Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 16381 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 16381 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 20/08/1991
avverso l’ordinanza del 10/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME con le quali si è chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. udito il difensore avvocato NOME COGNOME del foro di Noia, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Napoli ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di NOME COGNOME, volto ad ottenere la revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con gli arresti domiciliari. Nei confronti di NOME COGNOME si procede per i reati di cui agli artt. 74 e 73, d.P.R. n. 309/1990, essendogli stato contestato in via provvisoria il ruolo di partecipe, perché acquirente in forma stabile, del sodalizio e del relativo traffico nel territorio.
Il Tribunale ha confermato il giudizio sulla gravità indiziaria, contestato dalla difesa alla stregua di asseriti nuovi elementi, nonché il quadro cautelare, entrambi riconosciuti anche dal Tribunale, in sede di riesame, pronunciatosi in data 21/10/2024.
In particolare, il Tribunale, precisato che la preclusione del c.d. giudicato cautelare poteva essere superata, in punto di gravità indiziaria, solo da questioni nuove, non dedotte o decise, ancorché implicitamente, in tali pronunce, ha rilevato che, nella specie, gran parte degli argomenti agitati dalla difesa aveva già costituito oggetto del giudizio di riesame.
Con riferimento alla permanenza delle esigenze cautelari, il Tribunale ha rilevato che gli elementi allegati erano preesistenti alla definizione dell’incidente cautelare, anche in questo caso richiamando il principio del cd. giudicato cautelare e l’ordinanza del 21.10.2024.
Ciò posto, ha ritenuto, come espresso nell’ordinanza del 21 ottobre 2024, che l’indagato, oltre ad essere un affiliato dell’agguerrito clan camorristico COGNOME, che imperava nella città di Caivano, avendo il monopolio dello spaccio di droga sul territorio, era indicato dai collaboratori COGNOME COGNOME e COGNOME NOME quale spacciatore inserito da anni in contesti camorristici a Caivano. Pertanto, considerati anche i precedenti per rapina e lo spessore criminale caratterizzante la personalità dell’indagato, il Tribunale ha ritenuto non superata la presunzione di adeguatezza della misura custodiale in carcere, a fronte della richiesta di concessione degli arresti domiciliari presso l’abitazione di una zia materna, nella città di Rimini. Infatti, il Tribunale ha ritenuto che l’allontanamento dal territorio non costituisse elemento idoneo a scongiurare il pericolo di reiterazione, non valendo a elidere in modo assoluto, come richiesto nella specie, tenuto conto della personalità del COGNOME, la possibilità che costui mantenga contatti con ambienti della criminalità di settore, altresì rilevando l’inadeguatezza della misura gradata, non ostativa ad eventuali violazioni, poiché affidata al principio di autodisciplina del destinatario che, nella specie, non aveva offerto alcun nuovo elemento atto a far rivedere le precedenti considerazioni.
La difesa di NOME COGNOME ha proposto ricorso, formulando un unico motivo, intestato cumulativamente sia alla errata applicazione della legge penale che al vizio di motivazione (art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod.proc.pen.). Il ricorrente ha dedotto violazione di legge e difetto assoluto della motivazione, oltre che vizio della stessa in riferimento alla valutazione della gravità indiziaria, posto che l’appellante aveva fatto valere l’evidente affievolimento delle esigenze cautelari, senza che il Tribunale motivasse sul punto. Il ricorrente, in particolare, si sofferma sullo sviluppo della motivazione contenuto alle pagine 1 e 2 dell’ordinanza impugnata, ove – sia in punto di gravi indizi di colpevolezza, che di esigenze cautelari- si era opposta la sussistenza di un giudicato cautelare ostativo.
Si deduce l’erroneità del riferimento alla stabilità della decisione formatasi al di fuori dell’effettivo espletamento di un reale contraddittorio tra le parti. Infatti, difensore dell’epoca aveva impugnato l’ordinanza genetica solo in punto di esigenze cautelari, limitandosi a dedurre, quanto ai gravi indizi di colpevolezza, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia. Ciò era de resto stato affermato anche dalla ordinanza del riesame in alcuni passaggi, che il ricorrente riproduce. Dunque, ad avviso del ricorrente, non si sarebbe potuto opporre il giudicato cautelare in relazione alla gravità indiziaria riferita non solo al capo 39 dell’imputazione provvisoria, ma anche alla fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, in ragione dell’affermata insussistenza delle plurime cessioni che dovrebbero costituire la base del sodalizio sinallagmatico tra il COGNOME e l’organizzazione dedita al narcotraffico,
3 La Procura generale, in persona della Sostituta procuratrice NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
La difesa del COGNOME presente alla discussione, ha concluso per raccoglimento del ricorso, con annullamento dell’ordinanza impugnata.
