Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 47307 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 47307 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME COGNOME nato a Casagiove il 09/02/1966
COGNOME NOME nato a Brescia il 24/10/1966
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante pro tempore
COGNOME SalvatoreCOGNOME nato a Napoli il 14/11/1961
COGNOME NOME nato a Napoli il 19/09/1950
avverso l’ordinanza del 13/03/2024 del Tribunale di S. Maria Capua Vetere visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; udito, per i ricorrenti NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ed NOME COGNOME, l’Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 13 marzo 2024, e depositata il 9 aprile 2024, il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, pronunciando in materia di misure cautelari reali, ha rigettato le istanze di riesame presentate da NOME COGNOME, da NOME COGNOME, da NOME COGNOME in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE“, e da NOME COGNOME, anch’egli in proprio e nella qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, avverso decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di S. Maria Capua Vetere in data 22 gennaio 2024, come corretto in data 29 gennaio 2024.
Il sequestro preventivo, anche nella forma per equivalente, per quanto di interesse in questa sede, è stato disposto: a) nei confronti della società “RAGIONE_SOCIALE“, fino a concorrenza dell’importo di 587.480,68 euro, quale profitto dei reati di indebita compensazione ascritti a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di legali rappresentanti della società “RAGIONE_SOCIALE“, e relativi agli anni 2022 e 2023 (capo 3); b) nei confronti NOME COGNOME (oltre che di NOME Gentili e di NOME COGNOME), per equivalente, per un valore pari alla differenza tra l’importo del profitto dei reati indebita compensazione di cui al capo 3, e quello delle somme di denaro effettivamente reperite nella disponibilità della società “RAGIONE_SOCIALE” in se esecutiva; c) nei confronti di NOME COGNOME per l’importo di 95.109,06 euro, quale profitto del reato di indebita compensazione a lui ascritto, e relativo all’anno 2022 (capo 4); d) nei confronti di NOME COGNOME per l’importo di 92.796,10 euro, quale profitto del reato di indebita compensazione a lui ascritto, e relativo all’anno 2022 (capo 5).
Il Tribunale ha ritenuto legittimo il decreto di sequestro, in particolare osservando che i reati di indebita compensazione sono configurabili perché commessi mediante l’utilizzo di crediti inesistenti, prodotti dal reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni ex art. 316-ter cod. pen., costituite nella specie da crediti ottenuti in applicazione della disciplina di cui all’art. 16, comma 1 septies, d.l. n. 63 del 2013 (c.d. “sisma bonus acquisti” o “sisma acquisti”).
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe: a) la società “RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME; b) NOME COGNOME e NOME COGNOME, quest’ultimo in qualità di legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE“, con un unico atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME; c) NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME.
Il ricorso della società “RAGIONE_SOCIALE“, in persona del lega rappresentante pro tempore NOME COGNOME, è articolato in tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 8 ss. e 16 cod. proc. pen. e 18 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta competenza per territorio del Tribunale di S. Maria Capua Vetere.
Si deduce che l’ordinanza impugnata è in errore nel ritenere la competenza per territorio del Tribunale di S. Maria Capua Vetere. Si premette che l’ordinanza impugnata, dopo aver correttamente individuato il reato più grave nella fattispecie di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, ha applicato il criterio previsto dall’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, ossia quello del luogo di accertamento del reato, invece che quello del luogo di consumazione dello stesso, perché ha ritenuto non evincibile, allo stato degli atti, il luogo in cui è stata effettuata l’u cessione dei crediti inesistenti. Si osserva, però, che, dalla lettura dei capi d imputazione, è possibile evincere come l’ultima condotta illecita, ascritta proprio alla società “RAGIONE_SOCIALE, si sia consumata il 21 agosto 2023 (capo 3), e che tale condotta deve ritenersi essere avvenuta nel circondario del Tribunale di Monza, in quanto: a) secondo un principio generale desumibile dall’art. 18, comrna 2, d.lgs. n. 74 del 2000, i reati tributari si considerano consumati nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale; b) la società “RAGIONE_SOCIALE“, come ris anche dall’informativa di reato, ha sede in Vedano al Lambro, Comune incluso nel circondario di competenza del Tribunale di Monza; c) gli F24, depositati dalla difesa, sono stati pagati a mezzo del cassetto fiscale della società “RAGIONE_SOCIALE” presso la sede della stessa.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 321 e 649 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla esclusione del giudicato cautelare.
