Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17288 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17288 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
Sul ricorso presentato da COGNOME NOMECOGNOME nato a Cosenza il 25/07/196 4, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Reggio Calabria del 11/10/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Cons. NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Dr. NOME COGNOME cui il medesimo si è riportato in udienza, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito, per l’imputato, l’Avv. NOME COGNOME del Foro di Paola, anche in sostituzione dell NOME COGNOME che si è riportato al ricorso chiedendone l’accoglimento.
PREMESSO IN FATTO
Con ordinanza del 11/10/2024, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria rigettava l’appello presentato da NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui in data 17/06/2024 Giudice delle indagini preliminari di Reggio Calabria aveva rigettato l’istanza di revoca sequestro preventivo emesso dal GIP di Reggio Calabria in data 17/06/2024, avente ad oggetto il patrimonio aziendale della “RAGIONE_SOCIALE“.
Avverso tale ordinanza propone ricorso il COGNOME, in proprio e in qualità di l rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge in riferimento al mancato rispetto d principio di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare applicata, nonc vizio assoluto di motivazione ed erronea applicazione dell’articolo 275 cod. proc. pen..
Tali principi debbono ritenersi applicabili anche alle misure cautelari reali e misu estremo rigore, quale quella applicata, non possono trovare applicazione per reati, quali qu ambientali, in cui sarebbero sufficienti delle mere prescrizioni a fronteggiare le esig cautelari.
Il Tribunale motiva sulla proporzionalità della misura applicata in modo meramente apparente, avendo nella procedura di riesame annullato il sequestro esclusivamente delle quote societarie delle varie società coinvolte, ma non degli asset patrimoniali.
Il ricorrente aggiunge che la difesa aveva depositato indagini difensive da cui emergeva che anche l’amministrazione giudiziaria aveva avallato metodologie di lavoro che facevano proprie le prassi poste in essere in passato e ritenute illecite.
2.2. Con il secondo motivo deduce: violazione degli articoli 124 e 137 d. Igs. 152/200 mancata applicazione dell’art. 133 del medesimo decreto, nonché mancanza del fumus e motivazione meramente apparente sulle esigenze cautelari.
Il ricorrente contesta che, alla luce delle linee guida approvate con deliberazione Consiglio Metropolitano di Reggio Calabria (n. 119 del 01/12/2022), la struttura in argoment dovesse dotarsi di AUA (autorizzazione unica ambientale), stante l’equiparazione dei refl prodotti dalla Clinica ai reflui domestici.
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione degli articoli 2 e 6 d.P.R. 254/2003 nonc motivazione apparente e difetto di motivazione sul fumus commissi delicti.
Ed infatti, gli escreti possono essere smaltiti nelle acque reflue che adducono in r fognaria, previo versamento nei c.d. “svuotatoi”, né gli stessi possono essere qualificati c rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo.
2.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione di legge penale e processuale e difetto assolu di motivazione in relazione all’art. 256 d. Igs. 152/2006, nonché violazione del principio d ne bis in idem sostanziale e processuale.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che la fase cautelare del presente procedimento è stata definita da questa Corte con sentenza n. 31812 del 3 luglio 2024, con cui è stato rigettato il ricorso presentat NOME COGNOME.
Si è pertanto formato, sulla vicenda, il c.d. «giudicato cautelare», il quale – come evidenz in dottrina – costituisce espressione positiva del «principio di preclusione», in ragione del per consentire uno svolgimento ordinato del giudizio, debbono essere prevenute indebite regressioni, ciò che si realizza mediante il divieto, imposto alle parti, di abusare delle faco riconosciute, mediante reiterazione di censure su argomenti già definitivi, al fine di evita una stessa res iudicanda pronunce contrastanti e giudicare in tempi compatibili con la ragionevole durata del processo e il principio di economia processuale.
Sul punto, questa Corte ritiene che il Tribunale del riesame, in funzione di giudice dell’app cautelare, non è tenuto a riesaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedime restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corr adeguatamente motivata in ordine ad eventuali allegati nuovi fatti, preesistenti o sopravvenu idonei a modificare apprezzabilmente il quadro probatorio o ad escludere la sussistenza d esigenze cautelari, ciò in ragione dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della na autonoma del provvedimento impugnato (v., ex plurimis, Sez. 6, n. 45826 del 27/10/2021, COGNOME, Rv. 282292 – 01; Sez. 2, n. 18130 del 13/04/2016, Antignano, Rv. 266676).
