Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 6973 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 6973 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZik
sui ricorsi proposti da:
NOME (CODICE_FISCALE) nato a VALONA (ALBANIA) il DATA_NASCITA NOME nata a VALONA (ALBANIA) il DATA_NASCITA NOME nato a VLORE (ALBANIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/05/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo, con requisitoria scritta, l’inammissibilità di tutti i ricorsi;
lette le conclusioni scritte depositate dall’AVV_NOTAIO per il ricorrente COGNOME e dall’a COGNOME per la ricorrente COGNOME
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 19 maggio 2023 la Corte di appello di Bologna, quale giudice del rinvio disposto con sentenza in data 19 dicembre 2022 della Corte di cassazione in ordine al solo trattamento sanzionatorio, ha parzialmente riformato la sentenza emessa in data 16 marzo 2021 dalla Corte di appello di Bologna ed ha confermato la condanna a tre anni e sei mesi di reclusione ed euro 6.000 di multa inflitta a NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 416, 349, 648-ter.1, cod.pen. e 624-625, comma 1, nn. 2) e 5), cod.pen., commessi dal maggio al dicembre 2018, mentre ha ridotto ad anni due di reclusione la pena inflitta a NOME COGNOME e a NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 416 cod.pen. e 624-625, comma 1, nn. 2) e 5), cod.pen., commessi dal maggio al dicembre 2018.
La sentenza emessa in data 16 marzo 2021 dalla Corte di appello aveva riqualificato il reato contestato al capo 2), ritenendo sussistente non il delitto di riciclaggio ma quello di furto pluriaggravato, confermando però la pena complessivamente inflitta. La Corte di cassazione, nell’annullare con rinvio tale decisione, ha ribadito che la riqualificazione di un reato non impone al giudice una riduzione della pena, in quanto egli può confermare quella precedentemente irrogata senza violare il divieto di reformatio in peius, ma deve motivare la sua decisione, in particolare stabilendo se l’individuazione del reato più grave deve essere confermata, e ricalcolando eventualmente la pena-base nonché gli aumenti per la continuazione con gli altri reati. La conferma del trattamento sanzionatorio era rimasta, invece, del tutto immotivata.
Il giudice di rinvio ha, in primo luogo, ritenuto non rilevante la modifica normativa che ha introdotto la procedibilità a querela dei reati di furto, sia perché su tali reati si è formato il giudicato parziale, sia perché la querela è stata, comunque, presentata tempestivamente.
Quanto al trattamento sanzionatorio, ha ricalcolato la pena irrogata all’imputato COGNOME, individuando quale reato più grave quello di cui al capo 12), applicando però la stessa pena-base già determinata dal giudice di primo grado, nonché la stessa quantità di pena quale aumento per la continuazione con i residui reati, compreso quello riqualificato di cui al capo 2). Per gli imputati COGNOME e COGNOME ha ricalcolato la pena individuando quale reato più grave quello di cui all’art. 416 cod.pen., per il quale ha irrogato la pena, ridotta per effetto delle attenuanti generiche, di anni due e mesi otto di reclusione, aumentandola per la continuazione con gli altri reati nella misura già decisa dal precedente giudicante, e riducendola infine, per la scelta del rito, ad anni due di reclusione.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso, con separati atti, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME
2.1. Il ricorrente NOME COGNOME ha presentato ricorso, per mezzo del difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod.proc.pen., in merito alla determinazione della pena.
La Corte di appello, nel ricalcolare la pena-base, non ha tenuto conto del fatto che il primo giudice aveva irrogato, in relazione al reato da lui ritenuto più grave, il minimo edittale. Il giudice del rinvio, individuando quale reato più grave quello di cui all’art. 416 cod.pen., avrebbe dovuto, perciò, partire dalla pena-base di tre anni di reclusione, pari al minimo edittale, così riducendo la sanzione inflitta in concreto. La Corte, invece, si è discostata dal minimo edittale senza una vera motivazione, ma adottando mere clausole di stile.