Si deduce che l’ordinanza impugnata illegittimamente ha escluso la nullità del decreto di sequestro da essa confermato, perché ha omesso di considerare che detto decreto è stato emesso nonostante non fossero stati prodotti nuovi elementi rispetto a quelli presentati a sostegno di una precedente identica richiesta, rigettata dal G.i.p. con decreto del 4 ottobre 2023, per la mancata indicazione delle esigenze cautelari. Si premette che nella accezione di “questioni dedotte” rientrano anche quelle non enunciate in modo specifico, ma che concorrono ad integrare il presupposto logico di quelle dedotte. Si rappresenta, poi, che, siccome il decreto del G.i.p. del 4 ottobre 2023 non è stato impugnato dal P.M., si è formato il c.d. “giudicato cautelare” (si cita Sez. 6, n. 43123 del 27/10/2023, Riviezzi). Si
precisa che il G.i.p. ha adottato il provvedimento di sequestro poi confermato dall’ordinanza impugnata in assenza di elementi nuovi, perché già alla data del 4 ottobre 2023 aveva a disposizione tutti gli atti di indagine utilizzati nella present procedura. Si rimarca che questo assunto trova conferma nella motivazione del decreto del 4 ottobre 2023, che aveva rigettato la richiesta di sequestro affermando: «Tale anticipazione non appare allo stato necessaria per RAGIONE_SOCIALE e per le persone fisiche di Capacchione NOME e NOME COGNOME non avendo il PM indicato alcuna ragione che renda necessario il predetto effetto ablativo».
3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
Si deduce che l’ordinanza impugnata espone una motivazione meramente apparente sulle esigenze cautelari che renderebbero necessario applicare il sequestro. Si osserva, in primo luogo, che la motivazione del G.i.p. in tema di esigenze cautelari è radicalmente assente, e, quindi, non poteva essere integrata dal Tribunale in sede di riesame. Si rappresenta, in secondo luogo, che la motivazione fornita sul punto dall’ordinanza impugnata, incentrata sulla «sostanziale incapienza patrimoniale della Edilimpianti srl e degli indagati», non tiene conto delle allegazioni documentali della difesa. Si sottolinea che, dai documenti prodotti, in particolare, si evince che “RAGIONE_SOCIALE“: a) nel 202 aveva un fatturato pari a 20.222.077,00 euro e un utile pari a 900.000,00 euro; b) nel 2023 aveva un utile pari a 4.154,319,00 euro; c) al 31 dicembre 2023 aveva una disponibilità per cassa pari quasi 900.000,00 euro, giacente su quattro conti correnti nominativamente indicati, nonché di immobili per quasi 2.000.000,00 di euro e automezzi e macchine operatrici per circa 1.500.000,00 euro. Si segnala che, ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo a fini di confisca, secondo la giurisprudenza, occorre adeguatamente considerare entità e solidità del patrimonio del destinatario del provvedimento (si citano Sez. 6, n. 7302 del 10/01/2024, COGNOME, e Sez. 3, n. 31025 del 06/04/2023, COGNOME, Rv. 285042). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
I ricorsi NOME COGNOME e di NOME COGNOME quest’ultimo in qualità di legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE, sviluppati unitariamente, sono articolati in due motivi.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 321, 322-bis e 649 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla esclusione del giudicato cautelare.
