Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20651 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20651 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 05/02/2025
SENTENZA
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; uditi i difensori, avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME e
sui ricorsi proposti dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Caltanissetta e da NOME COGNOME nato a Gela il 06/04/1981 avverso l’ordinanza del 10/10/2024 del Tribunale di Caltanissetta; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; avv. NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10 ottobre 2024, il Tribunale di Caltanissetta, decidendo a seguito di annullamento con rinvio della Corte di cassazione disposto con sentenza del 10 luglio 2024, ha annullato l’ordinanza del Gip del Tribunale di
Caltanissetta del 1° marzo 2024, limitatamente ai capi 2) e 8) dell’imputazione, disponendo per tali capi la formale scarcerazione dell’indagato e confermando nel resto detto provvedimento, anche con riferimento alla misura della custodia cautelare in carcere.
L’ordinanza del Gip aveva per oggetto gravi indizi di colpevolezza in relazione a delitti associativi ex artt. 416-bis cod. pen. (capo 2) e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 8 della rubrica) e reati scopo ex art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione al pericolo di reiterazione criminosa.
Con il provvedimento impugnato, il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistente il giudicato cautelare in relazione ai reati di cui ai capi 28 e 29 (art. del d.P.R. n. 309 del 1990, con l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
L’ordinanza è stata impugnata dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta, nella parte in cui essa esclude la sussistenza di indizi dei reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen. (capo 2) e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 8 della rubrica), oggetto di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamenta la mancata considerazione di una serie di fatti, che sarebbero confermati dalle dichiarazioni dello stesso imputato, dai quali avrebbero potuto desumersi indizi ai fini dell’art. 416-bis cod. pen.: a) il suo intervento nel dirimere un contrasto insorto tra COGNOME e i componenti della famiglia COGNOME; b) gli incontri svolti con altri soggetti intrane alla consorteria mafiosa COGNOME, quali COGNOME, COGNOME, COGNOME.
2.2. In secondo luogo, il ricorrente censura vizi della motivazione in relazione al reato di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (capo 8 della rubrica), per l mancata considerazione dei legami di COGNOME e leva con altri soggetti nei cui confronti si era formato il giudicato cautelare. Vi erano, in particolare, contatti f COGNOME e COGNOME, oltre a conversazioni intercettate; si sarebbero dovute valorizzare le dichiarazioni di COGNOME circa lo stupefacente che aveva acquistato, proveniente da coltivazioni gestite da dallo stesso COGNOME.
Avverso il provvedimento ha proposto il ricorso per cassazione nell’interesse dell’indagato, l’avv. NOME COGNOME chiedendone l’annullamento.
3.1. Con un primo motivo di doglianza, riferito ai capi 28 e 29 dell’imputazione, si lamenta la violazione della norma incriminatrice nonché dell’art. 273 cod. proc. pen.
Non sarebbero state considerate le dichiarazioni rese dall’interessato durante l’udienza né le incongruenze e lacune negli elementi probatori evidenziate dalla difesa. In particolare, l’imputato aveva ammesso di avere spacciato sostanza
stupefacente, di non avere rapporti con associazioni mafiose, di non avere mai avuto contatti con la famiglia COGNOME, di non avere mai minacciato nessuno. Egli aveva invece negato di avere svolto attività di coltivazione di stupefacenti; attività che solitamente si configura come parte di un sistema criminale articolato, con potenziali legami associativi. Si sarebbe dovuto considerare, a favore dell’imputato, l’annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza del 30 ottobre 2024, relativamente alla posizione del computato leva NOME
3.2. Una seconda doglianza e anch’essa riferita ai capi 28 e 29 dell’imputazione, per violazione degli art. 416-bis.1 cod. pen. e 273 cod. proc. pen., non essendosi espressa in merito l’ordinanza impugnata. Non si sarebbe considerato che la sussistenza dell’aggravante dipende dalla configurabilità dell’associazione mafiosa, che è stata esclusa nel caso di specie.
3.3. In terzo luogo, si lamenta la violazione degli artt. 274 e 275 cod. proc. pen. in relazione all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, per la mancata considerazione dell’attualità e della concretezza delle esigenze cautelari. L’ordinanza si sarebbe basata, sul punto, su rilievi congetturali.
L’ordinanza è stata impugnata anche dall’avv. COGNOME sempre nell’interesse dell’indagato.
4.1. In primo luogo, si lamenta la violazione degli artt. 273 e 627 cod. proc. pen., in relazione ai reati di cui ai capi 28 e 29.
Si contesta l’affermazione dell’ordinanza impugnata secondo cui, ‘ dalla sentenza di annullamento della Corte di cassazione, si desume che ricorre un giudicato cautelare in relazioni a tali reati. La difesa sostiene di avere contestato la gravità indiziaria anche con riferimento a tali fatti; mentre sarebbe stata trascurata anche la motivazione della sentenza di legittimità secondo cui non vi erano dati di fatto sintomatici di una cointeressenza del ricorrente e di suo cognato con soggetti operanti nel settore della coltivazione degli stupefacenti, al di là d riferimenti del tutto generici desumibili da alcuni atti di causa. La ricostruzione interpretativa fatta proprio dkla difesa sarebbe avallata dall’annullamento con rinvio, sempre da parte della Corte di cassazione, relativo alla posizione di Iva NOME, identica a quella dell’odierno indagato.
4.2. In secondo luogo, si lamenta la violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., con riguardo ai reati di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990. Mancherebbe una motivazione sulla riconducibilità delle coltivazioni all’imputato.