Risultano quindi inammissibili tutti quei profili di censura che si risolvono nella contestazione di elementi già valutati in sede di emissione del titolo cautelare, quali i re ostativi all’adozione di una misura cautelare detentiva come l’incensuratezza e la personali dell’indagato, ove già valutati nel provvedimento genetico della misura stessa e pertan insuscettibili di rivalutazione, né in tal senso può deporre la corretta osservanza degli obbl delle prescrizioni afferenti l’esecuzione della misura cautelare (v. Sez. 3, n. 257 del 20/11/2 dep. 2015, Ferrara, n.m.).
Tuttavia, la preclusione operata dall’esaurirsi della fase incidentale de líbertate, copre solo le questioni dedotte ed effettivamente decise, essendo limitata allo stato degli atti, l’allegazione di un mutamento della situazione processuale impone un nuovo esame della vicenda (Sez. 3, n. 24256 del 21/04/2023, Drewes, Rv. 284683 – 01).
Due risalenti pronunce delle Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 11 del 08/07/1994, Buff Rv. 198213 – 01; Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195354 – 01) hanno sul punto precisato che la preclusione ha certamente una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla «cosa giudicata», sia perché opera rebus sic stantibus, sia perché «non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, implicitamente o esplicitamente, procedimenti di impugnazione, intendendosi per questioni implicite quelle che, quantunque non enunciate in modo specifico, integrano il presupposto logico di quelle espressamente dedotte (Sez. 1, n. 2093 del 11/03/1999, COGNOME, Rv. 213302 – 01; Sez. 6, n. 11394 del 05/02/2003 COGNOME, Rv. 224268 – 01)».
I principi in materia di giudicato cautelare e le relative preclusioni processuali sono esplicitamente estesi dalle misure cautelari personali a quelle reali (v. per tutte Sez. U, n. del 31/05/2018, E., Rv. 274092 – 01).
Punto focale del superamento del giudicato cautelare è, pertanto, la «novità» della questione dedotta rispetto ai fatti coperti dalla preclusione processuale.
Va altresì rammentato che, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione materia di misure cautelari reali è ammesso soltanto per violazione di legge, per quest dovendosi intendere – quanto alla motivazione della relativa ordinanza – soltanto l’inesistenz la mera apparenza (v., ex multis, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710 01; Sez. 3, n. 35133 del 07/07/2023, Messina, n.m.; Sez. 3, n. 385 del 6/10/2022, COGNOME Rv. 283916).
In tale categoria rientrano, in particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presen di una motivazione meramente apparente, ma non l’illogicità manifesta o la contraddittorietà, quali possono essere denunciate nel giudizio di legittimità soltanto tramite il motivo di ricor art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. (v., ex plurimis, sez. 5, 11 gennaio 2007, n. 8434, Rv. 236255; sez. 6, 21 gennaio 2009, n. 7472, Rv. 242916; Sez. U., n. 5876 del 28 gennaio 2004, COGNOME, Rv. 226710).
Ciò determina l’automatica inammissibilità dei profili di censura oggi formulati (come megl si vedrà in appresso), in cui, sotto l’ombrello della mancanza di motivazione e della violazion legge, in realtà si lamenta vizio di motivazione.
Ciò premesso, i primi tre motivi di ricorso sono inammissibili per violazione d preclusione scaturente dal giudicato cautelare.
Ed infatti, nel precedente giudizio per cassazione, il ricorrente aveva dedotto (tra gl motivi):
mancato rispetto del principio di proporzionalità: il Tribunale avrebbe mantenuto sequestro tutte le quote sociali e l’intera azienda con evidente sproporzione rispetto alle fi di tutela, specie a fronte dell’annullamento della misura in ordine al reato più grave, qu delitto di cui all’art. 452-bis cod. pen. Non si comprenderebbe, dunque, perché la misura non s stata limitata al ciclo dei rifiuti, o agli scarichi fognari. Sotto altro profilo, si evide parziale annullamento del sequestro sarebbe stato privo di ogni effetto pratico: le due società cui sono state svincolate le partecipazioni societarie, infatti, sarebbero interamente ricondu alla “RAGIONE_SOCIALE“, in termini di proprietà e di controllo, così che il dissequestro risultere di reali conseguenze;
violazione ed erronea applicazione degli artt. 137 e 256 contestati e carenza assoluta fumus: il Tribunale non avrebbe valutato un decisivo documento prodotto, quale la deliberazione del Consiglio Metropolitano di Reggio Calabria n. 119 del 01/12/2022, che, approvando le linee
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guida operative per il rilascio dell’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA), avrebbe equiparat gli scarichi ospedalieri a quelli domestici, tali, dunque, da non rendere necessar provvedimento;
violazione di legge, erronea applicazione del d.P.R. n. 254 del 2003 e vizio di motivazion l’ordinanza non avrebbe motivato con riguardo al citato decreto n. 254, in forza del quale sversamento delle urine e del sangue nella rete fognaria sarebbe pratica lecita, tranne nei cas non ravvisati in questa vicenda – di pazienti affetti da malattie trasmissibili attraverso gli
Come appare evidente, il primo motivo dell’odierno ricorso ripropone pedissequamente una censura già dedotta e rigettata da questa Corte nella citata sentenza n. 31812 del 2024.
Va peraltro sul punto evidenziato che (a pagina 5) l’impugnato provvedimento evidenzia come, in passato, la limitazione del sequestro ai soli scarichi fognari non abbia impedit reiterazione degli illeciti, rendendo quindi necessario un presidio cautelare più coge motivazione certamente sussistente e non meramente apparente (v. par. 3).
Del pari, il secondo motivo dell’odierno ricorso ripropone pedissequamente analoga censura già dedotta e rigettata da questa Corte nella succitata sentenza, ove la questione si è rite manifestamente infondata; nella pronuncia, peraltro, si legge che la deduzione difensiva dedott in Riesame concerneva «l’impegno profuso dal COGNOME» per munirsi dell’autorizzazione, circostanza che cozza con la odierna affermazione circa la non necessità di autorizzazione.
Che l’autorizzazione fosse comunque necessaria viene motivatamente evidenziato dal Tribunale del riesame a pagina 4 (par. 3), laddove esclude che la struttura in esame possa esser equiparata a un «ospedale pubblico», in quanto svolge attività di impresa e non è soggetta a controllo pubblico.
Anche il terzo motivo era già stato dedotto nel precedente giudizio di cassazione, e riten da questa Corte infondato, con conseguente inammissibilità della doglianza.
Sul punto, peraltro, il Riesame a pagina 3 evidenzia che l’articolo 6 del d.P.R. 254/2 disciplina gli «scarichi», stabilendo che feci e urina possono essere fatti confluire nelle reflue che scaricano nelle reti fognarie, laddove, nel caso in esame, l’imputazione concerne d rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, come il liquido biologico contaminato dal rinvenuto nei cateteri, nei drenaggi, nelle sonde o in altro materiale sanitario (v. par. 3)
Il quarto motivo, relativo alla presunta violazione del principio del ne bis in idem, è inammissibile.
In disparte la questione relativa alla tardività della deduzione (su cui v. infra), a pagina 4, l’ordinanza impugnata precisa che il decreto penale di condanna afferisce ad un accertamento eseguito in data 24 aprile 2023 e concerne una singola (e successiva) violazione della discipli sul deposito dei rifiuti, mentre la precedente contestazione concerne una sistematica attivit deposito incontrollato o abbandono accertata in data 19 febbraio 2023.
Peraltro, il riferimento alla sentenza delle Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 15403
30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286155 – 01) appare fuori fuoco rispetto all’odier procedimento, in quanto, nella pronuncia citata dal ricorrente, la Corte ha affermato il prin
secondo cui «nel giudizio di appello cautelare, celebrato nelle forme e con l’osservanza d termini previsti dall’art. 127 cod. proc. pen., possono essere prodotti dalle parti ele
probatori “nuovi” nel rispetto del contraddittorio e del principio di devoluzione, contrasse dalla contestazione, dalla richiesta originaria e dai motivi contenuti nell’atto di appell
esplicito riferimento ad elementi di prova (in quel caso: le dichiarazioni rese da un uffic polizia giudiziaria nel corso di un parallelo processo) sopravvenuti rispetto all’
impugnazione, laddove, al contrario, la tardività della deduzione viene dal Tribunale del riesa ravvisata (pag. 5) alla luce del fatto che, alla data di proposizione dell’appello cautelare, il
penale di condanna era già stato notificato all’imputato e quindi il motivo doveva essere dedotto.
Anche in questo caso, pertanto, la motivazione sussiste e non è apparente, con conseguente inammissibilità della censura.
6. Il ricorso, in conclusione, non può che essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’o delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 6 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/03/2025.