La ricorrente NOME COGNOME ha presentato due diversi atti di ricorso.
3.1. Con il primo, redatto dall’AVV_NOTAIO, articola un unico motivo con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., in merito alla determinazione della pena.
La Corte di appello, nel ricalcolare la pena-base, ha stranamente eliminato la pena pecuniaria, dovuta obbligatoriamente per l’art. 625 cod.pen., e non ha tenuto conto del fatto che il primo giudice aveva irrogato, in relazione al reato di cui all’art. 648-bis cod.pen. da lui ritenuto più grave, il minimo della pena. Il giudice del rinvio, individuando quale reato più grave quello di cui all’art. 416 cod.pen., avrebbe dovuto, perciò, partire dalla pena-base di tre anni di reclusione, pari al minimo edittale, così riducendo la pena inflitta in concreto. La Corte, invece, ha motivato il discostarsi dal minimo edittale con mere clausole di stile.
3.2. Con il secondo atto di ricorso, redatto dall’AVV_NOTAIO, deduce la violazione di legge in relazione all’art. 129 cod.proc.pen., ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., in merito alla omessa declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela.
La Corte ha riconosciuto che la riforma Cartabia ha introdotto la procedibilità a querela per il reato di furto pluriaggravato, norma applicabile ai reati contestati alla ricorrente non sussistendo le aggravanti previste dall’art. 624, comma 3, cod.pen., ed ha anche riconosciuto che per il delitto di furto di cui al capo 3) la querela non è stata tempestivamente presentata. Per il furto di cui al capo 5), poi, la Corte ha erroneamente ritenuto valida la querela presentata dal
capocantiere, mentre essa non è efficace perché presentata da un soggetto privo del necessario potere, come già sostenuto nell’atto di appello.
La Corte ha ritenuto, però, irrilevante il sopravvenuto regime di procedibilità, e non applicabile il disposto di cui all’art. 129 cod.proc.pen., affermando che la sentenza era già divenuta irrevocabile quanto alla valutazione della sussistenza dei reati e della responsabilità degli imputati. Essa cita, a sostegno della sua affermazione, due sentenze della Suprema Corte che escludono l’applicabilità, in via retroattiva, del regime di procedibilità a querela, ma esse hanno stabilito tale principio solo per l’ipotesi di ricorsi presentati per motivi inammissibili, mancando, in tal caso, l’instaurazione di un valido rapporto processuale. Nel presente caso, invece, il rapporto processuale è stato validamente instaurato, per cui la Corte avrebbe dovuto valutare l’insussistenza di una valida querela per i delitti contestati ai capi 3) e 5), e dichiarare gli stes improcedibili, con conseguente eliminazione della relativa parte di pena.
Il ricorrente NOME COGNOME ha presentato ricorso, per mezzo del difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen., in merito alla determinazione della pena.
La Corte di appello, nel ricalcolare la pena-base, ha eliminato la pena pecuniaria, dovuta obbligatoriamente per l’art. 625 cod.pen., e non ha tenuto conto del fatto che il primo giudice aveva irrogato, in relazione al reato di cui all’art. 648 cod.pen. da lui ritenuto più grave, il minimo edittale. Il giudice de rinvio, individuando quale reato più grave quello di cui all’art. 416 cod.pen., avrebbe dovuto, perciò, partire dalla pena-base di tre anni di reclusione, pari al minimo edittale, così riducendo la pena inflitta in concreto. 1.a Corte, invece, ha motivato il discostarsi dal minimo edittale con mere clausole di stile.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità di tutti i ricorsi.
La ricorrente NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha depositato conclusioni scritte ribadendo i motivi del ricorso; il ricorrente COGNOME, per mezzo del difensore AVV_NOTAIO, ha depositato brevi conclusioni scritte, ribadendo la richiesta di annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi proposti sono infondati, e devono essere rigettati.
