono successivi a quelli per cui oggi si procede; dalle complessive condizioni di vita del reo (come desumibili dalla tipologia di delitti per i quali ha subito una condanna definitiva, dalla natura del reato per cui si procede e dalle condotte depenalizzate risultanti dal suo casellario), che non consentono di formulare una prognosi favorevole circa l’adempimento delle prescrizioni applicabili e il conseguimento di un suo pieno reinserimento sociale».
Ed invero, la sostituzione delle pene detentive brevi è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice, che deve essere condotta con l’osservanza dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., prendendo in considerazione, tra l’altro, le modalità del fatto per il quale è intervenuta condanna e la personalità del condannato (Sez. 3, n. 19326 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263558 – 01), pur senza dover esaminare tutti i parametri contemplati nella suddetta previsione, potendo la discrezionalità essere esercitata motivando sugli aspetti ritenuti decisivi in proposito, quali l’inefficacia della sanzione (Sez. 5, n. 10941 del 26/01/2011, Orabona, Rv. 249717 – 01): come di regola accade allorquando il giudice di merito è chiamato a svolgere valutazioni discrezionali di tipo prognostico alla luce dei parametri indicati nell’art. 133 cod. pen., la conclusione raggiunta, avendo riguardo alla specificità della condotta posta in essere, si sottrae, se adeguatamente motivata, ad ogni sindacato in sede di legittimità (Sez. 1, n. 2328 del 22/05/1992, COGNOME, Rv. 191311 – 01), senza che nel giudizio di cassazione sia possibile muovere contestazioni attinenti alla attendibilità del giudizio prognostico, positivo o negativo (Sez. 1, n. 326 del 24/01/1992, COGNOME, Rv. 189611 – 01).
Nella specie, il giudice di merito ha analiticamente indicato i fattori ai quali ha attribuito valenza ostativa alla invocata sostituzione, fornendo adeguata motivazione in ordine alla loro negativa incidenza sull’adempimento delle prescrizioni che ineriscono alle pene sostitutive.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese r.processuali.
Così deciso il 05/12/2024.