Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4787 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4787 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LOCRI il 22/02/1976
avverso l’ordinanza del 22/05/2024 del TRIBUNALE di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga rigettato;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME anche in sostituzione dell’Avv. COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Milano, con provvedimento del 22/05/2024, ha confermato l’ordinanza del 18/11/2024, appellata ex art. 322-bis cod. proc. pen. da NOME COGNOME con la quale il Gip presso il Tribunale di Milano aveva rigettato la richiesta di revoca del decreto di sequestro preventivo emesso il 18/11/2022.
Il Tribunale ha ricostruito il contesto dal quale traeva origine la applicazione della misura genetica emessa dal Gip presso il Tribunale di Milano in data 18/11/2022 quanto alla imputazione provvisoria elevata alle lettere M) ed I) (associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe aggravate in danno di una pluralità di persone nell’ambito del c.d. “sistema Gerbi”, anche mediante l’utilizzo di una serie di società schermo). Veniva, quindi, riportato l’esito dell’attività di indagine espletata e le conclusioni raggiunte dal Pubblico ministero con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, con parziale rideterminazione delle condotte ascritte al ricorrente COGNOME rispetto a quelle enucleate nei precedenti capi di imputazione, con particolare riferimento alla persona offesa COGNOME (capo 16).
Richiamate le censure articolate dalle difesa, il Tribunale ha confermato il provvedimento impugnato, attesa la diretta riferibilità del profitto al delitto associativo, sicché non si poteva ritenere che fosse mutato il titolo del reato, da identificare comunque nel delitto associativo, rimasto tale nella sua struttura come emergeva anche dalla formulazione del capo di imputazione, rispetto al quale risultava realizzata una mera integrazione mediante il richiamo ad un ulteriore reato fine rappresentato dalla appropriazione indebita. Infine, analizzate le doglianze della difesa, il Tribunale ha richiamato la disciplina in tema di giudicato cautelare e l’impossibilità, atteso il riesame in precedenza proposto, di esercitare una seconda volta l’azione per i medesimi fatti sulla base dei medesimi elementi, rappresentati dal sequestro in via autonoma dei profitti illeciti derivanti dalla associazione per delinquere contestata al capo 1) della rubrica.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei propri difensori, NOME COGNOME articolando diversi motivi di ricorso, che qui si riportano nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod. proc. pen.
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4.1. GLYPH Violazione di legge ed erronea applicazione dell’art. 321 cod. proc. pen. quanto alla verifica dei presupposti per il mantenimento del sequestro preventivo in relazione al delitto contestato ai sensi dell’art. 416 cod. pen.; la difesa ha richiamato le tematiche già proposte in diritto con l’atto di appello (pag. 5 del ricorso) quanto all’intervenuto mutamento del fatto oggetto di imputazione, atteso che lo scopo della associazione per delinquere era stato originariamente individuato esclusivamente nella commissione di un numero indeterminato di truffe, non essendo in alcun modo ricompreso in tale ambito il delitto di appropriazione indebita. La modifica della qualificazione giuridica di una delle imputazioni ascritte da truffa aggravata in appropriazione indebita aveva determinato il venir meno dei presupposti sulla base dei quali era stata adottato il sequestro preventivo.
GLYPH
La difesa ha sostenuto che il mero confronto tra la contestazione richiamata nel decreto di sequestro preventivo per il delitto di associazione per delinquere con quella oggetto dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari rendeva evidente il mutamento del fatto, con conseguente venir meno delle condizioni che avevano giustificato l’apposizione del vincolo cautelare. Si è anche sottolineato come nell’ambito dell’associazione per delinquere sono i reati che devono essere in numero indeterminato e non i progetti criminali ad essere indeterminati, con la conseguenza che è manifestamente illogico affermare che il delitto associativo, che ha costituito il presupposto per l’emissione del decreto di sequestro preventivo, non sia mutato a seguito della modifica della contestazione operata dal Pubblico ministero nell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen.
