Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21829 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21829 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Bari il 25/07/1962
avverso l’ordinanza del 27/01/2025 del Tribunale di Bari
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso ; uditi l’Avv. NOME COGNOME e l’Avv. NOME COGNOME difensori di fiducia di NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Bari – adito in sede di appello -confermava l’ordinanza del 5 dicembre 2024 con cui il Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale aveva rigettato la istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME per il reato, di cui alla provvisoria contestazione, di partecipazione, con
il ruolo di promotore, al sodalizio di stampo mafioso denominato ‘clan COGNOME‘ e operativo nel quartiere INDIRIZZO di Bari (dal 2016 con condotta perdurante).
Avverso il provvedimento NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, ha proposto ricorso deducendo – con un unico articolato motivo – violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta esistenza della concretezza e dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato.
Il Tribunale aveva negato valore al tempo silente, che invece era stato positivamente valutato ai fini della verifica della attualità delle esigenze cautelari in relazione ad altri imputati nell’ambito del medesimo procedimento, con evidente disparità di trattamento in violazione dei principi di legalità e di prevedibilità delle decisioni giudiziarie.
In ogni caso, i Giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto che il c.d. ‘ tempo silente ‘ non costituisse un fatto nuovo e sopravvenuto tale da incidere sulla attualità e concretezza del pericolo di reiterazione nel reato, non considerando che tutti gli episodi, valorizzati nel provvedimento impugnato, si collocavano tra gli anni 1994/2000 e che le ultime condotte criminose ascrivibili al ricorrente risalivano al 2017.
In tal modo, il Tribunale non ha considerato i provvedimenti emessi in sede cautelare a favore di altri coindagati, che hanno beneficato della valutazione del c.d. ‘tempo silente’ , dando luogo a disparità di trattamento in contrasto con i principi di legalità e prevedibilità delle decisioni giudiziarie.
Inoltre, il Tribunale ha assertivamente individuato il tempus commissi delicti sulla scorta della data dei verbali di dichiarazione dei collaboratori di giustizia, nonostante la genericità del loro narrato.
Improprio e non pertinente sarebbe, inoltre, il richiamo da parte dei Giudici al giudicato cautelare.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato.
Occorre premettere che il thema disputandum è stato oggetto di scrutinio da parte del Tribunale, adito dallo stesso ricorrente in sede di riesame del l’ordinanza genetica, e che, a seguito del provvedimento di conferma della originaria misura custodiale, non impugnato con ricorso per Cassazione, il ricorrente -prospettando nondimeno le medesime questioni già esaminate ( i.e. l’epoca delle condotte criminose ascritte al COGNOME) – ha avanzato ai sensi
dell’ art. 299 cod. proc. pen. istanza di revoca per sopravvenuta cessazione delle esigenze cautelari.
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale – nel decidere in funzione di giudice di appello ex art. 310 cod. proc. pen. -ha, infatti, evidenziato come già nella ordinanza emessa in sede di riesame il fattore temporale fosse stato congruamente valutato, essendo stato chiarito come tale elemento – ai fini della valutazione del pericolo di reiterazione del reato ex art. 274, comma 1, lett. c ), cod. proc. pen. – fosse recessivo al cospetto di un soggetto, come NOME COGNOME, storicamente militante nel sodalizio mafioso denominato clan COGNOME (cfr. pag. 14 dell’ord inanza).
Pertanto, ha concluso nel senso che la quaestio de libertate relativamente alla posizione di NOME COGNOME si fosse cristallizzata per la formazione del giudicato cautelare e che per proporre istanza di revoca/sostituzione ex art. 299 cod. proc. pen. occorresse la prospettazione di un quid novi .
2.1. Nell’addivenire a tale conclusione, i Giudici di merito hanno fatto buon governo dei consolidati principi espressi in materia da questa Corte, intervenuta anche a Sezioni unite.
E’ infatti principio oramai consolidato quello secondo cui rispetto alle ordinanze in materia cautelare, all’esito del procedimento di impugnazione, si forma una preclusione processuale, anche se di portata più modesta di quella relativa alla cosa giudicata, perché è limitata allo stato degli atti e copre solo le questioni esplicitamente o implicitamente dedotte. Di conseguenza una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa con efficacia preclusiva non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame ( ex multis , Sez. U., n 14535 del 19/12/2006, Librato, Rv 235910; Sez. U., n 18339 del 31/03/2004 COGNOME, Rv. 227359; Sez. U, n. 11 del 817/1994, COGNOME, Rv. 198213; cfr. in motivazione Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, Testini).
In linea di continuità con tale orientamento, anche le Sezioni semplici di questa Corte (tra le tante, Sez. 5, n. 27710 del 04/05/2018, COGNOME, Rv. 273648) hanno ribadito che «le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte.
