Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7244 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7244 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOME, nato a Girò il DATA_NASCITA
NOME COGNOME, nato a Cirò il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/02/2023 della Corte d’appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato, i ricorsi e le memorie; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; lette le conclusioni scritte, per i ricorrenti, dell’avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME, e dell’avvocato NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME, che insistono per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 23 febbraio 2023, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Crotone che aveva dichiarato la penale responsabilità di NOME COGNOME per i reati di cui
agli artt. 2 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000 e di NOME COGNOME per il reato di cui all’art d.lgs. n. 74 del 2000, ed aveva irrogato ad entrambi la pena di un anno e sei mesi di reclusione, con concessione del beneficio della sospensione condizionale.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, NOME COGNOME, nella sua qualità di gestore di fatto della ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE“, avrebbe: a) utilizzato, nella dichiarazione per l’anno 2012, in epoca anteriore e prossima al 30 dicembre 2012, fatture per operazioni inesistenti recanti complessivamente l’importo di euro 44.770,00 euro, al fine di evadere RAGIONE_SOCIALE, con evasione pari a 7.770,00 euro; b) omesso di presentare, entro il 29 dicembre 2015, la dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2014, con evasione di IRPEF pari a 59.916,00 euro. NOME COGNOME, invece, nella sua qualità di gestore di fatto della omonima ditta individuale, avrebbe emesso, in epoca anteriore e prossima al 30 dicembre 2012, fatture per operazioni inesistenti recanti complessivamente l’importo di euro 44.770,00 euro, al fine di consentire alla ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE” di evadere RAGIONE_SOCIALE.
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’avvocato NOME COGNOME, e NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’avvocato NOME COGNOME.
Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta attribuzione a detto ricorrente della posizione di gestore di fatto della ditt individuale “RAGIONE_SOCIALE“.
Si deduce che NOME COGNOME è stato ritenuto dai Giudici di merito gestore di fatto della ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE” sulla base di una semplice «deduzione», come ammesso dagli investigatori, e precisamente perché il medesimo ha cooperato con gli stessi nel ricostruire la posizione fiscale dell’impresa, su delega della moglie. Si osserva che la moglie ha conferito all’attuale ricorrente delega a rapportarsi agli investigatori perché in quel momento afflitta da gravi problemi di salute e familiari, e che l’imputato ha cooperato sempre prendendo tempo per consultarsi con la moglie ed il commercialista. Si aggiunge che non vi sono elementi per ritenere che la moglie dell’attuale ricorrente fosse estranea alla gestione della ditta, né sono stati acquisiti dati ulteriori per affermar il coinvolgimento dell’imputato. Si rileva, ancora, che la posizione dell’imputato non può essere ricostruita sulla base di dichiarazioni rese dallo stesso nel corso degli accertamenti di polizia giudiziaria, perché le stesse sarebbero utilizzabili a norma dell’art. 63 cod. proc. pen., o da terzi, perché non indicati.
3.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione.
Si deduce che il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, deve ritenersi estinto per prescrizione già alla data della pronuncia della sentenza impugnata. Si osserva, infatti, che: a) la sentenza impugnata è stata pronunciata il 23 febbraio 2023; b) il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 è contestato come consumato nel dicembre 2012; c) il termine necessario a prescrivere questo reato, a norma della disciplina applicabile, anche considerando l’interruzione, è pari a dieci anni.
3.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Si deduce che vi erano tutti gli elementi per ritenere la modestia e l’occasionalità del reato in contestazione, stante anche l’incensuratezza dell’imputato.
Il ricorso di NOME è articolato in due motivi.
4.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, avuto riguardo alla ritenuta configurabilità della condotta di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000.
Si deduce che la condotta contestata avrebbe dovuto essere riqualificata a norma dell’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, come già evidenziato nell’atto di appello. Si rileva che la condotta aveva i connotati della fraudolenza perché: a) non era stata esibita documentazione giustificativa; b) la società emittente si era cancellata dal registro delle imprese; c) le fatture contenevano una descrizione delle operazioni di riferimento estremamente generica. Si osserva, poi, che i rapporti di parentela tra i due imputati, tra loro fratelli, sono elemento inidone per affermare, in difetto di altri elementi, la sussistenza del reato.