GLYPH
Il sequestro era stato adottato dopo aver individuato lo scopo della associazione nella commissione di un numero indeterminato di reati di truffa, mentre non era mai stato ricompreso in tale ambito il delitto di appropriazione indebita, né erano ivi descritte le condotte ora poste alla base della nuova imputazione.
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4.2. GLYPH Violazione di legge ed erronea applicazione dell’art. 649 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 321 e 324 cod. proc. pen. quanto alla asserita ricorrenza di un giudicato cautelare (per come evidenziato dal Tribunale a pag. 7 del provvedimento impugnato), proprio in considerazione della intervenuta modifica, all’esito della conclusione
delle indagini, delle contestazioni mosse nei confronti del COGNOME L’intervenuta modifica del titolo di reato riferito al ricorrente non era in alcun modo deducibile all’epoca di presentazione della istanza di riesame e l’interesse ad affrontare tale elemento di novità è sorto solo a seguito della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari.
4.3. GLYPH Violazione di legge ed erronea applicazione dell’artt. 125, comma 3, 321 cod. proc. pen., in considerazione della totale omissione della motivazione quanto al secondo motivo di appello, con il quale era stata dedotta l’illogicità della decisione assunta in data 27/03/2024 dal Gip del Tribunale di Milano quanto all’intervenuto sequestro di somme che rappresentavano a tutti gli effetti onorari corrisposti all’Avv. COGNOME dalla compagnia assicuratrice nell’ambito della gestione del sinistro che aveva coinvolto NOME COGNOME rispetto alla decisione assunta per le somme sequestrate come profitto della associazione per delinquere quanto agli onorari corrisposti per la gestione dei sinistri che avevano coinvolto NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato perché proposto con motivi infondati e non consentiti.
Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente perché involgono diversi aspetti tra loro collegati quanto alla effettiva possibilità da parte del ricorrente di adire il giudice di appello in presenza di elementi nuovi tali da superare la preclusione del c.d. giudicato cautelare.
2.1. GLYPH I motivi sono infondati. Il tema introdotto, in modo argomentato dalla difesa, è quello relativo al poter ritenere quale elemento nuovo – legittimante l’appello avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo pronunciato dal Gip nei confronti del ricorrente – la sopravvenuta diversa qualificazione giuridica del reato commesso in danno della COGNOME, originariamente ascritto nella imputazione provvisoria quale truffa aggravata ed in seguito qualificato nell’ambito dell’avviso di conclusione indagini preliminari quale appropriazione indebita aggravata.
2.2. GLYPH La tesi della difesa, seppure approfonditamente articolata, non coglie nel segno e non si confronta con il principio espresso sul tema da questa Corte, che qui si intende ribadire, secondo il quale una valutazione giuridica differente di elementi già noti non può costituire uno dei nova che è consentito dedurre per superare la preclusione processuale del ne bis in idem (e la giurisprudenza di questa Corte non ha mancato di sottolinearlo come evidenziato con varie argomentazioni da Sez. 6, n. 39346 del 3/7/2017, COGNOME, Rv. 271056-01; Sez. 3, n. 43193 del 3/5/2018, P., Rv. 273944-01).
Nel caso in esame i dati concreti oggetto di valutazione, la base di indagine, gli elementi integranti materialmente la condotta oggetto di imputazione sono gli stessi valutati dal Giudice al momento della concessione della misura cautelare reale, con particolare riferimento per come specificamente ed in modo argomentato chiarito dal Tribunale con motivazione che non si presta a censure in questa sede – alla presenza di una associazione per delinquere specificamente strutturata, caratterizzata dalla predisposizione di una articolata organizzazione di mezzi e persone al fine di commettere plurimi reati contro il patrimonio.