Si deduce che l’ordinanza impugnata illegittimamente ha ritenuto ammissibile la richiesta di un provvedimento di sequestro, precedentemente respinta, sulla
base di argomentazioni precedentemente non formulate, ma fondate su elementi già disponibili al G.i.p. allorché aveva emesso il primo provvedimento. Si osserva che, in questo modo, sono stati violati il principio di tassatività dei rimedi esperibi in materia cautelare (si cita Sez. 5, n. 13083 del 09/02/2011, Rv. 249845), e, quindi, i principi del c.d. “giudicato cautelare” e del divieto di bis in idem. Si rappresenta che, siccome il periculum in mora è un requisito imprescindibile per l’emissione del decreto di sequestro preventivo, l’assenza di indicazioni in proposito da parte del P.M. ed il conseguente rilievo da parte del G.i.p. impongono di ritenere che la “questione” sia stata dedotta quantomeno implicitamente; del resto, a ritenere il contrario, si identificherebbe il concetto di “questione” co quello di argomento. Si evidenzia, poi, che, in materia cautelare, la giurisprudenza ritiene “dedotte” anche le questioni non enunciate in modo specifico, ma integranti il presupposto logico di quelle dedotte (Sez. U, n. 11 del 08/07/1004, COGNOME, Rv. 198213), o comunque poste in rapporto di stretta derivazione logica con quelle formulate in modo espresso (Sez. 6 n. 8900 del 16/01/2018, Rv. 272338). Si conclude, quindi, che, sul punto, il provvedimento di rigetto da parte del G.i.p. ha determinato una preclusione, la quale sarebbe stata superabile solo in presenza di elementi nuovi, e che, di conseguenza, il successivo decreto di sequestro è nullo per violazione del c.d. “giudicato cautelare”.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 321, 324 e 125 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del periculum in mora.
Si deduce che l’ordinanza impugnata ha affermato il rischio di incapienza patrimoniale della società “RAGIONE_SOCIALE” e di NOME COGNOME sulla base di argomentazioni generiche e del tutto apodittiche.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in tre motivi.
5.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 8 ss. e 16 cod. proc. pen. e 18 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. avuto riguardo alla ritenuta competenza per territorio del Tribunale di S. Maria Capua Vetere.
Le censure sono identiche a quelle enunciate nel primo motivo del ricorso proposto dalla società “RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME
5.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 321 e 649 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla esclusione del giudicato cautelare.
Le censure sono identiche a quelle enunciate nel secondo motivo del ricorso proposto dalla società “RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME
5.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 321, comma 2, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
Si deduce che l’ordinanza impugnata espone una motivazione meramente apparente sulle esigenze cautelari che renderebbero necessario applicare il sequestro. Si osserva, in primo luogo, che la motivazione del G.i.p. in tema di esigenze cautelari è radicalmente assente, e, quindi, non poteva essere integrata dal Tribunale in sede di riesame. Si rappresenta, in secondo luogo, che la motivazione addotta sul punto dall’ordinanza impugnata incentrata sulla «sostanziale incapienza patrimoniale della Edilimpianti srl e degli indagati», non tiene conto delle allegazioni documentali della difesa. Si sottolinea che, tra l’altro la situazione di capacità finanziaria e patrimoniale di NOME COGNOME sia evince sia dall’avvenuta esecuzione del sequestro per l’intero nei suoi confronti, sia dalle attestazioni sul suo reddito annuale, di entità adeguata a consentire l’eventuale attuazione della confisca a fine processo. Si segnala che, ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo a fini di confisca, secondo la giurisprudenza, occorre adeguatamente considerare entità e solidità del patrimonio del destinatario del provvedimento (si citano Sez. 6, n. 7302 del 10/01/2024, COGNOME, e Sez. 3, n. 31025 del 06/04/2023, COGNOME, Rv. 285042).
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono nel complesso infondati per le ragioni di seguito precisate.
Nell’illustrazione delle motivazioni della presente decisione, per ragioni di economia espositiva, si procederà, dapprima, all’esame unitario delle censure che pongono questioni comuni a tutti i ricorrenti, le quali attengono alla competenza per territorio e alla ipotizzata violazione del giudicato cautelare, e poi ad un’analis distinta per ciascun ricorrente delle ulteriori deduzioni, riferite alla sussistenz delle esigenze cautelari.
Infondate, nel complesso, sono le censure che contestano la ritenuta competenza territoriale del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, esposte nel primo motivo del ricorso della società “RAGIONE_SOCIALE” presentato da NOME COGNOME e nel primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, deducendo che la cognizione del procedimento spetta al Tribunale di Monza, perché il reato più grave
è quello di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, e nel circondario di tale Tribunale ha sede la società “RAGIONE_SOCIALE, la quale avrebbe effettuato le ultime compensazioni indebite in contestazione.