4.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, avuto riguardo alla mancata dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
Si deduce che: a) il reato in contestazione, quale che ne sia la sua qualificazione, si è consumato nel dicembre 2012, e quindi, il termine necessario a prescrivere per lo stesso, a norma della disciplina applicabile, anche considerando l’interruzione, è pari a dieci anni, e non a tredici anni e quattro mesi, come erroneamente indicato nella sentenza impugnata; b) i dieci anni erano decorsi alla data della pronuncia della sentenza impugnata, il 23 febbraio 2023.
Nell’interesse di entrambi ricorrenti sono state presentate memorie.
5.1. Nell’interesse di NOME COGNOME sono state presentate due memorie, una precedente e l’altra successiva al deposito della requisitoria del Procuratore generale.
In entrambe le memorie si ribadiscono le argomentazioni esposte a fondamento dei motivi di ricorso e si sottolinea che non vi è prova dell’avvenuta percezione delle somme indicate nelle fatture.
5.2. Nell’interesse di NOME COGNOME, è stata presentata una memoria, in data successiva al deposito della requisitoria del Procuratore generale.
Nella memoria, si ripropongono le deduzioni svolte a fondamento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito precisate.
Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, le quali contestano l’attribuzione al medesimo del ruolo di gestore di fatto dell’impresa “RAGIONE_SOCIALE“, deducendo che è illegittimo assumere tale conclusione in ragione del mero svolgimento di un’attività di collaborazione con la Guardia di RAGIONE_SOCIALE nel corso della verifica fiscale, senza tener conto delle ragioni di impossibilità della moglie, titolare del ditta, e che, inoltre, ai fini dell’accertamento delle conoscenze dell’imputato in ordine alla contabilità aziendale sono inutilizzabili le informazioni rese da medesimo, in quanto acquisite in violazione dell’art. 63 cod. proc. pen.
2.1. Per ragioni di ordine logico, appare necessario premettere che le conclusioni dei giudici di merito in ordine alla posizione di NOME COGNOME come gestore di fatto dell’impresa “RAGIONE_SOCIALE” si fondano su dichiarazioni dei militari della Guardia di RAGIONE_SOCIALE che hanno ad oggetto non dichiarazioni dell’imputato o di altri, bensì comportamenti dell’imputato.
Secondo quanto emerge da entrambe le sentenze di merito, infatti, gli operanti hanno precisato che: a) nel corso della verifica fiscale nei confronti della ditta dell’impresa “RAGIONE_SOCIALE“, hanno avuto interlocuzione diretta con NOME COGNOME, in quanto la moglie di questi, NOME COGNOME, non era stata in grado di riferire nulla in merito ed aveva delegato il marito a rappresentarla; b) NOME COGNOME aveva fornito un’ampia collaborazione nel ricostruire la posizione fiscale dell’impresa, consegnando di volta in volta la documentazione richiesta; c) NOME COGNOME era risultato anche l’unico interlocutore con la consulente fiscale dell’impresa.
In sintesi, quindi, i testi di polizia giudiziaria hanno deposto su quanto da loro direttamente constatato nel corso delle indagini in ordine al comportamento tenuto dall’imputato, e non su dichiarazioni ricevute dal medesimo o da altri.
Già questo è sufficiente ad escludere qualunque violazione dei divieti di cui all’art. 63 cod. proc. pen.
Peraltro, può aggiungersi che l’attività di verifica fiscale svolta dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE era di tipo amministrativo e che, durante il suo compimento, non erano emersi indizi di reato. Invero, gli operanti hanno espressamente escluso di aver ravvisato indizi di reato mentre eseguivano gli accertamenti tributari e non emergono, né sono stati allegati dalla difesa, elementi per confutare questa indicazione.