2.3. GLYPH Tra tali reati-fine, sin dall’inizio, le indagini e le valutazioni rimesse al Gip in sede di adozione della misura hanno riguardato anche la posizione della persona offesa COGNOME con considerazione degli elementi a carico del ricorrente, ritenuti indicativi, nella misura genetica e in sede di riesame, della ricorrenza del fumus commissi delicti e del periculum in mora. Solo, in seguito, gli stessi elementi hanno condotto ad una diversa qualificazione giuridica, identificando il titolo del reato-fine quale appropriazione indebita aggravata in sede di avviso di conclusione indagini. Il Tribunale del riesame ha specificamente ricostruito l’identità dell’insieme delle evenienze investigative prese in considerazione in sede di appello cautelare rispetto alla istanza di riesame precedentemente proposta ed ha chiarito, con argomentazione esplicita, con la quale il ricorrente effettivamente non si confronta, come il profitto del reato debba riferirsi proprio al delitto associativo, apparendo in tal senso non incidente la diversa qualificazione giuridica di un reato-fine rispetto al complesso insieme di elementi che hanno portato a qualificare quanto in sequestro come profitto associativo. Il tema della portata del profitto associativo è stato ampiamente considerato anche nell’ambito della decisione di legittimità relativa al riesame proposto dal ricorrente
NOMECOGNOME con argomentazioni che sono state condivise anche dal giudice dell’appello, proprio al fine di evidenziare l’identità degli elementi oggetto della nuova istanza. In tal senso vale la pena ricordare come sia stato chiarito da questa Corte, con argomentazioni che si devono ribadire, che i vantaggi patrimoniali del reato associativo sono autonomi da quelli derivanti dai reati-fine la cui esecuzione è avvantaggiata proprio dalla esistenza di una stabile organizzazione con estensione della confiscabilità a tutti i vantaggi derivanti dalla creazione del sodalizio nella cui prospettiva esso è stato creato. In tal senso, si è osservato che il profitto del reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen. non consiste nel mero fatto di associarsi al fine della commissione di più delitti, di per sé improduttivo di ricchezze illecite, ma è il frutto della sommatoria dei profitti generati dai singoli reati (Sez. 6, n. 29960 del 06/07/2022, COGNOME, Rv. 283881 -02; Sez. 2, n. 6507 del 20/01/2015, COGNOME, Rv. 262782-01, secondo cui il delitto di associazione per delinquere può essere considerato in sé idoneo a generare profitto illecito – come tale suscettibile di confisca in via del tutto autonoma da quello conseguito dai reati-fine perpetrati in esecuzione del programma criminoso – con riferimento alle utilità percepite dagli associati per il contributo da essi prestato per assicurare il regolare funzionamento del sodalizio ritenendo immune da censure la decisione impugnata che aveva confermato il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di somme erogate alla società di persona indagata di partecipazione ad un’associazione per delinquere transazionale finalizzata alla consumazione di reati fiscali e di riciclaggio, per importi ulteriori e non coincidenti con quelli riferibili ai reati fiscali posti in essere; Sez. 3, n. 44912 del 07/04/2016, COGNOME, Rv. 268772-01). Il Tribunale del riesame ha compiutamente considerato le allegazioni difensive sul tema devoluto con l’atto di appello, facendo corretta applicazione dei principi appena richiamati, che erano stati ampiamente esplicati anche in sede di riesame. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.4. GLYPH Ne consegue l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso. In tal senso, si deve osservare che fatto nuovo “è solo quello che altera i termini di fatto e di diritto della decisione precedente. La preclusione endo-processuale del giudicato cautelare opera allo stato degli atti, ed è preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che essa può essere superata laddove intervengano