2. L’unico motivo di ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Il giudice di rinvio, preso atto della intervenuta riqualificazione del reato di riciclaggio, contestato al capo 2), in quello di furto pluriaggravato, e della già decisa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ha ritenuto più grave il reato di autoriciclaggio contestato al capo 12) e ha irrogato una pena-base superiore al minimo edittale, nonché superiore al minimo edittale del reato di cui all’art. 416 cod.pen., motivando di ritenerla «congrua ed equa, tenuto conto della gravità del fatto … e della negativa personalità dell’autore», richiamando in particolare la professionalità nella consumazione dei vari reati, la costituzione di un’associazione dedicata alla loro commissione, i gravi e specifici precedenti penali del ricorrente.
Tale pena-base è pari a quella comminata dal giudice di primo grado, che ritenne più grave il reato contestato al capo 2), come allora qualificato, ed irrogò peraltro una pena-base superiore al minimo edittale e non, come affermato dal ricorrente, pari ad esso. Il lamentato discostarsi dal criterio seguito dal giudice di primo grado è, quindi, insussistente; peraltro la sentenza impugnata ha motivato in modo approfondito, e non con mere clausole di stile, le ragioni della irrogazione di una pena superiore al minimo edittale del delitto di autoriciclaggio, facendo riferimento ai criteri previsti dall’art. 133 cod.pen. e in particolare alle modalità del fatto e alla personalità dell’imputato.
Devono poi ribadirsi i principi consolidati di questa Corte, secondo cui «Il giudice di appello che, su impugnazione del solo imputato, riconosca la sussistenza di un’ipotesi delittuosa meno grave, non è vincolato, ai fini della determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale, dai criteri già adottati sul punto dal giudice della sentenza impugnata» (Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012, Rv. 252327; Sez. 3, n. 9737 del 10/11/2021, dep. 2022, Rv. 282840) e «Non viola il divieto di “reformatio in peius” il giudice dell’impugnazione che, riqualificando il fatto in altra meno grave fattispecie di reato, individui una pena base di identica entità rispetto a quella stabilita nel minimo edittale dal giudice di primo grado in relazione all’originaria imputazione, purché venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella in precedenza inflitta» (Sez. 5, n. 1281 del 12/11/2018, dep. 2019, Rv. 274390; Sez. 2, n. 33563 del 14/07/2016, Rv. 267858).
Il trattamento sanzionatorio applicato al ricorrente COGNOME, pertanto, non presenta i vizi lamentati, e il suo unico motivo di ricorso deve essere rigettato.
3. I ricorsi proposti dalla ricorrente COGNOME sono entrambi infondati.
3.1. Il motivo di ricorso proposto con l’atto predisposto dall’AVV_NOTAIO è infondato, per le ragioni già esposte nel paragrafo precedente.
Anche questa ricorrente lamenta l’inosservanza del criterio che sarebbe stato seguito dal giudice di primo grado nel determinare la pena-base, partendo dal minimo edittale previsto per il delitto di cui all’art. 648-bis cod.pen contestato al capo 2), perché la sentenza impugnata, a seguito della intervenuta riqualificazione di tale reato in quello di furto pluriaggravato, ha individuato quale reato più grave quello di cui all’art. 416 cod.pen. ma ha irrogato una penabase non pari al minimo edittale, bensì superiore.
In realtà l’affermazione secondo cui il giudice di primo grado avrebbe irrogatò una pena-base pari al minimo edittale non è corretta, perché tale criterio fu seguito con riferimento alla pena detentiva, ma non con riferimento a quella pecuniaria, applicata in misura superiore al minimo edittale. Peraltro, il giudice di appello non è tenuto ad applicare i medesimi criteri sanzionatori adottati dal giudice di primo grado, come stabilito da questa Corte nelle sentenze citate al paragrafo che precede, e la sentenza impugnata ha motivato in modo approfondito le ragioni del suo discostarsi dal minimo edittale del reato di cui all’art. 416 cod.pen., richiamando i criteri di cui all’art. 133 cod.pen., i particolare la professionalità dimostrata dall’associazione e la sua pericolosità, e la gravità dei reati commessi anche da questa imputata. La pena complessiva irrogata, poi, è inferiore a quella calcolata dal giudice di primo grado, e tale circostanza impone di escludere qualunque violazione del divieto di reformatío in peius.