In proposito, è possibile richiamare espressamente e puntualmente le argomentazioni già esposte da Sez. 3, n. 37248 del 20/06/2024, Degni, con riferimento ad altri provvedimenti di sequestro disposti per i medesimi fatti posti a fondamento delle misure cautelari di cui si discute in questa sede.
2.1. Occorre precisare innanzitutto quali sono i reati da prendere in considerazione ai fini dell’individuazione della competenza per territorio.
Secondo l’orientamento ripetutamente espresso dalla giurisprudenza di legittimità, la competenza territoriale del giudice titolare del potere di decision sulle richieste di misure cautelari si determina avendo riguardo a tutti i reati connessi per i quali si proceda, siano o meno gli stessi coinvolti dalla richiesta di misura (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 50758 del 21/11/2019, COGNOME, Rv. 278005 01, e Sez. 6, n. 46213 del 15/10/2013, Valentino, Rv. 258043 – 01).
Questo orientamento, condivisibilmente, ritiene necessario prendere in considerazione tutti i reati per cui si procede, in applicazione della disciplina generale in materia di competenza per connessione, e, in particolare, degli artt. 12 e 16 cod. proc. pen., alla quale non è prevista alcuna deroga nemmeno con riferimento alle misure cautelari. A suo fondamento, inoltre, si osserva che, se si attribuisse rilievo al solo reato in relazione al quale è stata riconosciuta la gravit indiziaria ed emessa la misura cautelare, si finirebbe con il violare il principi costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, introducendo un requisito non previsto dal legislatore, non ricavabile dal tessuto normativo e tale da creare incertezza sulla sua applicazione.
Risultano, peraltro, controversi gli effetti dell’esclusione del requisito dell gravità indiziaria o della riqualificazione del reato, quando lo stesso sia l’unico pe il quale si procede o quello che esplica vis attractiva sugli altri ai fini della individuazione della competenza.
Secondo un indirizzo, l’esclusione della gravità indiziaria in relazione ad un reato o ad una circostanza aggravante da cui discende la competenza del giudice per le indagini preliminari distrettuale ex artt. 51, comma 3-bis, e 328, comma 1-bis, cod. proc. pen. non fa venir meno la competenza di tale giudice, salvo il caso di radicale assenza di elementi a supporto della loro astratta ricorrenza, in quanto, anche nel procedimento cautelare, la decisione sulla competenza va assunta in limine litis, sulla base della mera descrizione del fatto, prima di ogni valutazione di merito sulla fondatezza dell’accusa come pure sulla gravità degli indizi (così, segnatamente, Sez. 6, n. 5644 del 22/12/2023, dep.
2024, COGNOME, Rv. 286064 – 01, e Sez. 2, n. 24492 del 26/04/2006, Leone, Rv. 234682 – 01).
Secondo altro indirizzo, invece, nel procedimento de libertate, il tribunale del riesame che operi una diversa qualificazione giuridica del reato, escludendo la riconducibilità dei fatti alle ipotesi criminose ricomprese nell’art. 51, comma cod. proc. pen., deve dichiarare l’incompetenza del giudice per le indagini preliminari del tribunale del capoluogo del distretto in cui ha sede il giudice competente, conservando il potere, nel caso in cui tale verifica abbia esito negativo, di annullare il provvedimento, ovvero, nel caso contrario, di provvedere ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen., laddove ravvisi l’urgenza anche di una sola delle esigenze cautelari riscontrate (cfr., in particolare, Sez. 1, n. 32956 del 14/07/2022, Fall Thierno Mountaga, Rv. 283564 – 01).
2.2. Va poi precisato che, quando vengono in rilievo reati connessi, a norma dell’art. 16 cod. proc. pen., la competenza per territorio si determina avendo riguardo al reato più grave, ovvero, in caso di reati di pari gravità, al giudice competente per il primo reato.
E questo principio ha trovato puntuale applicazione anche con riguardo ai reati tributari. Si è ripetutamente affermato, infatti, che la competenza per territorio determinata dalla connessione per reati di pari gravità, appartiene, a norma dell’art. 16 cod. proc. pen., al giudice del luogo dove è stato commesso il primo reato che, secondo i criteri previsti dall’art. 18 d.lgs. n. 74 del 2000, v determinato nel luogo di accertamento, individuabile in quello in cui ha sede l’Autorità Giudiziaria che ha compiuto un’effettiva valutazione degli elementi che depongono per la sussistenza della violazione (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 42147 del 15/07/2019, Reale, Rv. 277984 – 03, e Sez. 3, n. 37858 del 04/06/2014, COGNOME, Rv. 260115 – 01).
2.3. Secondo quanto risulta dall’ordinanza genetica, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di S. Maria Capua Vetere procede con riguardo a cinque ipotesi di reato ascritte a più indagati, e che il G.i.p. del Tribunale di S Maria Capua Vetere ha accolto la richiesta di applicazione del sequestro solo per alcuni dei fatti oggetto di indagine.
Precisamente, dall’epigrafe del decreto di sequestro emesso dal G.i.p. emerge che il pubblico ministero procede: a) per il reato di cui agli artt. 110 e 640-bis cod. pen., ascritto a NOME COGNOME, ad NOME COGNOME, a NOME COGNOME, ad NOME COGNOME, a NOME COGNOME e a NOME COGNOME e indicato come commesso in Caserta in epoca antecedente e prossima al 27 agosto 2021 (capo 1); b) per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 cod. pen., e 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, ascritto a NOME COGNOME e a NOME COGNOME e indicato come commesso in Caserta il 15 dicembre 2022 e il 30 dicembre 2022 e dal 13 gennaio 2023 al :30
gennaio 2023 (capo 2); c) per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 110 cod. pen., e 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, ascritto a NOME COGNOME a NOME COGNOME e a NOME COGNOME e indicato come commesso in Caserta dal 20 ottobre 2022 al 23 dicembre 2022 e dal 4 gennaio 2023 al 21 agosto 2023 (capo 3); d) per il reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, ascritto a NOME COGNOME, e indicato come commesso in Caserta dal 3 ottobre 2022 al 30 novembre 2022 (capo 4); e) per il reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74 del 2000, ascritto ad NOME COGNOME e indicato come commesso in Caserta il 16 novembre 2022, il 16 maggio 2023 e il 16 giugno 2023 (capo 5).
Il decreto emesso dal G.i.p., poi, ha ritenuto la sussistenza del fumus in ordine a tutti i reati ipotizzati e riportati in epigrafe, ma ha disposto il sequestro solo i reati di cui ai capi 3, 4 e 5 (per i reati di cui ai capi 1 e 2 il sequestro era già ordinato con altro precedente decreto del medesimo G.i.p.).
L’ordinanza impugnata, dal canto suo, ha confermato il decreto del G.i.p. del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, ma, in motivazione, ha riqualificato il fatto di cui al capo 1, escludendo la configurabilità del reto di cui all’art. 640-bis cod. peri ed ipotizzando la sussistenza del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen.
2.4. In considerazione dei principi indicati e degli atti del procedimento a disposizione della Corte, la competenza del Tribunale di S. Maria Capua Vetere risulta correttamente affermata.
Invero, posta la rilevanza della connessione tra i reati per cui si procede, ove si abbia riguardo alle contestazioni formulate dal Pubblico ministero, senz’altro reato più grave è quello di cui all’art. 640-bis cod. pen. di cui al capo 1 della rubrica, poi riqualificato dal Tribunale del riesame a norma dell’art. 316-ter cod. pen. L’art. 640-bis cod. pen., infatti, è sanzionato con una cornice edittale (da due a sette anni di reclusione) ampiamente superiore, sia nel minimo sia nel massimo, rispetto a quella prevista per il reato di indebita compensazione di cui all’art. 10quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 (da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione). E, per tale reato, l’imputazione riportata nel decreto di sequestro preventivo indica come luogo di commissione del fatto Caserta, né i ricorrenti formulano alcun rilievo in proposito.