elementi nuovi che alterino il quadro precedentemente definito” (Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 265555-01; Sez. 5, n. 1241 del 02/10/2014, COGNOME, Rv. 261724-01; Sez. 5, n. 5959 del 14/12/2011, COGNOME, Rv. 252151-01, secondo cui la preclusione derivante da una precedente pronuncia del Tribunale del riesame può essere superata quando si prospettino nuovi elementi di valutazione e di inquadramento dei fatti, acquisiti da ulteriori sviluppi delle indagini pur se riguardanti circostanze precedenti alla decisione preclusiva; nello stesso senso Sez. 6, n. 4112 del 30/11/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235610-01; Sez. 6, n. 26743 del 06/05/2003, COGNOME, Rv. 226991-01; Sez. U, n. 26 del 12/11/1993, COGNOME, Rv. 19580601, che ha evidenziato che deve ricorrere un cambio delle condizioni in base alle quali fu emessa la precedente decisione; un mutamento del fatto che secondo Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195354 -01, deve essere apprezzabile; in questo senso anche Sez. 5, n. 17986 del 09/01/2009, NOME COGNOME non massimata; sulla necessità di nuove acquisizioni probatorie che implichino un mutamento della situazione di fatto sulla quale la decisione era fondata Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, COGNOME, Rv. 227359-01). Anche i fatti processuali possono essere valutati alla stregua di “fatti nuovi” se ne hanno l’attitudine alla luce dei principi sopra esposti. Il decreto che dispone il giudizio (o il decreto di citazione diretta a giudizio), per esempio, può costituire fatto nuovo se con esso viene precisata l’imputazione in modo da alterare i presupposti della decisione già presa (Sez. 3, n. 10976 del 19/01/2016, COGNOME, Rv. 266712-01; Sez. 6, n. 10662 del 04/02/2009, COGNOME, Rv. 243472-01). Non costituisce, invece, fatto nuovo, la diversa valutazione dei medesimi fatti, da parte di altro giudice del riesame, a seguito della richiesta proposta da un coindagato dello stesso reato (Sez. 6, n. 39346 del 03/07/2017, COGNOME, Rv. 271056-01; Sez. 3, n. 26385 del 09/06/2011, COGNOME, Rv. 250678-01; Sez. 6, n. 4993 del 03/12/2009, COGNOME, Rv. 246076-01; Sez. 2, n. 6288 del 15/12/1999, COGNOME, Rv. 216997-01; Sez. 2, n. 5165 del 04/11/1999, Rv. 214667-01; Sez. 2, n. 20281 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266889-01).
Nel caso concreto permane, dunque, l’identità dei fatti valutati, risultando solo mutata la qualificazione giuridica. Non si possono in altri termini ritenere introdotti elementi nuovi rispetto agli atti processuali, non vagliati in precedenza, con conseguente correttezza della
argomentazione giuridica del Tribunale in tema di ne bis in idem (Sez. 6, n. 4003 del 25/10/2023, COGNOME Rv. 285903-01).
2.5. Sul tema della portata ed identificazione dell’idem factum la giurisprudenza di legittimità, ha evidenziato difatti come, ai fini della preclusione del ne bis in dem, l’identità del fatto debba essere valutata in relazione al concreto oggetto del giudicato, senza confrontare gli elementi delle fattispecie astratte di reato (Sez. 5, n. 47683 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268502; Sez. 2, n. 19712 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 263543; Sez. 5, n. 52215 del 30/10/2014, COGNOME, Rv. 261364), al fine di presidiare, secondo effettività, le garanzie che la predetta norma è intesa a tutelare. Il principio del ne bis in idem opera anche in materia cautelare, seppur con gli adattamenti imposti dalla peculiarità dei profili processuali, ed ha condotto all’elaborazione giurisprudenziale del concetto di giudicato cautelare, nonché all’individuazione di un sistema di preclusioni tese a garantire la razionalità dell’apparato normativo. In tal senso, la giurisprudenza di legittimità ha ampiamente esplicato, con principi che si condividono e che si devono ribadire, la ratio dell’effetto preclusivo elaborato in relazione al sistema delle impugnazioni cautelari, chiarendo che tale ratio va ravvisata nell’esigenza di impedire che, immutate le condizioni legittimanti l’applicabilità o meno di una misura cautelare, vi sia una mera rivalutazione degli stessi elementi, dovendosi evitare, in assenza di un quid novi, che venga emessa una misura cautelare in precedenza negata ovvero che venga revocata una misura cautelare in precedenza adottata.