Ciò che caratterizza, dunque, il giudicato cautelare è la valutazione contenutistica sotto i profili di fatto e di diritto e il riferimento allo stato degli atti, con conseguente ‘assorbimento’ di tutte le questioni comunque riconducibili -anche implicitamente – al percorso logico sistematico che ha condotto allo specifico apprezzamento di merito. Esigenze di salvaguardia della certezza delle situazioni giuridiche e ragioni di economia processuale precludono, in assenza di elementi di novità, un nuovo sindacato in ordine alla sussistenza dei presupposti fondanti il
provvedimento limitativo della libertà personale già sottoposto al vaglio del giudice del riesame.
2.2. Nel caso di specie, il ricorrente – come congruamente evidenziato dal Tribunale -ha contestato la sussistenza del periculum libertatis facendo nuovamente richiamo a circostanze fattuali già dedotte e già delibate nel decidere il riesame ex art. 309 cod. proc. pen. (quali l’epoca delle condotte criminose).
Né può ritenersi, come pure prospettato, che costituisca situazione cautelare “nuova”, idonea a rimuovere l’effetto preclusivo provocato dal cd. giudicato cautelare, la sopravvenuta diversa e più favorevole valutazione operata nei confronti dei coindagati dello stesso reato.
Ed invero, è affermazione costante in giurisprudenza quella secondo cui il mero sopravvenire di una sentenza della Corte di cassazione – che o abbia espresso un indirizzo giurisprudenziale minoritario, diverso da quello seguito dal provvedimento che ha già deciso la questione controversa, o abbia, come accaduto nel caso in esame, disposto la sostituzione della custodia in carcere nei confronti dei coindagati non priva di efficacia ‘il giudicato cautelare’. Si è , infatti, a tal fine precisato come in materia cautelare «la posizione processuale di ciascuno dei coindagati o coimputati è autonoma dal momento che la valutazione da esprimere ai sensi dell’art. 274 cod. proc. pen., ed in particolare quella di cui alla lett. c) di tale norma, si fonda, oltre che sulla diversa entità del contributo materiale e/o morale assicurato da ciascuno dei correi alla realizzazione dell’illecito, anche su profili strettamente attinenti alla personalità del singolo, di tal che del tutto giustificata può essere l’adozione di regimi difformi pur a fronte della contestazione di un medesimo fatto reato» (così in motivazione Sez. 6, n. 39346 del 03/07/2017, COGNOME, Rv.271056).
In tal senso, da ultimo è stato affermato che non costituisce necessariamente fatto nuovo, idoneo a superare la preclusione endoprocessuale derivante dal cosiddetto giudicato cautelare, la decisione favorevole resa in altro giudizio cautelare nei confronti di un coindagato, poiché l’estensione degli effetti favorevoli dell’impugnazione, prevista dall’art. 587, comma 1, cod. proc. pen. opera a condizione che questa non sia fondata su motivi esclusivamente personali (Sez. 6, n. 31241 del 14/09/2020, Vizzini, Rv. 279887).
Nel caso di specie, il Tribunale ha fatto corretta applicazione di principi indicati, atteso che l’annullamento da parte della Corte di cassazione della ordinanza emessa dal Tribunale del riesame nei riguardi di un coindagato, fu disposto per motivi esclusivamente personali, legati, cioè, alla posizione procedimentale di quell’indagato, i cui effetti non sono quindi suscettibili di estensione all’odierno ricorrente.
2.3. Ad ogni modo, nel provvedimento impugnato il Tribunale -oltre ad evidenziare la preclusione processuale del giudicato cautelare – ha evidenziato ulteriori elementi indizianti, ostativi alla invocata revoca/sostituzione della custodia cautelare, di guisa che la scelta operata non può dirsi foriera di alcuna disparità di trattamento. Si è, infatti, chiarito, con considerazioni puntuali ed esenti da discrasie logiche, incensurabili in sede di legittimità, come medio tempore fossero sopravvenuti nuovi elementi ‘a carico’, rappresentati dalle convergenti dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia (cfr. pag. 14 dell’ordinanza) in ordine alle attività criminose in cui il ricorrente è coinvolto e a l ‘grado’ ricoperto all’interno del sodalizio, così da desumere l’attualità del contributo al sodalizio criminoso.
Le argomentazioni spese in parte qua non sono scalfite dalle doglianze difensive su un presunto travisamento della ‘ generica informazione probatoria ‘ sia per aspecificità del rilievo sia soprattutto perché fondate su un metodo di analisi non consentito, teso ad una rilettura orientata della prova dichiarativa. Il provvedimento de libertate infatti non può essere annullato sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerati maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata.
Alla inammissibilità del ricorso segue ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. -la condanna al pagamento del ricorrente delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n 186 del 13 giugno 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 13/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME