Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5680 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5680 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 19/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Salerno il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 21/06/2023 del Tribunale di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato; uditi i difensori, AVV_NOTAIO e NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 21 giugno 2023, il Tribunale di Roma ha riformato l’ordinanza emessa in data 24 aprile 2023, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Latina aveva disposto la revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari a carico di COGNOME NOME, applicata in relazione ai reat di cui agli artt. 61-bis, 110, 416, primo e terzo comma, cod. pen., 8, del d.lgs. n. 74 del 2000, 4, della legge n. 146 del 2006. Il Tribunale, in accoglimento dell’appello del AVV_NOTAIO Europeo, ha disposto gli arresti domiciliari – già
precedentemente applicati con ordinanza del 2 dicembre 2022 – in relazione ai reati di cui sopra. Secondo l’ipotesi accusatoria, l’indagato avrebbe fatto parte di un’associazione per delinquere incentrata sulla RAGIONE_SOCIALE, aventi ad oggetto la consumazione di frodi carosello per evadere l’Iva sugli acquisti intracomunitari, operativa in Italia, con ramificazioni all’estero, tra il 2020 e il 2022; si conte altresì all’indagato, nella sua veste di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, attuazione degli scopi dell’associazione, di avere emesso nell’anno 2021 fatture per operazioni inesistenti per circa 2 milioni di euro.
Avverso l’ordinanza, l’indagato ha proposto, per il tramite del difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la violazione dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., e si richiede la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, in ragione dell’illegittimità costituzionale di tale disposizione, p violazione degli artt. 3 e 111 della Costituzione. Una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 34, cod. proc. pen., dovrebbe impedire che il soggetto chiamato a decidere sull’applicazione della misura cautelare, revocata per ragioni di merito, possa essere il medesimo giudice che, in sede di gravame, aveva già disposto la medesima misura. Nel caso di specie, due componenti del collegio che hanno emesso l’ordinanza impugnata si erano già espressi sulla medesima materia e nei confronti del medesimo indagato. Secondo il ricorrente, la norma di cui si denuncia l’illegittimità costituzionale investe l’intera decisione del Tribunale, poiché ess attiene alla possibilità ex se di partecipazione al giudizio a quo di un magistrato, in ragione delle funzioni già esercitate.
2.2. Con una seconda censura, si denunciano la violazione dell’art. 310, comma 1, cod. proc. pen., nonché la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato. Ritiene il ricorrente che il Tribunale abbia, da un lato, erroneamente identificato i principi relativi alla formazione del giudicato cautelare – ovvero le preclusioni endoprocessuali in ambito cautelare e, dall’altro, escluso mediante una motivazione contraddittoria, il connotato di novità che caratterizza il fatto in sé della partecipazione dell’indagat all’interrogatorio di garanzia e alcune delle circostanze dallo stesso dedotte e documentate in tale sede. L’ordinanza impugnata risulterebbe giuridicamente viziata, perché dedurrebbe l’esistenza di un giudicato cautelare a fronte di argomentazioni che non sono state veicolate mediante la formulazione di motivi di impugnazione dinanzi al Tribunale. Inoltre, il fatto in sé che il Gip abbia ritenut utili per l’indagato tanto l’interrogatorio di garanzia quanto i documenti dallo stesso prodotti, e che il Tribunale abbia acquisito la relativa trascrizione, risulterebber elementi di per sé significativi della sua rilevanza quale fatto nuovo idoneo ad
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escludere la sussistenza di una preclusione processuale. Dall’interrogatorio di garanzia reso dall’indagato si desumerebbero molteplici elementi di novità quali: l’ignoranza del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE; l’insussistenza, in capo all’indagato, di capacità gestorie o imprenditoriali idonee a consentirgli di agire quale amministratore di fatto della predetta società; l’assenza di rapporti di COGNOME con tutti i presunti sodali dell’associazione per delinquere; la mancata conoscenza di COGNOME, amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE; la circostanza che quest’ultimo abbia ricoperto cariche in altre società di capitali, come documentato dalle visure camerali depositate innanzi al Gip.