Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33713 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33713 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Bari il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/01/2025 del Tribunale del riesame di Bari udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto la declaratoria di inammissibilià del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, che si è riportato ai motividi ricorso; lette le note difensive, nelle quali si insiste sulla non attualità delle esigen
cautela ri.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il tribunale del riesame di Bari ha rigettato l’appello di COGNOME NOME avverso l’ordinanza del 2 dicembre 2024 che aveva rigettato la richiesta di revoca della custodia cautelare in carcere nell’interesse del predetto.
COGNOME risulta attinto da ordinanza di custodia cautelare in carcere in data 7 febbraio 2024 per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. perché faceva parte di
una associazione a delinquere di stampo mafioso denominata, in origine, “RAGIONE_SOCIALE COGNOME“, in seguito riconosciuta come “RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALECOGNOME” operante prevalentemente nel quartiere Japigia di Bari dal 2016 all’attualità.
In particolare, si contesta al ricorrente di essere stato affiliato – con il ruolo “terza-sgarro” – al gruppo guidato da NOME COGNOME per poi transitare, a seguito della collaborazione con la giustizia di quest’ultimo, nel gruppo guidato da NOME COGNOME, occupandosi prevalentemente di spaccio di sostanze stupefacenti.
COGNOME stato attinto anche da ordinanza custodiale per il reato di associazione a fini di spaccio di stupefacente (e reati fine) nell’ambito del RAGIONE_SOCIALE, aggravata dal metodo mafioso.
Avverso l’ordinanza ricorre per cassazione COGNOME deducendo, come unico motivo, la violazione di legge e il vizio di motivazione per non avere il Tribunale del riesame verificato la resistenza logica e probatoria delle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato rispetto alle censure specifiche articolate in sede di gravame.
Il G.u.p. aveva rigettato l’istanza difensiva sulla base delle seguenti considerazioni:
-la partecipazione del COGNOME ad una spedizione armata;
il recente fermo, agli inizi del 2024, in compagnia di due soggetti, COGNOME e COGNOME, ritenuti gravitanti nel medesimo contesto delinquenziale;
l’alterco risalente al 2022 con il titolare dell’impresa che all’epoca si stava occupando della ristrutturazione del RAGIONE_SOCIALE familiare dell’imputato.
La difesa aveva opposto che:
-contrariamente a quanto rilevato dal G.u.p., COGNOME era stato assolto dalle ipotesi di partecipazione alla spedizione armata perché il fatto non sussiste con sentenza irrevocabile;
-con riferimento al fermo del 2024, COGNOME e COGNOME erano stati ritenuti solo erroneamente gravitanti nel medesimo contesto delinquenziale di COGNOME; anche in questo caso il G.u.p. si era limitato ad accreditare l’erronea impostazione dell’accusa, atteso che COGNOME e COGNOME sono estranei rispetto alla vicenda processuale in esame, sono entrambi incensurati e non gravati da carichi pendenti; sono entrambi cugini del COGNOME e risultano autorizzati dallo stesso G.u.p. all’espletamento dei colloqui visivi in carcere con il ricorrente;
con riferimento all’alterco verbale risalente al 2022, risulta che l’impresa che all’epoca si stava occupando della ristrutturazione del RAGIONE_SOCIALE, dopo avere incassato la somma di 53.700,00 euro, aveva ingiustificatamente abbandonato il cantiere
interrompendo lavori di ristrutturazione mai ultimati. Sicché il RAGIONE_SOCIALE danneggiato aveva agito regolarmente in giudizio per tutelare i propri interessi; in altri termini la pretesa restitutoria da parte del COGNOME risultava pacificamente legittima e, comunque, trattasi di condotta meramente verbale che si arresta al 2022 e che non può fondare un attuale e concreto pregiudizio di pericolosità.
Il Tribunale del riesame avrebbe fondato, invece, la conferma della misura cautelare su altri e diversi assunti, quali la asserita condanna per evasione rispetto alla quale era, invece, intervenuta, già da tempo, una pronuncia di assoluzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Investito dell’appello cautelare ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale adito ha correttamente respinto il ricorso sul presupposto che, essendo stato confermato il titolo coercitivo genetico a seguito di giudizio di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. (il ricorso avverso tale ordinanza è stato, poi, giudicato inammissibile da questa Corte), in assenza di alcun elemento di novità, risulta ormai formato il c.d. giudicato cautelare.
2.1. Nell’addivenire a tale conclusione, il Tribunale ha fatto buon governo dei consolidati principi espressi in materia da questa Corte, secondo cui le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame (ex plurimis Sez. 6, n. 23295 del 17/03/2015, Volpin, Rv. 26362701; Sez. 6, n. 7375 del 03/12/2009, COGNOME, Rv. 246026; Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, Librato Rv. 235908).
2.2. Né il novum idoneo a consentire una nuova valutazione del quadro cautelare potrebbe individuarsi nel mero decorso del tempo in custodia cautelare. E invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (ex plurimis Sez. 2, n. 1858 del 09/10/2013, COGNOME, Rv. 258191; Sez. 5, n. 16425 del 02/02/2010, COGNOME,
Rv. 246868). Il decorso del tempo in stato detentivo non è, pertanto, di per sé idoneo a far venir meno i pericula libertatis, incidendo soltanto sul diverso profilo dei termini massimi di durata della restrizione disciplinati dall’art. 303 cod. proc. pen.
2.3. Il Tribunale non ha affrontato la partecipazione del COGNOME ad una spedizione armata, nè il recente fermo agli inizi del 2024 con NOME e NOME, preferendo riportare testualemente quan4osservato dalla Corte di cassazione sul punto, e cioè «Deve rilevarsi, inoltre, che la circoscrizione temporale che nel ricorso si pretende limitata al 2019 non si confronta adeguatamente con le indicazioni del provvedimento impugnato circa la prosecuzione delle condotte partecipative, là dove l’ordinanza rimarca la rivendicazione della sua partecipazione (e della conseguente protezione che da ciò deriva) anche nel 2022, desumendola in modo logico da conversazioni intercettate il cui contenuto, congruo rispetto alle conclusioni assunte, è parimenti riportato dal Tribunale del riesame. Si dà atto, infatti, delle dichiarazioni di COGNOME (esecutore dei lavori di ristrutturazione del Bed & Breakfast dell’indagato) e della collaboratrice COGNOME, sui quali, come si evince dai dialoghi intercettati, COGNOME ha esercitato forza di intimidazione evocando la sua appartenenza al RAGIONE_SOCIALE. Ciò che la difesa sbrigativamente definisce una controversia di natura civilistica è viceversa una vicenda da cui emergono gravi elementi indiziari a sostegno della consapevolezza partecipativa dell’indagato (allorché evoca “amici e parenti” e si rivolge a COGNOME dicendogli “ogni cantiere che tu c’hai verrò io e qualche amico mio! …andremo sopra i tuoi cantieri e sfonderemo tutto”, “noi siamo gente che 30 anni di carcere ciascuno”).»
2.hInfine, il Collegio della cautela, ha motivato puntualmente sulla irrilevanza della circostanza che per il parallelo procedimento ex art. 74 d.P.R. 309/90 siano stati concessi gli arresti domiciliari, evidenziando che trattasi di valutazioni che devono essere tenute distinte.
3.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 4 luglio 2025
Il AVV_NOTAIO est n,s re
Il Presidente