Considerato in diritto
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Come riferito dallo stesso ricorrente, il Tribunale della libertà ha ritenuto che la richiesta di revoca o modifica della misura cautelare in carcere, confermata dal Tribunale del riesame con l’ordinanza del 21 ottobre 2024, non contenesse alcun elemento di novità tale da porsi in termini di contrasto con le valutazioni già espresse dalla citata ordinanza. Pertanto, essendosi formato il giudicato cautelare sull’ordinanza genetica, che aveva ritenuto sussistente la gravità indiziaria, l’appello dovesse essere respinto.
Il ricorrente, insistendo nell’affermare apoditticamente l’assenza di gravi indizi, sia in ordine al reato di cui al capo 39) dell’imputazione provvisoria, che in ordine all’ipotesi associativa di cui al capo a), non si confronta minimamente con la ratio dell’ordinanza impugnata.
Il Tribunale ha evidenziato che l’appello non presentava profili di novità idonei a scalfire o attenuare il quadro indiziario e l’odierno ricorrente, con ciò incorrendo in evidente vizio di aspecificità, neppure riporta i contenuti dell’appello, al fine di dimostrarne l’idoneità a superare il giudicato cautelare.
Come sottolineato dalla Procura generale, in sede di appello avverso l’ordinanza emessa a seguito di istanza di revoca o sostituzione di una misura cautelare personale, al Tribunale non può essere chiesto di riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine a eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare in modo apprezzabile il quadro probatorio o a escludere la sussistenza delle esigenze cautelari, in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 27710 del 04/05/2018, COGNOME, Rv. 273648).
L’appello cautelare, dunque, può essere proposto in forza dei necessari requisiti di novità, non potendosi l’atto di impugnazione risolvere nella mera deduzione e rivalutazione della sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo. Ne consegue che sono preclusi i motivi volti ad ottenere la rivalutazione delle condizioni cautelari riguardanti l’ordinanza genetica ovverosia i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze di cautela ora per allora, in quanto una nuova valutazione di essi è consentita solo in presenza di elementi sopravvenuti (Sez. 5, n. 27710 del 04/05/2018, COGNOME, Rv. 273648).
Anche il rilievo contenuto in ricorso, secondo cu non si formerebbe il cd. giudicato cautelare sui punti della gravità indiziarla non dedotti nelle fasi precedenti è manifestamente infondato. Invero, le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste per legge o le stesse non siano state promosse, assumono efficacia preclusiva endoprocessuale riguardo le questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, cosicché una stessa questione di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, Rv. 235908).
L’ordinanza ora impugnata ha correttamente evidenziato che tutte le censure proposte con il ricorso hanno riguardato la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza e le esigenze cautelari, senza che si potessero apprezzare elementi dotati del necessario carattere di novità e tali da consentire la rivalutazione delle condizioni cautelari.
Infine, considerato il vago rilievo difensivo riferito a un asserito “silenzio” motivazionale in ordine ad asserite specifiche osservazioni, va pure rilevato che in sede di legittimità – non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 1 n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 256340 – 01; Sez. 5 n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500 – 01). Trattasi di principio certamente valevole anche per provvedimenti quale quello all’esame, ove il percorso motivazionale seguito dal Tribunale, contrariamente a quanto asserito dalla difesa, ha tenuto conto di tutti gli aspetti dedotti, rispetto alla verifica della permanenza delle esigenze cautelari, peraltro affidate ad una presunzione relativa non superata dalle allegazioni difensive.
Sul punto, deve precisarsi che la presunzione d adeguatezza della custodia in carcere di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. opera non solo nel momento di adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva ma anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari, e, pertanto, solo fatti nuovi, anche se apprezzati congiuntamente a quelli originariamente esaminati, dai quali risulti un mutamento in melius del quadro indiziario, possono condurre alla sostituzione della misura con altre meno afflittive (Sez. 1, n. 82 del 10/11/2015, dep. 2016, Sorgenti, Rv. 265383 – 01).
Nella specie, il Tribunale ha valutato l’efficacia della presunzione in parola, operando nel rispetto del quadro costituzionale al cui interno si colloca la stessa presunzione. È stata verificata la sussistenza delle esigenze cautelari, confermando quella special preventiva, alla stregua di elementi fattuali, rispetto ai quali il ricorso non ha allegato dati idonei a sminuirne il significato attribuito dai giudici. Il riferimento è, intanto, alla negativa personalità, confermata dalle condanne riportate dal De Minico, ma anche al ruolo associativo e alla considerazione della quale egli gode nel contesto di riferimento. Allo stesso modo, il Tribunale ha espressamente valutato l’unico l’elemento di novità rappresentato dall’allontanamento territoriale, giudicandolo inidoneo a contenere il pericolo di reiterazione, in ragione della personalità del prevenuto, come sopra tratteggiata.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricci -so segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle ammende, cons;derato che non vi è ragione
di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, con trasmissione degli atti alla
cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter disp. att. cod. proc.
pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma I- ter, disp. att. cod. proc. pen.
Deciso il 23 aprile 2025.