E’, infine, manifestamente infondato il rilievo dell’omessa irrogazione della pena pecuniaria, prevista per i delitti di furto ritenuti uniti in continuazione con i reato-base: l’eventuale errore non sarebbe emendabile, in quanto favorevole al reo, ma in realtà la decisione è corretta perché, nell’applicazione dell’istituto della continuazione, la pena deve essere calcolata semplicemente aumentando la pena del reato più grave (Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep, 1998, Rv.209486; Sez. 5, n. 35999 del 17/03/2015, Rv. 265002)
3.2. Il motivo del ricorso predisposto dall’AVV_NOTAIO è infondato.
Il giudice di rinvio ha valutato la rilevanza della sopravvenuta introduzione del regime di procedibilità a querela del delitto di furto aggravato, ad opera del d.lgs. n. 150/2022, e la sua decisione di ritenere la nuova normativa non applicabile, per essere già divenuta irrevocabile la declaratoria di responsabilità degli imputati per i reati loro ascritti, è corretta. Questa Corte ha, infatt dettato il seguente, chiaro principio: «Qualora venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla determinazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi sull’accertamento
del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della decisione su tali GLYPH parti, GLYPH impedisce GLYPH l’applicazione GLYPH di GLYPH cause GLYPH estintive GLYPH sopravvenute all’annullamento parziale» (Sez. U, n. 4904 del 26/03/1997, Attinà, Rv. 207640).
L’art. 624 cod.proc.pen., stabilendo che, in caso di annullamento parziale di una sentenza, questa acquista autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con quelle annullate, limita il potere del giudice del rinvio all’esame delle sole parti indicate nella sentenza rescindente e di quelle ad esse collegate, essendo le altre coperte dal giudicato: nel presente caso, la sentenza rescindente ha rinviato solo per la verifica del trattamento sanzionatorio da applicare in conseguenza della diversa qualificazione del delitto di riciclaggio, mentre non ha in alcun modo riguardato la valutazione della sussistenza dei vari reati, compresi quelli di furto, e della determinazione della loro pena. Su tali parti della sentenza, quindi, la pronuncia di condanna contenuta nella sentenza parzialmente annullata deve ritenersi definitiva: per “parte della sentenza” deve intendersi, infatti, qualsiasi statuizione avente una sua autonomia concettuale.
Il principio dettato dalla sentenza delle Sezioni Unite sopra citata, relativo al caso della sopravvenienza di una causa estintiva’ del reato, deve essere ritenuto operante anche nel caso della sopravvenienza di una causa di improcedibilità: la sentenza Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551, anch’essa relativa alla non prevalenza sulla inammissibilità del ricorso del diverso regime di procedibilità sopravvenuto, ha riepilogato le ipotesi nelle quali la Corte di cassazione, nel suo massimo consesso, ha ritenuto superabile il giudicato sostanziale, ipotesi tra le quali rientra la remissione di querela ma non la sua mancanza (cfr. Sez. U, n. 24246 del 25/02/2004, COGNOME, Rv. 227681). A tale principio si è orientata la giurisprudenza di legittimità anche con riferimento al nuovo regime di procedibilità introdotto dal d.lgs. n. 150/2022, ribadendo, nelle sentenze Sez. 3, n. 36007 del 12/07/2023, n.m., Sez. 5, n. 11229 del 10/01/2023, Rv. 284542, Sez. 5, n. 5223 del 17/01/2023, Rv. 284176, e Sez. 4, n. 49499 del 15/11/2023, Rv. 285467, la non prevalenza di tale modifica normativa sulla inammissibilità del ricorso.
Pur dovendosi riconoscere alla querela una natura mista, processuale e sostanziale, che impone l’applicazione in favore dell’imputato delle norme sopravvenute ad essa relative, ai sensi dell’art. 2 cod.pen., sussiste il limite stabilito dall’art. 2, comma 4, cod.pen., per cui la nuova normativa non può essere applicata qualora sia stata già pronunciata una sentenza irrevocabile: tale principio normativo comporta che la mancanza della querela, anche se sopravvenuta in virtù di una modifica normativa che ne introduca la necessità per la procedibilità del reato, non può essere rilevata o affermata quando la .
pronuncia che ha accertato la sussistenza del reato, all’epoca procedibile d’ufficio, sia divenuta definitiva. La sentenza Sez. 2, n. 14987 del 09/01/2020, Rv. 279197 ha, infatti, ritenuto che «In tema di revisione, la sopravvenuta procedibilità a querela del reato di appropriazione indebita per effetto del d.lgs. 15 maggio 2018, n. 36 non costituisce prova nuova ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. nel caso in cui la modifica normativa sia intervenuta successivamente al passaggio in giudicato della sentenza della quale si chiede la revisione. (In motivazione la Corte ha evidenziato che, in ragione della natura mista – sostanziale e processuale – dell’istituto della querela, la sopravvenuta disciplina più favorevole deve essere applicata nei procedimenti pendenti, salva l’insuperabile preclusione costituita dalla pronuncia di sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2, comma quarto, cod. pen.)»
Il sopravvenuto regime di procedibilità a querela non può, pertanto, essere ritenuto idoneo a superare il giudicato già formatosi in merito alla sussistenza e procedibilità del reato, in questo caso quello di furto aggravato.
Il motivo di ricorso proposto dal ricorrente COGNOME è identico a quello proposto dalla coimputata COGNOME, ed esaminato nel superiore paragrafo 3.1.
La sentenza impugnata non presenta alcuna violazione di legge né vizio di motivazione per non avere il giudice del rinvio applicato il minimo edittale nel determinare la pena-base del reato di cui all’art. 416 cod.pen., ritenuto il più grave stante la riqualificazione del delitto contestato al capo 2). In primo luogo, anche per questo imputato, l’affermazione secondo cui il giudice di primo grado avrebbe irrogato una pena-base pari al minimo edittale non è corretta, dal momento che egli ha applicato in misura superiore al minimo edittale la pena pecuniaria prevista dall’art. 648-bis cod.pen. allora contestato al capo 2). In secondo luogo, il giudice di appello non è tenuto ad applicare i medesimi criteri sanzionatori adottati dal giudice di primo grado, alla luce dei principi stabilit dalle sentenze citate al paragrafo 2, relativo al ricorso dell’imputato COGNOMECOGNOME Inoltre, la sentenza impugnata ha motivato in modo approfondito le ragioni del suo discostarsi dal minimo edittale del reato di cui all’art. 416 cod.pen., con riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod.pen., ed ha irrogato una pena complessiva inferiore a quella calcolata dal giudice di primo grado, decisione che impone di escludere qualunque violazione del divieto di reformatio in peius.
L’omessa irrogazione della pena pecuniaria, prevista per i delitti di furto ritenuti uniti in continuazione con il reato-base, è, infine, corretta, alla luce de principi stabiliti dalle sentenze Sez. U, n. 15 del 26/11/1997, dep. 1998, Rv.209486 e Sez. 5, n. 35999 del 17/03/2015, Rv. 265002, richiamate nel paragrafo 3.1.
8 GLYPH
Anche il trattamento sanzionatorio applicato al ric:orrente COGNOMECOGNOME pertanto, non presenta i vizi lamentati, e il suo unico motivo di ricorso deve essere rigettato.
Sulla base delle considerazioni che precedono, tutti i ricorsi devono pertanto essere respinti, e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento ciascuno delle proprie spese processuali.
P.Q.M.,
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 dicembre 2023
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Il Consigliere estensore
Il Presidente