Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26558 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26558 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/06/2025
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, decidendo in seguito al rinvio disposto con sentenza del 18 ottobre 2023 dalla Seconda sezione penale di questa Corte, in riforma della sentenza del 23 marzo 2023 del Tribunale di Roma, appellata da
NOME COGNOME ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo A), diversamente qualificato come delitto di insolvenza fraudolenta di cui all’articolo 641 cod. pen., commesso il 9 giugno 2014, perché estinto per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, ha .rideterminato la pena per il reato di cui al capo B) (artt. 582,585 in relazione all’articolo 576 numero 1 cod. pen.), in mesi sei di reclusione. Ha confermato le statuizioni civili della condanna in separata sede civile al risarcimento del danno e assegnazione di una provvisionale di euro 7.000, in favore di NOME
Con i motivi di ricorso, sintetizzati nei limiti strettamente indispensabili a fini della motivazione il ricorrente denuncia: 2.1. GLYPH erronea applicazione della legge penale (in relazione all’articolo 129, comma 2, cod. proc. pen.), per la ritenuta inapplicabilità del principio della prevalenza della formula del merito in carenza di evidenza della prova di innocenza, prova che va ricostruita, alla luce del principio del ragionevole dubbio, e fondata su elementi univoci di responsabilità. La motivazione sul punto della Corte di merito è apparente e contraddittoria sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato di insolvenza fraudolenta poiché ha valorizzato circostanze equivoche (la mancanza di denaro contante e la mancanza di fondi sulla carta bancomat che l’imputato aveva “strisciato” per ben tre volte), poiché, invece, in forza del pagamento eseguito il giorno precedente, sulla carta residuavano fondi per l’importo di euro 1.800. La sentenza impugnata ha, altresì, violato il principio posto con la sentenza di annullamento che imponeva al giudice la verifica della sussistenza dell’illecito civile, in alternativa alla ritenuta ipotesi di insolven fraudolenta. Ne consegue che, in presenza della costituzione di parte civile, l’assoluzione dell’imputato avrebbe dovuto essere pronunciata quantomeno ai sensi dell’articolo 530, comma 2, cod. proc. pen. con la conseguente dichiarazione di prescrizione del reato di cui al capo B), già unificato in concorso formale con il reato originario di rapina, per carenza del nesso di connessione; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2.violazione di legge (artt. 129, comma 2, 546 e 624 cod. proc. pen.) e carenza di motivazione sulla sussistenza del reato di cui al capo B), non esaminato nella sentenza impugnata sull’erroneo presupposto che si fosse formato il giudicato progressivo poiché tale reato non era stato oggetto di impugnazione, poiché, invece, tra il reato di cui al capo A), contestato originariamente come reato di rapina, e quello di lesioni sussisteva un collegamento strutturale, incompatibile con la formazione del giudicato, ritenuto configurabile sia in presenza di un reato complesso, come la rapina, sia nel caso in cui sia stato ritenuto, come nel caso in esame, il concorso formale di reati fondati sull’unicità della condotta. Era impossibile procedere alla mera rideterminare della pena per
il reato satellite senza entrare nel merito della contestazione perché strettamente connessa al reato di rapina, ancora sub iudice, per effetto dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione. Rileva, altresì, che con il ricorso per cassazione era stata chiesta anche la declaratoria di prescrizione del reato di lesione, motivo ritenuto assorbito nella sentenza rescindente;
2.3.violazione di legge (artt. 133 e 69 cod. pen. e 627 cod. proc. pen.), nella determinazione della pena per il reato di lesioni di cui al capo B). Premesso che nel corso del giudizio era stata riconosciuta all’imputato la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. la Corte di appello, nell’applicare la pena il relazione al reato di lesioni, ha omesso qualsivoglia motivazione nella enunciazione dei criteri che giustificavano (a determinazione della pena base, l’aumento applicato per la circostanza aggravante e il giudizio di bilanciamento con le eventuali circostanze attenuanti;
2.4.violazione di legge (art. 627 cod. proc. pen.) per la mancata riduzione delle statuizioni civili in presenza di derubricazione del reato. La Corte di merito ha confermato l’ammontare della provvisionale fondata anche sulla gravità della contestazione del delitto di rapina, un delitto che ha un grado di offensività indubitabilmente maggiore rispetto a quello di insolvenza fraudolenta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME con riguardo al giudizio di colpevolezza in relazione al reato di cui al capo B) è fondato, fondatezza che preclude la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e da cui consegue la dichiarazione di prescrizione del reato.