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamentano l’erronea applicazione degli artt. 274, comma 1, lettera c), 275 e 292, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato in merito alla concretezza e attualità delle esigenze cautelari, nonché all’idoneità della sola misura degli arresti domiciliari rispetto alla natura e al grado delle stesse. Sarebbe stato onere del giudice cautelare quello di fornire un quadro aggiornato in merito alla sussistenza di dette esigenze; onere che non sarebbe stato adempiuto, posto che il Tribunale si sarebbe limitato a richiamare un’ordinanza emessa sulla scorta di una richiesta di applicazione di misura cautelare risalente ad oltre un anno prima – ossia un provvedimento che ex se non sarebbe attuale – senza valutare il decorso del tempo e l’avvenuta precedente applicazione di una misura cautelare. Il Tribunale avrebbe omesso di motivare in merito alle concrete possibilità di reiterazione di reati della stessa specie di quelli oggetto di contestazione e, quindi, di specificare le ragioni per le quali dovrebbe ritenersi altamente probabile che al ricorrente si presenti effettivamente un’occasione di ricaduta nei supposti delitti. Vi sarebbero, poi, svariate circostanze del fatto, non adeguatamente prese in considerazione dal Tribunale, che consentirebbero di escludere l’esistenza di esigenze cautelari. In primo luogo, in primo luogo, vi sarebbero l’efficacia deterrente rappresentata dalla consapevolezza da parte dell’indagato di essere sottoposto ad indagini e di essere stato destinatario di una misura cautelare custodiale. E non esisterebbe alcuna evidenza probatoria idonea a far ritenere che COGNOME, successivamente alla scoperta dell’indagine nei suoi confronti, abbia reiterato condotte analoghe a quelle in contestazione ovvero abbia assunto un atteggiamento indicativo della volontà di perseverare nell’illecito mediante diverse strutture societarie. In secondo luogo – per la difesa – non risulta da alcun atto del procedimento che il ricorrente abbia rapporti di qualsiasi tenore con soggetti che amministrano società operanti nel settore del commercio di prodotti di informatica o elettronica e che posano essere eterodiretti da quest’ultimo. Infine, sarebbe dimostrata l’assenza di contatti tra il COGNOME e soggetti diversi dal COGNOME. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per quanto attiene alla scelta della misura degli arresti domiciliari, il ricorrente lamenta che l’ordinanza fa riferimento alla commissione di reati nell’ambito di una pluralità di società riconducibili al ricorrente; circostanza che sarebbe del tutto incoerente con i dati di fatto, dai quali si desumerebbe che tutte le condotte contestate a COGNOME riguardano esclusivamente la società RAGIONE_SOCIALE, la quale è stata costituita dieci anni prima rispetto ai fatti oggetto del presente procedimento e della quale è amministratore NOME COGNOME, soggetto del tutto ignoto al ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo – con il quale si lamenta la violazione dell’art. 34, cod. proc. pen., e si propone questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a decidere sull’applicazione della misura cautelare, revocata per ragioni di merito, per il medesimo giudice che, in sede di gravame, aveva già disposto la medesima misura per violazione degli artt. 3 e 111 della Costituzione – è inammissibile.
Preliminarmente, giova ricordare che il concetto di difesa è un concetto unitario, ricomprendendo il complesso delle attività volte a sostenere le ragioni di una parte in un giudizio. Infatti, secondo il sistema degli artt. 96 e ss. cod proc. pen., la difesa non può identificarsi con il singolo difensore ed il mutamento della persona fisica dell’avvocato non può comportare il superamento delle preclusioni già verificatesi nei precedenti gradi di giudizio, ma al più può consentire la richiesta di un termine per la difesa ai sensi dell’art. 108 cod. proc. pen. Le deduzioni che sono già precluse restano pertanto precluse anche nel caso di nomina di un nuovo difensore.
La questione di illegittimità costituzionale risulta dunque irrilevante, in quanto riguarda la norma sulla incompatibilità di cui all’art. 34, cod. proc. pen., la c applicazione può essere invocata dall’interessato personalmente nei termini e attraverso il meccanismo della ricusazione previsto dagli artt. 37 e 38 cod. proc. pen. Peraltro, la ricusazione è atto personalissimo della parte, tanto che, in alternativa, può essere proposta’ solo da un procuratore speciale o dal difensore, a condizione che sia munito di mandato specifico anche se non nelle forme della procura speciale, mentre è insufficiente il solo generico mandato defensionale (ex plurimis, Sez. 3, n. 12983 del 18/12/2014, dep. 26/03/2015, Rv. 262998; Sez. 5, n. 37468 del 03/07/2014, Rv. 262210).
