Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22456 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22456 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SERRA SAN BRUNO il 10/09/1992
avverso l’ordinanza del 25/02/2025 del TRIB. LIBERTA di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME con cui ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza pronunciata a norma dell’art. 310 cod. proc. pen. in data 25 febbraio 2025, il Tribunale di Reggio Calabria GLYPH ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Locri, in composizione collegiale, aveva rigettato l’istanza d revoca della misura della custodia cautelate in carcere in atto nei suoi confronti in ordine al reato di cui all’art. 416 bis 1, 61 bis cod. pen., 74 commi 1, 2, 3 4 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (capo B) e a plurimi delitti di cui agli artt. 11 cod. pen. 73 e 80 d.P.R. n. 309/90 (capi B5, B7, B44, B45, B47, B48, B50), o, in via subordinata, di sostituzione di detta misura con quella degli arresti domiciliari anche con applicazione del braccialetto elettronico.
NOME era stato sottoposto alla misura cautelare del carcere con ordinanza dell’Il maggio 2023, in quanto ritenuto partecipe di un’associazione volta al narcotraffico di sostanze stupefacenti (con il ruolo di corriere addetto al trasporto e alla consegna di ingenti carichi di cocaina) e, altresì, coinvolto i numerosi delitti scopo.
Avverso l’ordinanza l’imputato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso, formulando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e in specie degli articoli 273 cod. proc. pen. e 416 bis cod. pen. e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza della gravità indiziaria, per mancanza di autonoma valutazione dei fatti da parte del Tribunale in composizione collegiale e del Tribunale del riesame, e alla sussistenza del giudicato cautelare.
La preclusione GLYPH derivante da tale giudicato -osserva il difensore- può riguardare solo le questioni trattate e può essere superata da elementi nuovi che modifichino la situazione di riferimento. Pertanto, l’affermazione del Tribunale secondo cui il quadro indiziario si sarebbe cristallizzato per effetto del giudicato cautelare sarebbe errata: da un lato, l’attività istruttoria espletata non aveva prodotto riscontri concreti contro l’imputato, in quanto non era stato dimostrato l’uso da parte sua del criptofonino sul quale erano transitate le comunicazioni ritenute rilevanti e, dall’altro, quale elemento nuovo di valutazione, erano intervenute nei confronti dei coimputati ordinanze, ex art. 299 cod. proc. pen., di sostituzione della misura.
2.2. Con il secondo motivo, GLYPH ha dedotto il vizio di motivazione in relazione alla diversità di trattamento rispetto ai coimputati. Il difensore ricorda che il Gup presso il Tribunale di Catania aveva sostituito nei confronti di nove
dei ventisette coimputati la misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari: tale circostanza non era stata considerata dal Tribunale, che si era limitato ad invocare il principio per cui il trattamento cautelare deve essere individualizzato in ragione anche della personalità di ciascuno dei coimputati, senza rapportare tale principio al caso concreto.
2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari. La motivazione del Tribunale, secondo cui la presunzione di esistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura della custodia in carcere non era stata superata nel caso di specie, non teneva conto dell’evoluzione giurisprudenziale più recente nel senso della valorizzazione del tempo trascorso dai fatti contestati e la adozione della misura, ove in tale periodo non si registrino condotte sintomatiche di perdurante pericolosità dal parte dell’indagato. A tal proposito il difensore ha ricordato: che l’ultimo episodio contestato risale al 2020 e che da tale data a quella di applicazione della misura cautelare, maggio 2023, non era emerso alcun reato; che l’indagato non ha precedenti penali specifici in quanto l’unica condanna riguarda il taglio abusivo di legname; che l’indagato in carcere si è sempre comportato correttamente partecipando attivamente alla vita comunitaria; che l’indagato non ricopriva ruolo apicale nell’ambito dell’associazione, ma era un mero corriere senza alcuna responsabilità di vertice.
2.4. Con il quarto motivo ha dedotto la violazione dell’art. 275 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in relazione all’adeguatezza della sola misura del carcere. Il Tribunale non avrebbe spiegato le ragioni per cui l’unica misura adeguata fosse quella di massima afflittività, né le ragioni per cui gli arrest domiciliari con il presidio del braccialetto elettronico non fossero idonei a scongiurare il pericolo di reiterazione del reato.
Il Procuratore generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente, in data 20 maggio 2025, ha depositato una memoria con ci ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
2. Il GLYPH primo e il secondo GLYPH motivo, GLYPH con cui si censura la GLYPH ritenuta preclusione del giudicato cautelare a fronte della prospettazione di elementi nuovi (quali l’asserito mancato riscontro nel corso del processo dell’ipotesi di accusa e la sostituzione nei confronti di alcuni coimputati della misura del carcere con quella degli arresti domiciliari) sono inammissibili, in quanto generici e, comunque, manifestamente infondati.
2.1. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235908) hanno chiarito che le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame. La preclusione processuale conseguente alle pronunzie emesse, all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte di Cassazione ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, ha una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché è limitata allo stato degli atti, sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, esplicitamente o implicitamente, intendendosi per queste ultime quelle che si pongono in rapporto di stretta connessione logica con le prime (Sez. 1, n. 47482 del 6/10/2015, Orabona, Rv. 265858; Sez. 6, n. 8900 del 16/1/2018, COGNOME, Rv. 272338). E’, dunque, possibile dedurre in ogni momento, in sede cautelare, elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito (Sez. 5, n. 1241 del 2/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261724; Sez. 2, n. 49188 del 9/9/2015, COGNOME, Rv. 265555; vedi anche Sez. 3, n. 10976 del 19/1/2016, COGNOME, Rv. 266712). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Così inquadrato il perimetro delle questioni deducibili a fronte del giudicato cautelare, si osserva che il Tribunale, nel respingere l’appello, ha fatto corretta applicazione dei principi su indicati e ha, appunto, invocato, a seguito del rigetto della richiesta di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., la preclusione a esaminare la doglianza circa l’ insussistenza delle esigenze cautelari a motivo dell’insufficienza di gravi indizi di colpevolezza.
Sotto tale specifico GLYPH profilo, GLYPH il ricorso invoca in maniera generica l’esistenza di nuovi elementi di valutazione e afferma, in maniera apodittica, il ridimensionamento, per effetto dello svolgimento dell’istruttoria dibattimentale, del compendio indiziario, senza specificare in alcun modo gli elementi da cui sarebbe emersa l’ insussistenza dell’ipotesi di accusa.
Il Tribunale GLYPH ha anche escluso che il mutamento del GLYPH trattamento cautelare di alcuni dei coimputati potesse rappresentare un elemento di novità
tale imporre un nuovo esame della vicenda, richiamando il principio per cui in tema di esigenze cautelari, la posizione processuale di ciascun coindagato o coimputato è autonoma, in quanto la valutazione da esprimere ai sensi dell’art. 274 cod. proc. pen., in special modo relativamente al pericolo di recidivanza, si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato alla realizzazione dell’illecito da ognuno dei concorrenti, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo (Sez. 3, n. 7784 del 28/01/2020, Mazza, Rv 278258). La doglianza del ricorrente, secondo cui il richiamo alla personalità del ricorrente sarebbe generico e disancorato da dati concreti, non si confronta con il passaggio dell’ordinanza in cui i giudici hanno sottolienato la “spiccata professionalità delinquenziale” del NOME, desunta dalle modalità concrete delle condotte di reato, consistite nel trasporto di ingenti quantitativi di cocaina in autovetture appositamente dotati di doppio fondo, in un contesto di tipo associativo. Il motivo, di contro, deve essere qualificato come generico, posto che non chiarisce in che senso la posizione del ricorrente dovesse essere parificata a quella dei coindagati che avevano ottenuto un trattamento cautelare più mite e non indica elementi concreti di valuatzione in tale senso.