Tale preclusione risulta quindi finalizzata ad impedire lo svolgimento di una pluralità di procedimenti basati sul medesimo fatto storico, con la necessaria precisazione che in materia cautelare tale divieto concerne non già la mera identità del fatto, bensì l’identità degli elementi già valutati in occasione della precedente iniziativa cautelare (Sez. 1, n. 40132 del 30/04/2019, COGNOME, non massimata, nonché in generale Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 265555-01; Sez. 2, n. 5381 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262284-01; Sez. 5, n. 1241 del 02/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261724-01; Sez. 6, n. 34565 del 22/05/2014, COGNOME, Rv. 259902-01; Sez. 5, n. 5959 del 14/12/2011, dep. 2012, Amico, Rv. 252151-01; Sez. 6, n. 4112 del 30/11/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235610-01). Nel caso in esame, come correttamente evidenziato nel provvedimento impugnato, con motivazione del tutto immune da illogicità, ricorre una
identità del fatto in relazione al concreto oggetto del precedente giudizio in materia di cautela reale adottata nei confronti del ricorrente.
3. Il terzo motivo non è consentito, perché versato in fatto, limitandosi a riproporre una propria lettura alternativa quanto alle caratteristiche del bene oggetto di sequestro e alla riferibilità dello stesso proprio alla attività associativa oggetto di contestazione. Il tema, tra l’altro, era stato ampiamente affrontato in sede di riesame. Il Tribunale in sede di appello si è confrontato con la censura difensiva ed ha specificamente argomentato anche quanto alle diverse posizioni giuridiche analizzate, non risultando, dunque, omessa la motivazione sul tema devoluto con il secondo motivo, atteso che, con le argomentazioni, approfondite e chiare, in ordine alla posizione del ricorrente ed alla attività allo stesso imputata, è stata ampiamente ricostruita la diversità di contesto operativo, la incidenza della attività professionale svolta al fine del raggiungimento del programma associativo, con riferimento alla persona offesa COGNOME così che deve ritenersi evidentemente disattesa, per incompatibilità logico argomentativa, la censura relativa ad una illogicità (peraltro non censurata come manifesta) della motivazione quanto al diverso trattamento della posizione del ricorrente rispetto alle altre persone offese. Sul punto, occorre considerare come, secondo il diritto vivente, il sindacato della Corte di cassazione in tema di ordinanze del riesame relative a provvedimenti reali è circoscritto alla possibilità di rilevare ed apprezzare la sola violazione di legge, così come dispone testualmente l’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
Una violazione che la giurisprudenza ormai costante di questa Corte, uniformandosi al principio enunciato da Sez. U, n. 5876, del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710-01, riconosce unicamente quando sia constatabile la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlata alla inosservanza di precise norme processuali” (Sez. U, n. 18954 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266789-01; Sez. 2, n. 45865 del 04/10/2019, COGNOME; Sez. 6, n. 10446 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 272336-01; Sez. 2, n. 18951 del 17/03/2017, Napoli, Rv. 269656-01, Sez. U. n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692-01), elementi questi certamente non ricorrenti nel caso in esame in presenza di una motivazione articolata e del tutto immune da illogicità manifesta o apparenza.
Il ricorso deve in conclusione essere rigettato, atteso che una valutazione giuridica differente di elementi già noti non può costituire uno dei nova che è consentito dedurre per superare la preclusione processuale invocata (Sez. 6, n. 39346 del 3/7/2017, COGNOME, Rv. 271056-01; Sez. 3, n. 43193 del 3/5/2018, P., Rv. 273944-01). Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/12/2024.