Di conseguenza, sarebbe comunque applicabile il principio secondo cui, in materia di attività ispettive di vigilanza di natura amministrativa, il momento a partire dal quale, nel corso di tale attività, sorge l’obbligo di rispettare le garan del codice di procedura penale è quello nel quale è possibile attribuire rilevanza penale al fatto, emergendone tutti gli elementi costitutivi, anche se ancora non possa essere ascritto a persona determinata (così Sez. 3, n. 31223 del 04/06/2019, COGNOME, Rv. 276679-01, la quale ha ritenuto utilizzabili dichiarazioni rese alla Guardia RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dalla persona soggetta all’accertamento amministrativo senza l’osservanza degli artt. 63 e 64 cod. proc. pen., perché, al momento in cui le stesse erano state fornite, non risultava ancora accertato il superamento della soglia di punibilità del reato tributario).
2.2. Posta l’utilizzabilità delle dichiarazioni dei militari della Guardia di Finan su quanto constatato nel corso della verifica fiscale, deve concludersi che corretta è l’affermazione secondo cui NOME COGNOME era il gestore di fatto della ditta “RAGIONE_SOCIALE“, e, quindi, il responsabile dei reati tributari commesp a vantaggio di tale impresa.
Si ‘eletto in precedenza, sulla base delle dichiarazioni acquisite dai testi di polizia giudiziaria, che: a) NOME COGNOME, formale titolare della ditta “RAGIONE_SOCIALE“, pur se interpellata all’inizio degli accertamenti tributari, non era stata in grado di riferire nulla in merito alla gestione ed a contabilità dell’impresa ed aveva delegato il marito, NOME COGNOME, a rappresentarla; b) NOME COGNOME aveva fornito un’ampia collaborazione agli operanti nel ricostruire la posizione fiscale dell’impresa, recuperando e consegnando di volta in volta le fatture e gli altri documenti richiesti dai milita c) NOME COGNOME, nel corso della verifica, era risultato anche l’unico ad interloquire con la consulente fiscale dell’impresa.
Va poi aggiunto che le ragioni addotte in ordine alla impossibilità per NOME di collaborare agli accertamenti, collegate a ragioni di salute e familiari, non appaiono dirimenti già solo per come rappresentate, e, comunque, sono meramente asserite nel ricorso.
La conclusione secondo cui NOME COGNOME era il gestore di fatto della ditta “RAGIONE_SOCIALE“, quindi, risulta fondata su elementi’6 – tto certi, precisi e congrui. Invero, le acquisizioni istruttorie precedentemente sintetizzate evidenziano che egli era l’unica persona ad avere effettiva conoscenza
della realtà aziendale e ad intrattenere i rapporti con un collaboratore necessario per lo svolgimento dell’attività di impresa, quale la consulente fiscale, e che la moglie, formalmente titolare della ditta, era del tutto sprovvista di conoscenze in ordine alla gestione della stessa.
2.3. Ritenuta incensurabile l’affermazione secondo cui NOME COGNOME era il gestore di fatto della ditta “RAGIONE_SOCIALE“, immune da vizi è l’attribuzione al medesimo dei reati di: a) dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, con riguardo alla dichiarazione IVA presentata dalla ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE” per l’anno 2012, in relazione all’impiego delle tre fatture emesse, per l’importo complessivo di 44.700,00 euro dalla ditta di suo fratello NOME COGNOME; b) omessa dichiarazione dei redditi relativamente alla ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE” per l’anno 2014, con evasione di IRPEF pari a 59.916,00 euro.
Non sono infatti contestate, almeno nel ricorso, né la fittizietà delle fattur ricevute dalla ditta di COGNOME RAGIONE_SOCIALE nel 2012, siccome relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, o la loro contabilizzazione ed utilizzazione nella dichiarazione presentata dalla ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE” ai fini IVA del 2013 per il 2012, e neppure l’omessa presentazione della dichiarazione da parte della medesima ditta ai fini IRPEF nel 2015 per il 2014 o il superamento, in relazione a tale esercizio, della soglia di punibilità. Di conseguenza, non essendo in discussone le condotte obiettivamente integranti i fatti di reato relativi alla di “RAGIONE_SOCIALE“, gli stessi correttamente sono attribuiti a colui che risulta essere il gestore di fatto della stessa. Né sono state proposte deduzioni volte a rappresentare il difetto dell’elemento psicologico in capo all’imputato.