4.3. In terzo luogo, si lamenta la violazione degli art. 274 e 627 cod. proc. pen., per la mancata considerazione dell’annullamento del provvedimento
genetico quanto alle ipotesi associative, nonché in relazione al fatto che si trattasse comunque di droghe leggere, all’entità dell’intervenuta pena, al lasso temporale intercorso tra la commissione del reato e l’applicazione della misura.
I difensori dell’indagato hanno depositato memorie, con provvedimenti giurisdizionali relativi alle posizioni dell’indagato e a posizioni connesse, ribadendo quanto già dedotto e richiedendo che il ricorso del pubblico ministero sia dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Quello del pubblico ministero – i cui motivi possono essere trattati congiuntamente – si risolve in una richiesta di rivalutazione del compendio istruttorio quanto ai due reati associativi per i quali è intervenuto l’annullamento dell’ordinanza genetica. L’impugnazione è redatta con la tecnica dell’inclusione di interi brani di intercettazioni, di fotografie relative ad appostamenti, di alt materiale istruttorio, senza che se ne prospetti compiutamente la rilevanza al fine di dimostrare la sussistenza di vizi motivazionali del provvedimento impugnato, rilevabili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
La Procura ricorrente contrappone alla ricostruzione del Tribunale una propria lettura alternativa che trova puntualmente smentita nel provvedimento impugnato. Questo risulta, infatti, coerentemente motivato nella parte in cui sempre alla luce del quadro indiziario e salva ogni ulteriore valutazione in sede di merito – svaluta la completezza del quadro istruttorio, evidenziando che: a) COGNOME, nel fare riferimento all’appartenenza di COGNOME a un gruppo distinto dai COGNOME e dalla COGNOME non ha riferito nulla su COGNOME non fornendo, dunque, elementi individualizzanti sulla posizione di quest’ultimo; b) quanto alla fattispecie di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, gli elementi indiziari n sono idonei a determinare l’inserimento del prevenuto nell’associazione. La sintetica argomentazione del Tribunale fa proprie le critiche della Corte di cassazione (sentenza rescindente del 10 luglio 2024), incentrate, da un lato, sull’interesse dell’indagato ad accreditarsi come soggetto di spicco nell’ambito criminale, in mancanza di qualsivoglia conferma esterne di tale suo ruolo, dall’altro, sul fatto che il commercio di stupefacenti, posto in essere con l’ausili di leva, non era sufficiente a configurare un’organizzazione di mezzi stabile e duratura che andasse aldilà dell’attività di gestione delle serre di marijuana, pacifica e sostanzialmente non contestata neanche dalle difese. Quanto a tale
ultimo profilo, l’ordinanza impugnata si richiama alle considerazioni svolte dalla Corte di cassazione circa la genericità di alcuni riferimenti dei soggetti convolti all disponibilità di una squadra e all’entità dei guadagni complessivi al fine di ritenere configurabile la fattispecie associativa.
I ricorsi proposti nell’interesse dell’indagato sono anch’essi inammissibili.
3.1. I motivi 3.1., 3.2., 4.1., 4.2. – che possono essere tratta congiuntamente perché attengono ai capi 28 e 29 sia sotto il profilo delle condotte contestate sia sotto il profilo della configurabilità dell’aggravante di cui di c all’art. 416-bis.1 cod. pen. – sono inammissibili, perché aventi ad oggetto statuizioni coperte da giudicato cautelare.
La semplice lettura della sentenza della Corte di cassazione del 10 luglio 2024 smentisce la prospettazione difensiva secondo cui. l’annullamento pronunciato avrebbe ad oggetto anche tali fattispecie. La motivazione della sentenza si riferisce, infatti, esclusivamente all’associazione mafiosa e all’associazione finalizzata al commercio di stupefacenti e non anche ai fatti contestati come reati scopo, in relazioni ai quali si valorizzano – contro la tesi difensiva – i dialo intercettati fra di NOME e leva e le altre acquisizioni probatorie ampiamente riportate dal Tribunale (pagg. 9-15 dell’ordinanza del 27 marzo 2024), sostanzialmente incontestate dalle difese ed espressive dell’interessamento dei due soggetti nella gestione delle serre nelle quali veniva coltivata la marijuana. Del tutto correttamente, dunque, il provvedimento impugnato ha ritenuto preclusa l’analisi del quadro indiziario anche con riferimento alla contestata aggravante; cosicché la sussistenza di quest’ultima o dei reati in questione non può essere messa in dubbio dall’annullamento del provvedimento genetico in punto di reati associativi o dai provvedimenti favorevoli, prodotti dalla difesa, emessi nei confronti di coimputati (leva, COGNOME).
3.2. I restanti motivi, aventi ad oggetto le esigenze cautelari, sono formulati in modo non specifico e, comunque, non riconducibili alle categorie di cui all’art. 606 cod. proc. pen. La difesa non si confronta con le coerenti affermazioni del provvedimento impugnato, secondo cui il pericolo di reiterazione è ricavabile: dalla gravità estrema dei fatti che si desume dalle loro modalità e dai quantitativi di stupefacente, dai precedenti penali, dalle pendenze relative a reati ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 contestati come commessi in epoca successiva a quelli per cui si procede, indice di una professionalità nel delinquere.
Lcitcostanza c s e i reati per cui si proced4 Risulta poi dirimente la constatazione, anch’essa non specificamente contestata dalla difesa, che i reati siano stati commessi da COGNOME mentre era sottoposto alla misura degli arresti
domiciliari, che quindi risulta inidonea a frenare le sue spinte criminali nell’ambito del presente procedimento.
4. Per questi motivi, i ricorsi deve essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che,
nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue per la parte provata, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del
procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente COGNOME NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 05/02/2023.