Ma anche se si ritenesse di dover dare rilievo alla riqualificazione operata dal Tribunale del riesame, la conclusione non muterebbe. Se, infatti, reato più grave fosse quello di indebita compensazione, occorrerebbe comunque valutare, in ragione della rilevanza della connessione tra le fattispecie per cui si procede, quale tra i fatti di cui all’art. 10-quater, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 debba ritenersi essere stato commesso per primo. Ora, esaminando le contestazioni riportate nel decreto di sequestro preventivo, tra tutti i reati di indebita contestazione, rubricati ai capi 2, 3, 4 e 5, risulta essere commesso per primo il fatto di cui al ca
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ascritto a NOME COGNOME in quanto realizzato «dal 03/10/2022 al 30/11/2022», se non quello di cui al capo 5, riferito ad NOME COGNOME e alle date del «16/11/2022, 16/05/2023 e 16/06/2023», entrambi sicuramente anteriori al fatto di cui al capo 3, richiamato dai ricorrenti a supporto della propria deduzione, siccome integrato «dal 22/10/2022 al 23/12/2022 e dal 04/01/2023 al 21/08/2023». Invero, come precisato dalla giurisprudenza proprio ai fini della determinazione della competenza, il luogo di consumazione del reato di indebita compensazione si individua in quello in cui è effettuata l’ultima utilizzazione del credito inesistente nell’anno interessato, mediante inoltro del modello F24 (cfr., in particolare, Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 285747 – 02, e Sez. 3, n. 2351 del 18/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284057 – 01). E, per i reati di indebita compensazione di cui ai capi 4 e 5, le imputazioni riportate nel decreto di sequestro preventivo indicano come luogo di commissione del fatto Caserta, né i ricorrenti formulano alcun rilievo in proposito.
2.5. Per ragioni di completezza, è opportuno precisare che risulta corretta anche l’osservazione dell’ordinanza impugnata, secondo cui, con riferimento al reato di cui al capo 3, non è possibile individuare il «luogo in cui il reato è stat consumato».
Invero, il «luogo in cui il reato è stato consumato», previsto come criterio determinativo della competenza dall’art. 8, comma 1, cod. proc. pen. – dalla cui inapplicabilità discende la competenza del «giudice del luogo di accertamento del reato», ex art. 18, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 – deve essere individuato in base ad elementi oggettivi ed idonei a fondare una ragionevole certezza al momento dell’esercizio dell’azione penale, ovvero, se la decisione deve essere assunta anteriormente, allo stato degli atti, e non coincide necessariamente con la sede dell’ente cui è attribuibile la falsa emissione dei documenti fiscali (cfr. Sez. 3, n. 11216 del 19/02/2021, COGNOME, Rv. 281568 – 01).
E, nella specie, l’ordinanza impugnata richiama l’informativa redatta dalla polizia giudiziaria per evidenziare che dalla stessa non risulta il luogo in cui sono stati inseriti nel sistema i modelli F24 per effettuare le compensazioni oggetto delle imputazioni. Né i ricorsi indicano elementi concretamente significativi in proposito, limitandosi a segnalare i dati relativi all’ubicazione della sede della società “RAGIONE_SOCIALE, e all’utilizzo del cassetto fiscale della stessa, in sé assai p concludenti in relazione al luogo di commissione del reato di indebite compensazioni, essendo quest’ultimo realizzabile mediante l’utilizzo di un semplice videoterminale dotato di collegamento alla rete internet.
Di conseguenza, anche volendo restare nella prospettiva dell’ordinanza impugnata, correttamente la competenza sarebbe da individuare sulla base del
luogo di accertamento del reato ai sensi dell’art. 18, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Infondate sono le censure che contestano la violazione del giudicato cautelare, formulate nel secondo motivo del ricorso della società “RAGIONE_SOCIALE” presentato da NOME COGNOME nel secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME, e nel primo motivo dei ricorsi di NOME COGNOME e della società “RAGIONE_SOCIALE” presentato da NOME COGNOME deducendo che il decreto di sequestro confermato dall’ordinanza impugnata è stato emesso in difetto di nuovi elementi rispetto a quelli presentati a sostegno di precedente, identica richiesta, rigettata dal G.i.p. per la mancata indicazione delle esigenze cautelari, con provvedimento non impugnato dal P.M.
3.1. In giurisprudenza si è già affermato che, in tema di misure cautelari reali, l’annullamento di un decreto di sequestro preventivo per totale assenza di motivazione in ordine al periculum in mora non osta all’emissione, nei confronti della medesima persona, di un nuovo vincolo avente ad oggetto lo stesso bene, posto che il giudicato cautelare non si forma nel caso in cui, in sede di annullamento, non sia stata espressa alcuna valutazione, pur se solo incidentale o implicita, circa i presupposti richiesti per l’emissione della misura (così Sez. 3, n. 15125 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286171 – 01).
Questa affermazione, inoltre, costituisce espressione del più generale principio secondo cui la preclusione processuale determinata dal cosiddetto “giudicato cautelare” opera solo nel caso in cui via sia stato un effettivo apprezzamento, in fatto o in diritto, del materiale probatorio e dell’imputazione provvisoria, non conseguendo tale effetto, invece, alle decisioni che definiscano l’incidente cautelare in relazione ad aspetti meramente procedurali (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 8669 del 25/01/2024, Di COGNOME Rv. 285962 – 01, e Sez. 6, n. 43213 del 27/10/2010, COGNOME, Rv. 248804 – 01).
3.2. L’ordinanza impugnata rappresenta che il provvedimento di rigetto della richiesta di sequestro preventivo, precedente a quello che ha invece disposto il vincolo reale, e che era impugnato davanti al Tribunale mediante istanza di riesame, non ha determinato la formazione del giudicato cautelare, almeno in tema di periculum in mora, perché non ha in alcun modo esaminato questo profilo.
Precisamente, il Tribunale osserva che il precisato provvedimento di rigetto della richiesta di sequestro preventivo così si è espresso sul punto: «Tale anticipazione non appare allo stato necessaria per RAGIONE_SOCIALE e per le persone fisiche di Capacchione NOME e NOME COGNOME non avendo il PM indicato alcuna ragione che renda necessario il predetto effetto ablativo». E conclude che il G.i.p., quando ha emesso il provvedimento di rigetto, non ha esaminato tale profilo
perché ha ritenuto preclusiva l’assenza di specifica motivazione del Pubblico Ministero in proposito.
3.3. In considerazione dei principi giuridici applicabili e degli elementi di fatt valutabili in questa sede, le conclusioni dell’ordinanza impugnata sul punto sono immuni da vizi.
Invero, l’originaria decisione di rigetto del G.i.p. è fondata sulla mancata deduzione, da parte del Pubblico Ministero, nella sua prima richiesta, delle ragioni per le quali avrebbe dovuto ritenersi necessario il sequestro, e non si preoccupa in alcun modo di esaminare autonomamente se tali ragioni fossero ravvisabili.
Questa motivazione esclude che via sia stato un effettivo apprezzamento del materiale istruttorio ai fini della verifica della sussistenza delle esigenze cautelar ed impone di ritenere che la decisione abbia definito l’incidente cautelare avendo riguardo ad aspetti meramente procedurali.
Di conseguenza, deve farsi applicazione del principio generale, secondo cui nella specie non sussistono preclusioni processuali da c.d. “giudicato cautelare”, perché questo non consegue alle decisioni che definiscono l’incidente cautelare in relazione ad aspetti meramente procedurali.
In parte prive di specificità e in parte manifestamente infondate sono le censure esposte nel terzo motivo del ricorso della società “RAGIONE_SOCIALE” presentato da NOME COGNOME e nel secondo motivo del ricorso della società “RAGIONE_SOCIALE” presentato da NOME COGNOME le quali contestano l’affermazione della sussistenza delle esigenze cautelari nei confronti di tale impresa, deducendo che la motivazione del decreto impugnato sul punto è radicalmente assente, e quindi non poteva essere integrata dal Tribunale, e che, comunque, il secondo Giudice non ha tenuto conto delle allegazioni della difesa.
4.1. Le censure in questione, nella parte in cui assumono che il G.i.p., nell’adottare il decreto di sequestro, non ha motivato in tema di esigenze cautelari, sono prive di specificità, perché si limitano ad una mera asserzione.
In ogni caso, dal decreto di adozione del sequestro, presente negli atti a disposizione della Corte, emerge che il G.i.p. ha ritenuto la sussistenza del sequestro valorizzando sia la consistenza quantitativa del profitto confiscabile, sia il comportamento fraudolento degli indagati, i quali hanno repentinamente ceduto i crediti fittizi conseguiti mediante il reato di truffa, poi riqualificato a n dell’art. 316-ter cod. pen.
Deve quindi escludersi che la motivazione del decreto di sequestro manchi o sia meramente apparente. Deve perciò ritenersi che legittimamente il Tribunale, nel decidere sull’istanza di riesame, abbia proceduto alle integrazioni ritenute
opportune; e, anzi, ciò è avvenuto manifestando espressa adesione alle ragioni indicate nel decreto di sequestro.
4.2. Le censure indicate, inoltre, nella parte in cui contestano che il Tribunale non ha tenuto conto delle allegazioni della difesa in tema di (insussistenza delle) esigenze cautelari, sono manifestamente infondate.
L’ordinanza impugnata, infatti, ha preso specificamente in esame la situazione patrimoniale della “RAGIONE_SOCIALE” ed ha evidenziato come la stessa abbia un attivo “opaco”, difficilmente apprezzabile, e scarsamente attendibile per escludere il rischio di dispersione del profitto del reato per il considerevole importo di 587.480,68 euro, secondo quanto indicato nel decreto di sequestro. In particolare, si osserva che: a) l’attivo al 31 dicembre 2023 risulta pari a 4.154.319,41 euro; b) una parte di questo attivo, pari a 463.019,32 euro, è costituita da crediti per “superbonus” e “sismabonus” derivanti dall’attività che si è ritenuta integrare gli estremi dei reati posti a fondamento dei sequestri; c) altra parte di questo atti, per 3.873.768,99 euro, è costituita da “crediti verso l’Erario”, non meglio precisati e di natura non esplicitata; d) una ulteriore parte di questo attivo è costituita da beni immobili e da beni mobili oggetto di stima unilaterale da parte della società.
Manifestamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo del ricorso di COGNOME, le quali contestano l’affermazione della sussistenza delle esigenze cautelari nei confronti del medesimo, deducendo che la motivazione dell’ordinanza impugnata sul punto è generica ed apodittica.
In effetti, l’ordinanza impugnata spiega in modo preciso e congruo perché ritiene sussistente il pericolo di dispersione dei beni in relazione ad NOME COGNOME. Rappresenta, in particolare, che l’importo in sequestro è rilevante, perché pari a 92.796,10 euro, che NOME COGNOME non ha prodotto alcuna dichiarazione dei redditi per dimostrare la sua capacità patrimoniale, e che non possono ritenersi soddisfacenti le allegazioni del difensore, secondo cui la somma da sottoporre a vincolo è determinata da una integrazione operata dalla moglie del medesimo.
In parte prive di specificità e in parte manifestamente infondate sono le censure enunciate nel terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME le quali contestano l’affermazione della sussistenza delle esigenze cautelari nei confronti del medesimo, deducendo che la motivazione del decreto impugnato sul punto è radicalmente assente, e quindi non poteva essere integrata dal Tribunale, e che, comunque, il secondo Giudice non ha tenuto conto delle allegazioni della difesa.
Le censure in questione, nella parte in cui assumono che il G.i.p., nell’adottare il decreto di sequestro, non ha motivato in tema di esigenze cautelari, sono prive di specificità, perché meramente assertive, e comunque sono manifestamente
infondate alla luce delle argomentazioni esposte nel precisato decreto, per le medesime ragioni indicate nel § 4.1. con riferimento a “RAGIONE_SOCIALE“.
Le censure indicate, inoltre, nella parte in cui contestano che il Tribunale non ha tenuto conto delle allegazioni della difesa in tema di (insussistenza delle) esigenze cautelari, sono manifestamente infondate. L’ordinanza impugnata, infatti, ha preso specificamente in esame la situazione reddituale di NOME COGNOME ed ha evidenziato come la stessa sia inidonea ad escludere il rischio di dispersione del profitto del reato, in quanto il profitto conseguito da tal ricorrente mediante il delitto posto a base della misura è stato quantificato in 95.109,06 euro, mentre la dichiarazione dei redditi presentata dal medesimo il 28 novembre 2023 attesta un reddito annuo pari a 40.315,00 euro.
Alla complessiva infondatezza delle censure proposte seguono il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 15/10/2024.