Manifestamente infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME, le quali contestano la mancata dichiarazione di prescrizione dei reati per i quali il medesimo è stato condannato.
3.1. Va premesso che, con riferimento ai reati di cui agli artt. 2 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000 commessi a partire dal settembre 2011, il termine di prescrizione è pari ad otto anni, con aumento di ulteriori due anni per il sopravvenire di fatt interruttivi, in forza dei limiti edittali all’epoca vigenti per tali fat incriminatrici e di quanto previsto dall’art. 17, comma 1-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, come aggiunto, nel corpo dell’art. 17 d.lgs. n. 74 del 2000, dall’art. 2, comma 36vícies semel, lett. I), d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148.
Va inoltre evidenziato che, nel presente processo, occorre computare almeno novantotto giorni di sospensione, derivanti dal rinvio dell’udienza del 23 maggio 2019 su richiesta del difensore dell’imputato (rinvio dal 23 maggio al 27 giugno 2019), e dalla sospensione per la pandemia, in quanto interessante il termine di
deposito della sentenza di primo grado, siccome emessa il 29 gennaio 2020, e con termine fissato a novanta giorni. A quest’ultimo proposito, va infatti ricordato che, come già precisato in giurisprudenza, in tema di disciplina emergenziale, la c.d. sospensione “covid” per complessivi 64 giorni di cui all’art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, si applica anche al termine per il deposito della sentenza che sarebbe venuto a scadere nell’arco temporale ricompreso tra il 9 marzo e 1 1 11 maggio 2020 (così Sez. 6, n. 663 del 10/11/2022, dep. 2023, Fallea, Rv. 284163-01).
3.2. Tenuto conto di quanto appena indicato, nessuno dei due reati per i quali è stata pronunciata condanna può ritenersi estinto per prescrizione alla data della sentenza della Corte di appello, emessa il 23 febbraio 2023.
Relativamente al reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, il 23 febbrai 2023, giorno della pronuncia della sentenza della Corte di appello, va rilevato che non erano ancora decorsi i dieci anni e novantotto giorni necessari, anche in considerazione dei periodi di sospensione, dall’«epoca antecedente e prossima al 30 dicembre 2012», come indicato in calce alla contestazione, posto che le fatture per operazioni inesistenti utilizzate risultano emesse fino al 30 dicembre 2012. E questo, senza voler considerare la effettiva data di commissione del reato, quella del giorno di presentazione della dichiarazione IVA avvalentesi delle fatture fittizie, e cioè il 29 ottobre 2013, come precisamente indicato nella sentenza di primo grado.
Con riguardo al reato di cui all’art. 5 d.lgs., poi, nessun dubbio può sussistere: detto reato, riferito all’omessa presentazione della dichiarazione IRPEF per l’anno 2014, è stato contestato come commesso alla data del 29 dicembre 2015, ed il termine necessario a prescrivere, per quanto detto in precedenza, sarebbe stato pari a dieci anni e novantotto giorni.
Diverse da quelle consentite in sede di legittimità sono le censure formulate nel terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME, le quali contestano la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., deducendo che vi erano gli estremi per applicare l’istituto.
La conclusione della sentenza impugnata si fonda sulla gravità dei fatti, in particolare valorizzando, con riferimento al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 d 2000, il superamento della soglia di punibilità di 9.916,00 euro.
Questa conclusione risulta immune da vizi, a maggior ragione se si considera che l’imputato ha realizzato una pluralità di condotte, non contestuali tra loro, offensive del medesimo bene giuridico, e caratterizzate da modalità esecutive diversificate (la presentazione di una dichiarazione mendace nel 2013, e l’omessa presentazione della dichiarazione nel 2015).