Nel caso concreto, il giudizio sull’applicazione della norma sull’incompatibilità è escluso dalla tardività dell’eccezione prospettata sul punto, che risulta dallo stesso tenore della censura, la quale fa semplicemente riferimento al fatto che gli
avvocati che hanno steso il ricorso per cassazione hanno conosciuto l’ordinanza impugnata – pronunciata il 21 giugno 2023 e depositata il 19 luglio 2023 – e gli atti processuali solo il 24 luglio 2023. Ma il termine per l’esercizio del rimedio d cui all’art. 37, cod. proc. pen., è un termine perentorio che in quel momento era già scaduto, perché, a norma dell’articolo 38, comma 2, cod. proc. pen. la ricusazione, in quanto riferita alla composizione del collegio, avrebbe dovuto essere proposta prima del termine dell’udienza camerale tenuta da quel collegio. Infatti, l’art. 38, cod. proc. pen., nel riferirsi alla causa di ricusazione divenuta n intende riferirsi alla notorietà alla parte e alla difesa, ma non alla persona fisi del singolo difensore, il cui mutamento – come visto – non può comportare il venire meno di decadenze che si siano già verificate.
1.2. La seconda censura – con la quale si denunciano la violazione dell’art. 310, comma 1, cod. proc. pen., nonché la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato – è inammissibile.
1.2.1. Va premesso che la delimitazione dell’effetto devolutivo dell’appello è caratterizzata dal grado di stabilità del provvedimento genetico, nel quadro dei rapporti funzionali tra le impugnazioni previste dalla legge in materia cautelare. In assenza di una norma processuale che disciplini l’efficacia delle decisioni assunte nell’ambito dei procedimenti incidentali de libertate, si è avvertita l’esigenza di garantire anche in questa materia, pur connotata da un’intrinseca dinamicità e provvisorietà delle decisioni, la salvaguardia dei principi di certezza delle situazioni giuridiche e di economia processuale. A tal fine, la giurisprudenza ha elaborato il principio del “giudicato cautelare”, in forza del quale, in assenza di elementi di novità, non è consentito promuovere un nuovo sindacato in ordine alla sussistenza dei presupposti fondanti il provvedimento limitativo della libertà personale già sottoposto al vaglio del giudice del riesame, producendosi un effetto stabilizzante dei medesimi presupposti. Si determina in tal modo una preclusione processuale alla deducibilità e sindacabilità di motivi implicanti la rivalutazione genetica dell condizioni cautelari, consentendosene una nuova valutazione solo in presenza di elementi sopravvenuti che determinino una considerazione in termini di attualità e novità (ex plurimis, Sez. 3, n. 24256 del 21/04/2023, Rv. 284683; Sez. 6, n. 15504 del 03/03/2016, Rv. 267820).
I giudici territoriali hanno correttamente fatto uso dei principi elaborati dall giurisprudenza di legittimità in tema di giudicato cautelare, ribadendo che, quando un’ordinanza cautelare è divenuta definitiva – come avvenuto nel caso di specie a seguito del rigetto del ricorso per cassazione in data 14/04/2023 – soltanto un elemento nuovo, da intendersi quale fatto o circostanza sopravvenuti o non in precedenza vagliati, può consentire la rivalutazione di questioni di fatto o di diritt già valutate (ex plurimis, Sez. 4, n. 25104 del 03/06/2021, Rv. 281493). Infatti,
le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame (ex plurimis, Sez. 2, n. 29668 del 04/04/2019, Rv. 276736; Sez. 5, n. 27710 del 04/05/2018, Rv. 273648).
1.2.2. Il Tribunale ha spiegato, con motivazione coerente e immune da vizi logici, che la situazione sulla base della quale il ricorrente, all’esi dell’interrogatorio di garanzia, ha chiesto la revoca o la modifica della misura è esattamente identica a quella già esaminata nel precedente appello, motivando puntualmente in ordine ad ognuna delle asserite novità apportate dinanzi al Gip del Tribunale di Latina. Il ricorrente si è sostanzialmente limitato a negare gli addebiti a lui rivolti, senza addurre alcun elemento ulteriore, dotato di univoca valenza. Invero, l’affermazione secondo cui COGNOME non poteva essere amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE poiché ignorava il fallimento della stessa è priva di pregio, trattandosi di una mera dichiarazione dell’indagato, non verificabile. Ancora, il fatto che, COGNOME, amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE, abbia ricoperto incarichi in altre società di capitali, da un lato non è idoneo a dimostrare la capacità gestoria dello stesso, essendo frequenti i casi in cui i prestanome figurano come amministratori di più società; dall’altro, anche ove si dovesse riconoscere in capo al COGNOME il ruolo di amministratore di diritto con capacità gestorie, ciò non è incompatibile con l’esistenza in seno alla medesima società anche di un amministratore occulto. Inoltre, l’affermazione del ricorrente di aver avuto contatti con il solo COGNOME, risulta smentita da una conversazione captata nella quale quest’ultimo riferisce al ricorrente di aver fornito al coindagato COGNOME il suo numero di cellulare affinché lo stesso potesse contattarlo. Del resto, il complesso delle conversazioni intercettate restituisce un quadro preciso, dal quale risulta dimostrato che COGNOME fosse perfettamente a conoscenza di tutti i meccanismi del ramificato sistema di frodi che era stato creato. In ultimo luogo, ordinanza correttamente e specifica che vi sono sufficienti indizi in merito all’individuazione del COGNOME quale interlocutore nelle conversazioni intercettate sull’utenza NUMERO_TELEFONO, usata per interloquire con i sodali, posto che gli inquirenti lo hanno identificato attraverso un elemento di confronto oggettivo ai fini del riconoscimento vocale, ovvero le intercettazioni che erano state effettuate sull’utenza intestata al ricorrente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.3. L’ultimo motivo di ricorso – riferito alla concretezza ed attualità dell esigenze cautelari nonché alla idoneità della sola misura degli arresti domiciliari è inammissibile.
Va precisato che, in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie non va inteso come pericolo di reiterazione dello stesso fatto di reato, atteso che l’oggetto del periculum è la reiterazione di astratti reati della stessa specie e non del concreto fatto di reato oggetto di contestazione (ex plurimis, Sez. 5, n. 12869 del 20/01/2022, Rv. 282991; Sez. 3, n. 9041 del 15/02/2022, Rv. 282891).
A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, l’ordinanza impugnata ha valutato approfonditamente tali attualità e concretezza. Quanto dedotto dalla difesa si sostanzia in mere affermazioni fattuali e generiche, giacché, dall’analisi del compendio probatorio, risulta documentato che il ricorrente stesse cercando una nuova collocazione in seno alla società RAGIONE_SOCIALE e che fosse disposto a perseverare nella collaborazione nell’attività illecita anche con una veste diversa da quella di responsabile della società RAGIONE_SOCIALE. In questo quadro, neanche la circostanza del fallimento della RAGIONE_SOCIALE ha rilevanza al fine di escludere le esigenze cautelari, posto che nel sistema delle “frodi carosello” è del tutto fisiologico che le società cartiere falliscano.
Anche la motivazione circa l’inidoneità di una misura alternativa a quella degli arresti domiciliari deve considerarsi pienamente logica è coerente, laddove evidenzia che una mera misura interdittiva non sarebbe in grado di arginare la pericolosità criminale del ricorrente, soggetto che ha commesso i reati oggetto di contestazione avvalendosi di prestanome e mantenendo i contatti con i coindagati attraverso l’utilizzazione di utenze intestate ad altri; modalità particolarmente sintomatiche della professionalità e dell’esperienza spese per perseverare nel suo propcsito criminoso, -a cui si aggiunge la capacità di chiudere- e aprire svariate società da utilizzare all’interno del sistema appena descritto. Dunque – secondo la corretta valutazione del Tribunale – il solo divieto di esercizio dell’attività impresa o di ricoprire ruoli all’interno di società non sarebbe idoneo ad impedire al ricorrente di reiterare i reati oggetto di contestazione.
2. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa del ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esecu cod. proc. pen.
Così deciso il 19/10/2023