Il ricorso va rigettato nel resto con conferma delle statuzioni civili.
L’esame dei motivi di ricorso, anche con riferimento ai conseguenti poteri di verifica rimessi a questa Corte di legittimità, presuppongono la individuazione della regola di giudizio da applicare al caso in cui, come nella presente vicenda processuale, si sia in presenza della intervenuta prescrizione del reato e della immanente costituzione della parte civile che, pur rimanendo assente, è parte del processo.
La sentenza COGNOME di questa Corte, posto il principio che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, aveva, con chiarezza, individuato anche
la regola di giudizio applicabile al proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova;’ – ché-Ta- regola innanzi enunciata non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l’impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’art. 530, comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, COGNOME, Rv. 244273).
Le Sezioni Unite, a seguito della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Cost. n. 182 del 2021 in materia, sono tornate sul tema ribadendo i principi enucleati dalla sentenza COGNOME e confermando che nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l’estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l’assoluzione nel merito (Sez. U, n. 36208 del 28/03/2024, Calpitano, Rv. 286880).
La sentenza COGNOME ha, così, precisato i principi applicabili in materia che, secondo un orientamento seguito anche nella giurisprudenza di questa Corte, sarebbero stati superati dalla sentenza n. 182 del 2021, che interpretava una tendenza, anche normativa, di una sempre più evidente distinzione tra azione penale e azione civile, richiamando anche la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (S.U., n. 22065 del 28/01/2021, COGNOME, Rv. 281228) e l’impianto complessivo della c.d. Riforma Cartabia, mentre la pronuncia Sez. U, COGNOME sarebbe stata espressione di un diritto vivente per il quale la presunzione di innocenza non è chiamata a svolgere, nell’ambito dei rapporti tra azione penale e azione civile, il ruolo di principio ordinatore iscrivendosi in un contesto culturale che trasmette all’azione civile le regole del giudizio penale in cui è stata ospitata.
Può, in estrema sintesi affermarsi che la intervenuta prescrizione del reato, non legittima l’applicazione della regola di giudizio posta dall’art. 129 cod. proc. pen. ma , in forza della disposizione recata dall’art. 578 cod. proc. pen. secondo cui « quando nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reat estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili», il
giudice di appello – e la Corte di Cassazione – devono esaminare funditus i motivi di impugnazione incorrendo, altrimenti, nel vizio di omessa motivazione, fatta salva l’ipotesi in cui la prova non sia sufficiente, secondo le regole generali previste dall’art. 530, comma 2, cod. proc. peri., ai fini della conferma della dichiarazione di colpevolezza.
Anche le più recenti decisioni di questa Corte hanno ribadito, con espresso riferimento alla fattispecie dell’annullamento con rinvio disposto in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, che l’obbligo di applicare il disposto dell’art. 57 cod. proc. pen. sussiste anche nel caso in cui il giudice di merito, in sede di giudizio di rinvio, ritiene sussistente il fatto di reato ascritto all’imputato, diversament qualificandolo rispetto alla contestazione per la quale era stata pronunziata condanna in primo grado e contestualmente dichiara l’intervenuta prescrizione del delitto così ritenuto, maturata dopo l’indicata condanna (Sez. 6, n. 45262 del 10/10/2024, Pg, Rv. 287299).
3. Tanto premesso, con riferimento alla sentenza impugnata, rileva il Collegio che la Corte di appello ha precisamente ricostruito la dinamica della condotta ascritta al Forte evidenziando, ai fini della qualificazione giuridica del fatto sussunto nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 641 cod. pen., la circostanza che l’imputato, dopo avere effettuato il prelievo di benzina da un distributore automatico, si fosse dapprima recato presso le casse automatiche per effettuare il pagamento, non riuscendovi per carenza di fondi, e, si fosse, poi allontanato con l’auto, incurante della richiesta dell’inserviente che, dapprima, gli aveva chiesto i documenti e, poi, aveva contattato il titolare del distributore che gli aveva chiesto di attenderlo. Tuttavia, il Forte, dopo una breve attesa, aveva rimesso in moto la vettura e si era allontanato, incurante del tentativo di NOME di trattenerlo, appoggiando le mani nell’apertura del finestrino: l’imputato aveva, infatti, avviato la marcia dell’autovettura e aveva trascinato l’Abdul per alcuni metri, fino alla caduta, che aveva cagionato alla vittima la frattura scomposta pluriframmentaria al terzo raggio della mano destra, con lesioni giudicate guaribili in venti giorni.
La Corte di appello, seguendo la linea interpretativa tracciata dalla sentenza rescindente, ha ritenuto integrata la fattispecie di reato di insolvenza fraudolenta (art. 641 cod. pen.) evidenziando che l’imputato aveva tentato il pagamento con una carta bancomat, priva di fondi, e che, essendo sprovvisto di denaro in contante, si era dato alla fuga per non essere identificato, fuga realizzatasi con modalità particolarmente violente tanto da trascinare l’addetto al distributore che aveva tentato di identificarlo, non riuscendovi perché l’imputato non aveva
documenti con se, e, poi, tentato di trattenerlo in attesa del titolare del distributore.
La Corte di merito, in conclusione, ha ritenuto che il consenso del gestore al prelievo era stato carpito con l’inganno, poiché l’imputato si era servito del distributore automatico, a cui aveva potuto lecitamente accedere con immediatezza, maliziosamente dissimulando il proprio stato di insolvenza, e con il proposito di non adempiere, poiché aveva più volte passato al pos la carta bancomat, priva di fondi, e si era dato alla fuga alla richiesta dell’addetto al distributore di identificarlo: un comportamento che la Corte di merito ha ritenuto sussumibile, in ragione di tali concrete modalità della condotta, nel reato di cui all’art. 641 cod. pen., piuttosto che in un mero inadempimento civilistico che il ricorrente ha ribadito anche con il ricorso allegando la propria buona fede sulla capienza (peraltro indimostrata) della carta di credito perché da lui utilizzata il giorno precedente.
La Corte di appello, dunque, ha esaminato, con argomenti di cui il ricorrente chiede la rivalutazione di merito, la ragione per cui nei fatti non è ravvisabile un mero illecito civilistico.
4.Effettivamente la Corte di appello ha richiamato, quali coordinate dell’esercizio dei suoi poteri, la disposizione di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. ma si tratta di un errore in diritto al quale può porre rimedio la Corte di legittimità facendo applicazione della disposizione di cui all’art. 619 cod. proc. pen. che trova la sua “ratio” nell’esigenza di scongiurare l’annullamento della decisione impugnata tutte le volte in cui la Corte di Cassazione, rimanendo nell’ambito della sua funzione istituzionale e nel rispetto del fatto, quale ritenuto dal giudice del merito, possa ovviare ad errori di diritto, insufficienze motivazionali o cadute di attenzione da parte del giudice a quo, lasciando inalterato l’essenziale del contesto decisorio assunto con la sentenza esaminata (Sez. 4, n. 1761 del 17/12/1992, dep. 1993, COGNOME, Rv. 193063).
Nel caso in esame, i termini della questione giuridica devoluti alla ricostruzione della Corte di merito, erano stati precisamente ricostruiti nella sentenza rescindente che aveva indicato i parametri ermeneutici alla stregua dei quali, escluso l’impossessamento, il giudice del merito avrebbe dovuto accertare, presenza degli elementi costitutivi del delitto di insolvenza fraudolenta configurabile tutte le volte in cui al semplice inadempimento dell’obbligazione si aggiungano la dissimulazione dello stato di insolvenza e l’intenzione di non adempiere.
5.Come anticipato è fondato il secondo motivo di ricorso.
La Corte di merito, ha confermato la responsabilità del Forte in relazione al reato di cui al capo B), omettendo l’esame dei motivi di appello avverso la sentenza di condanna di primo grado, sul presupposto che, su detto capo di imputazione, si fosse formato il giudicato perché la condanna per tale reato non era stata impugnata con il ricorso deciso dalla Seconda Sezione penale della Corte il 18 ottobre 2023.
Si tratta, tuttavia, di una conclusione erronea poiché alla Corte di legittimità era stato devoluto il tema della qualificazione giuridica del reato di cui al capo A), qualificazione giuridica in cui rilevava anche il reato di lesioni stante la oggettiva connessione tra il reato di rapina, qualificato come rapina impropria, e la “violenza” adoperata verso l’addetto all’area di servizio nel darsi alla fuga per procurarsi l’impunità, come contestato, in fatto, nel capo di imputazione.
La fattispecie della rapina impropria, secondo la giurisprudenza di legittimità, costituisce un’ipotesi reato complesso in cui l’aggravante teleologica di cui all’art. 61, n. 2 cod. pen. – avere commesso il fatto al fine di procurarsi l’impunità – è assorbita nel delitto per il principio di specialità, attesa la coincidenza tra fattispecie della modalità commissiva dell’uso della violenza e dell’elemento finalistico dell’aver agito allo scopo di assicurarsi il profitto del reato o l’impun (cfr. Sez. 1, n. 37070 del 04/04/2023, Magno, Rv. 285247).
Sussistevano, dunque, al di là della mancata impugnazione con il ricorso per cassazione del reato di cui al capo B), ragioni di coerenza logica e giuridica tra i due reati ostativi a ritenere che la sentenza di primo grado avesse acquistato autorità di giudicato sul capo non impugnato che presentava una correlazione essenziale tra il relativo giudizio e quello espresso sul reato di rapina, oggetto di impugnazione.
In presenza di sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, è solo l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione ad impedire che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268966).
L’omesso esame dei motivi di appello proposti dal Forte avverso la sentenza di condanna di primo grado non si risolve, tuttavia, in un vulnus della sentenza impugnata sul punto del giudizio di colpevolezza, alla stregua del descritto parametro di cui all’art. 578 cod. proc. pen. applicabile anche al giudizio di legittimità e ai fini della dichiarazione di prescrizione anche del reato di cui al capo I h
B): la Corte di appello, nella parte in cui ha esaminato la condotta di fuga dell’imputato, ha, infatti, precisamente descritto una condotta volontaria
dell’imputato, consapevole della circostanza che l’addetto all’area di rifornimento si era aggrappato al finestrino aperto dell’auto e che, nondimeno, aveva proseguito
la marcia fino alla rovinosa caduta della parte civile, laddove, con i motivi di appello, era stata contestata la legittimazione dell’addetto al distributore alla
identificazione del conducente dell’auto, viceversa sussistente in presenza della commissione del reato di cui all’art. 641 cod. pen..
Il reato di lesioni, commesso il 9 giugno 2014, tenuto conto degli atti interruttivi è, parimenti, prescritto alla data del 9 dicembre 2021, successiva alla
sentenza di primo grado (emessa il 23 marzo 2021).
La intervenuta prescrizione del reato comporta l’assorbimento dei motivi di ricorso sul trattamento sanzionatorio irrogato all’imputato.
6.Non sono deducibili con il ricorso per cassazione i motivi di censura che attengono alla determinazione della provvisionale, trattandosi di decisione di
natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277773).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al delitto di lesioni di cui al capo B) per intervenuta prescrizione; rigetta nel resto il ricorso con conferma delle statuzioni civili.
Così deciso il 27 giugno 2025
La Consigliera relatrice
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