3.11 terzo e il quarto motivo, incentrati sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sulla valutazione di idoneità della sola misura del carcere, sono manifestamente infondati.
3.1.Come ricordato dal Tribunale, NOME è stato sottoposto alla misura della custodia in carcere in ordine al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 per i quale vige la presuzione, relativa, di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura massimamente afflittiva.
Il ricorrente lamenta, in primo luogo, la mancata valutazione, quale elemento di novità, del tempo trascorso fra l’epoca di commissione dei fatti e la data di applicazione della misura.
In proposito è sufficiente richiamare il condivisibile principio per cui i cosiddetto “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato deve essere oggetto di valutazione a norme dell’art. 292 comma 1 lett.c) cod. proc. pen. da parte del giudice che emette l’ordinanza che dispone la misura cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dell’art. 299 cod. proc. pen. i fini della revoca o della sostituzione della misura, rispetto alle quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dalla esecuzione della misura (Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590 – 01; Sez.2, n. 12807 del 19/02/2020, Rv 278999).
In ogni caso il Tribunale, con un percorso argomentativo che non si presta a censure, non si è limitato a richiamare la doppia presunzione relativa di esistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della sola misura del carcere, ma ha anche dato atto che non erano stati allegati elementi tali da vincere la presunzione, sottolienando: che il c.d. tempo silente, ovvero il tempo trascorso tra i fatti per cui si procede e l’esecuzione della misura, non consentiva di superare la presunzione legislativa; che il tempo di neppure due anni, trascorso dall’esecuzione della misura, non era tale da determinare una rivalutazione della permanenza delle esigenze cautelari; che anche la partecipazione a corsi all’interno dell’istituto penitenziario non poteva essere considerato indice di rescissione dei legami con il contesto associativo.
3.2.Quanto alla adeguatezza della sola misura massimamente afflittiva, il Tribunale ha formulato una valutazione individualizzata, rilevando la estrema gravità delle condotte di reato poste in essere, la spiccata professionalità delinquenziale del ricorrente e la pluralità dei contatti dallo stesso intrattenut con appartenenti al contesto criminale del narcotraffico e specificando che la collocazione domicilare presso la residenza del ricorrente era già stata valutata negativamente in sede di riesame.
Si osserva in tale senso che l’ apprezzamento in ordine alla inidoneità della cautela domiciliare con il presidio del controllo elettornico può anche emergere dall’esplicita valutazione in ordine alla esclusiva idoneità della cautela inframuraria a contenere le gravi esigenze cautelari: il giudizio del Tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il pericolo della reiterazione criminosa, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita sulla impossibilità di impiego di uno degli strumenti elettroni di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod proc. pen. (Sez. 2, n. 31572 del 08/06/2017 – dep. 26/06/2017, COGNOME, Rv. 270463; Sez. 3, n. 43728 del 08/09/2016 – dep. 17/10/2016, L, Rv. 267933). Come rilevato dalle Sezioni Unite, gli arresti donniciliari devono ritenersi “ordinariamente” caratterizzati dall’imposizione del controllo elettronico che, quanto non necessario deve essere espressamente escluso (Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016 – dep. 19/05/2016, COGNOME, Rv. 266651): il che conforta la corretta dell’interpretazione che ritiene assolto l’onere motivazionale circa la esclusiva proporzionalità della misura carceraria quando si esclude radicalmente la capacità contenitiva del regime cautelare domestico (Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, COGNOME, Rv. 277762).
8. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte
costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di
inammissibilità.
Ai sensi dell’art. 94 comma 1- ter disp. att. cod. proc. pen., gli atti devono essere trasmessi alla cancelleria per i relativi adempimenti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma I- ter disp. att. cod. proc. pen.
Roma 27 maggio 2025.