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A tale motivazione, poi, il ricorrente si oppone non denunciando specificamente la manifesta illogicità o comunque l’illegittimità della stessa, bensì semplicemente prospettando che sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen.
Manifestamente infondate sono le censure formulate nel primo motivo del ricorso di NOME COGNOME, le quali contestano l’affermazione di responsabilità per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, deducendo che, siccome i documenti si inserivano in rapporto caratterizzato dalla fraudolenza, il fatto avrebbe dovuto essere qualificato a norma dell’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000, e, più in generale, che non vi sarebbero elementi idonei a dimostrare il mendacio.
5.1. Quanto al primo ordine di censure, va osservato che il reato di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000 richiede in ogni caso la presentazione di una dichiarazione relativa all’imposte sui redditi o sul valore aggiunto, come si evince inequivocabilmente dal dettato letterale di tale disposizione.
Nella specie, però, come puntualmente rilevato nella sentenza impugnata, NOME COGNOME non ha presentato alcuna dichiarazione fiscale relativa all’anno 2012, anno nel quale sono state emesse le fatture ritenute mendaci e per le quali è stata pronunciata sentenza di condanna,
5.2. Relativamente al secondo ordine di censure, la Corte d’appello spiega in modo chiaro, preciso e congruo perché le fatture per le quali è stata pronunciata condanna debbono ritenersi mendaci.
Si rappresenta, infatti, che: a) le tre fatture, datate 30 settembre 2012, 30 novembre 2012 e 30 dicembre 2012, recano una descrizione estremamente generica quanto alle operazioni di riferimento, né queste operazioni sono state precisamente indicate dal soggetto emittente, COGNOME; b) le medesime tre fatture non riportano alcuna indicazione in ordine alle modalità di pagamento, pur essendo questi indicati per importi consistenti, pari a 9.680,00 euro, a 18.150,00 euro e a 16.940,00 euro; c) NOME NOME non ha esibito alcuna documentazione in relazione a tali fatture, e neppure il registro IVA; d) la terza fattura è s emessa il 30 dicembre 2012, ossia quando la ditta di RAGIONE_SOCIALE stava cessando le attività; e) le fatture hanno consentito l’evasione fiscale alla ditta di NOME RAGIONE_SOCIALE, fratello dell’emittente NOME.
Manifestamente infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME, le quali contestano la mancata dichiarazione di prescrizione del reato per il quale il medesimo è stato condannato.
Si è già detto, in precedenza, al § 3.1, che per i reati di cui agli artt. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, il termine necessario a prescrivere è pari a 10 anni e novantotto giorni dalla data del commesso reato.
Lo stesso vale per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, applicandos anche a detta figura la disciplina prevista dall’art. 17, comma 1 -bis, d.lgs. n. 74 del 2000, ed essendo riferite anche a tale contestazione le vicende di sospensione della prescrizione per complessivi novantotto giorni.
Può essere utile solo precisare che la data di commissione del reato è quella del 30 dicembre 2012, siccome data dell’ultima delle tre fatture in contestazione , tutte emesse nel 2012. Invero, costituisce principio consolidato, coerente /fa precisa indicazione di cui al comma 2 dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 200, quello secondo cui il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti si consuma, ove s abbiano plurimi episodi nel medesimo periodo di imposta, nel momento di emissione dell’ultima di esse (così, per tutte, Sez. 3, n. 47459 del 05/07/2018, COGNOME, Rv. 274865-01, la quale, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione del reato, ha tenuto conto della data riportata sulla fattura, i assenza di altri elementi da cui desumere la data reale di emissione del documento, nonché Sez. 3, n. 6264 del 14/01/2010, COGNOME*, Rv. 246193-01).
Di conseguenza, anche per il reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, il tempo necessario a prescrivere non era ancora decorso alla data della pronuncia della sentenza della Corte d’appello, il 23 febbraio 2023.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende, a carico di ciascuno di essi, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 12/01/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente